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San Giorgio al Sannio. Gli agresti nostalgici del gerarca Bocchini

Capita che a volte ciò che succede in Italia o nel mondo si rifletta nella vita tranquilla di un paese di provincia; così, nel quadro generale del revisionismo storico che da più parti si affaccia nella vita politica nazionale, con la presentazione impunita e senza contraddittorio di un libro pieno di bufale in diretta sulla rete nazionale e internazionale (ma le fake news non andavano censurate?),  con l’astensione dell’Italia dal voto sulla risoluzione di condanna di nazismo e neonazismo da parte dell’Onu, il microcosmo di San Giorgio del Sannio riproduce come in un frattale la struttura nella quale si inserisce.

San Giorgio del Sannio è uno dei tanti anonimi paesini della provincia beneventana, ai limiti della zona colpita dalla tragedia del terremoto d’Irpinia del 1980 di cui si è ricordato da poco l’anniversario.

Il nome non dirà molto, abbinando alla toponomastica cattolica molto diffusa nella zona la specifica della regione Sannio. Tuttavia qualcuno maggiormente interessato alla storia del Novecento potrebbe sentir suonare familiare il nome con cui era conosciuto il paese fino al 1929, cioè San Giorgio la Montagna: luogo di nascita del noto Arturo Bocchini, ex prefetto e senatore del regno d’Italia.

Proprio al “Viceduce”, fedelissimo di Mussolini, capo della polizia fascista, ri-fondatore dell’OVRA, il consiglio comunale del paesino natio ha deciso di dedicare una targa, su pressione (va da sé) della destra locale. Targa che si va ad aggiungere a una già presente nella zona più antica del paese.

Insomma, l’amministrazione comunale di San Giorgio, a guida dell’ex deputato Mario Pepe (allora del PD), non trova concittadino più degno a ricevere un monumento dell’autocrate che difese il regime attraverso l’eliminazione di numerosi oppositori politici, tramite l’omicidio dei fratelli Rosselli, l’incarcerazione di tutti i deputati comunisti nel ’26 – compreso Antonio Gramsci – l’arresto di De Gasperi nel ’27 e del futuro presidente Sandro Pertini nel ’29, alla cui scarcerazione per motivi di salute si oppose, manifestando l’(assenza di) umanità tipica di un gerarca fascista.

Morì prima della caduta del regime. E ai suoi funerali partecipò nel ’40 anche Heinrich Himmler, con il quale aveva siglato un accordo d’intesa tra le polizie dei due paesi.

Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, diceva Brecht, mostrando la pochezza della vita di un popolo che avverte la necessità di attaccarsi a un’immagine idolatrata. Figurarsi cosa può restare di chi non trova migliore idolo da celebrare di questo infame gerarca fascista…

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