La scorsa settimana è arrivata una delle letterine che bene conosciamo anche al centro culturale Ararat, dando 10 giorni di tempo per lasciare i locali, periodo che scade alla mezzanotte di oggi.
Di seguito il comunicato del centro curdo Ararat:
Dopo diciassette anni di costruzione di iniziative interculturali, sociali, politiche, il centro curdo Ararat a Testaccio, nel cuore di Roma, nella piazza che dieci anni fa l’allora sindaco intitolò a Dino Frisullo come riconoscimento proprio per il lavoro da lui svolto in difesa dei diritti dei curdi rischia lo sgombero. Diciasette anni di attività che rischiano di essere cancellati dentro la spirale della riorganizzazione del Patrimonio Pubblico del Comune di Roma.
Come Ararat, tante altre realtà sociali di questa città, oggi sono minacciate dall’aggressione della retorica della valorizzazione economica che vuole questa città in vendita, una politica che prova ad aggredire chi in questi anni è stato argine culturale e spazio d’innovazione sociale. Lo scorso 19 Marzo un corteo di migliaia di donne e uomini ha camminato per la città al grido di #RomaNonSi Vende per reclamare l’alternativa che tante realtà dal basso hanno costruito dentro questa città, e ancora di più oggi, centri sociali, associazioni, e presidi territoriali sono determinati a resistere.
Il centro culturale Ararat ha rappresentato in questi anni uno spazio aperto, il punto di riferimento per una comunità nella diaspora del popolo curdo, l’occasione e la casa che ha raccolto il messaggio di rivoluzione e pace che Ocalan aveva lasciato a Roma prima di essere consegnato alle autorità turche. Proprio oggi però, mentre i curdi in Siria e in Turchia resistono e difendono la loro terra, combattendo per l’umanità contro gli attacchi di Daesh e dell’esercito turco, a Roma si vorrebbe cancellare un’esperienza fra le più vive e attive della città che vede protagonisti gli esuli curdi.
I rifugiati curdi sono abituati a resistere, e lo faranno anche questa volta, mobilitandosi insieme ai tanti amici e amiche italiane. Per questo il prossimo sabato 2 Aprile invitiamo tutte e tutti ad Ararat, per una colazione resistente, nel giorno in cui il Commissario Tronca vorrebbe liberi i locali del centro culturale. Invitiamo tutte e tutti i compagni di strada che hanno sostenuto in questi anni e in questi mesi il popolo curdo in lotta, che hanno costruito insieme a noi questa straordinaria esperienza che parla di un mondo senza confini.
L’appuntamento è alle 6.30 per dire a Tronca che i nostri giorni di libertà non scadano, che a scadere e fallire saranno le loro politiche di svendita e privatizzazione. Ararat non si riconsegnerà mai, anzi da sabato mattina saremo tutt@ li per difenderlo.
Dalle Montagne del Kurdistan al Cuore di Roma
#AraratNonSiSgombera #RomaNonSiVende
Sabato 2 ore 6.30 colazione resistente al centro socio-culturale kurdo Ararat
Via di monte testaccio 28 – Largo Dino Frisullo
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Gianni Sartori
ARARAT IN CAMBIO DI ERDEMIR?
(Gianni Sartori)
“Ciao Gianni, sono d’accordo sul pezzo, l’unica cosa che bisogna sottolineare di più, marcatamente, è chi lo sta chiudendo, quello, non si capisce esattamente. La denuncia secondo me non si deve fermare sul concetto, perché si chiude , ma chi è il diretto responsabile della chiusura… (fare anche una velata denuncia chiedendosi se dietro tutto ciò, possa essere anche una richiesta malcelata delle autorità turche, accettate come sempre dalla debole posizione del governo italiano….)
A presto”.
Così mi scriveva, dopo aver letto l’appello “Giù le mani da Ararat” un amico che, per ragioni storiche di famiglia, conosce bene la protervia dei governi turchi nei confronti di curdi e armeni.
Effettivamente, verificavo, dietro la richiesta di sgombero di ARARAT c’era il Comune di Roma in qualità di esecutore delle politiche renziane. Una conferma dell’intenzione di riprendersi tutti gli spazi pubblici autogestiti per poi, eventualmente, riassegnarli attraverso un bando. Una scelta chiaramente punitiva (con l’intento di far loro chiudere i battenti) nei confronti di quelle associazioni che avevano restaurato e ristrutturato, salvandoli dal degrado, spazi abbandonati dall’incuria istituzionale e privata, restituendoli alla collettività.
Ma forse nel caso di ARARAT c’è anche di peggio.
Coincidenza, proprio in quei giorni emergeva l’alleanza strategica tra la turca Erdemir, Marcegaglia e Arvedi (affiancati dalla Cassa Depositi e Prestiti) per il salvataggio dell’acciaieria ILVA di Taranto, in vista della scadenza del 23 maggio per la presentazione di offerte vincolanti. Un’alleanza vista con favore dal governo italiano che sembra aver ormai rinunciato all’ipotesi di una cordata tutta italiana a favore di Erdemir, primo produttore di acciaio in Turchia (45° posto nella graduatoria mondiale) con un patrimonio di oltre sei miliardi di euro. Definita “società integrata con una struttura che va dall’estrazione alla produzione di acciaio con siti produttivi a caldo e a freddo”, Erdemir è già fornitore di Marcegaglia a cui spetterebbe il compito di completare la cordata (con Arvedi e Cassa Depositi e Prestiti).
I tempi coincidono: la visita di Erdemir all’ILVA di Taranto risale al 22 marzo, lo stesso giorno della lettera di Tronca con la richiesta di sgombero (l’ultimatum di dieci giorni scadeva il 2 aprile).
Non si può quindi escludere che in cambio di un eventuale salvataggio dell’ILVA, Ankara abbia chiesto al servizievole governo Renzi di tappare la bocca ad ARARAT, una voce dissidente ancora in grado di denunciare i crimini contro l’umanità dello stato turco.
Gianni Sartori