Stato d’Assedio: ore 14,30.
Uomini armati si aggirano alla ricerca dei fragili, degli indifesi, degli Ultimi. Controlli? Allontanamenti? Velate minacce che, in cervelli incasinati dalla marginalità e dalla fame, hanno ripercussioni devastanti. È il capolinea della umanità, almeno per come l’abbiamo conosciuta fin ora, quella che fa risalire la civiltà, alla cura di un femore rotto.
Cura, cura dell’altro, non trasformare in rifiutile sofferenze e i disagi psichiatrici, ma curarli, andarci incontro. Non sempre si riescono a capire i calvari dei clochard, quel buio nella mente che ti fa diventare Ultimo.
A volte nelle tortuose esistenze dei naufraghi non è tanto importante capire i perché o i come, a volte neanche ci sono motivi o traumi: le vite si spezzano di continuo, quelle di tutti noi, ma alcuni però non sono capaci di rimetterle a posto. Così guardare questa sproporzione minacciosa di forza mi ha fatto orrore.
Chiamo Michele. Chiamo a Gessica. Chiamo altri compagni. Ma a che serve? Così vago senza meta nella piazza “bonificata” (è, mi vergogno a scriverlo, l’esatto termine con cui un giornale locale ha esaltato questa iniziativa) e scopro che tutta questa operazione non ha fatto altro che spostare di qualche decina di metri gli Uomini/Problema.
Si sono riversati nei vicoli, nei budelli bui sospesi tra Porta Nolana e Porta Capuana, riprendendo esattamente le stesse questue, consumano gli stessi cartoni di vino o vendendo la stessa monnezza. L’eterna danza del tempo, che per alcune fragilità diventa una danza sul vuoto, mentre per altre assume i contorni di un sole malato, il sole dei morenti.
Così mentre giro tra le bonifiche e gli orrori del liberalfascismo, mi vengono in mente altre messe in scena che i nostri solerti Amministratori inscenano per farsi qualche selfie e che, puntualmente, dimostrano da una parte la insostenibile inconsistenza della nostra classe dirigente, dall’altro quel cupo cinismo che trova alleato nella nostra indifferenza.
L’ultimo giro di giostra degli ultimi, quel disperato lasciarsi andare un poco alla volta per diluire il dolore della morte, fino a farla diventare sorella agognata, che vede l’ennesimo oltraggio alla vita: quello di diventare un puro valore aggiunto per i famelici eserciti della bontà o per mezze tacche di politici e i loro slogan elettorali che, come scorregge, si incentrano su un decoro&sicurezza, senza spiegare cosa è. Aria. Aria puzzolente.
Aggredire gli ultimi, aggredirli giusto il tempo di un’intervistina, è operazione che dovrebbe scatenare una resistenza. Uno sdegno. Ma nella società degli Ego deformi vale una sola regola: quel sotto a chi tocca, basta che non tocca a me, che ci renderà tutti topi algidi. Così Piazza Garibaldi diventa teatro di guerra, ma anche di prostituzione intellettuale.
Gli eserciti della bontà terzosettoriati, osannati dalla stampa locale per aver messo quattro tavolini, osservano la scena senza, almeno lo spero, rendersi conto di essere complici di una mistificazione crudele, oltre che sciatta. L’ennesima foglia di fico che, per quanto gradevole e colorata, non serve a nulla, se non a procurare il gettone di presenza al terzosettoriato.
A Piazza Garibaldi servono Assistenti Sociali, personale Medico, infrastrutture (bagni, docce, luoghi di ristoro). Serve intendere il Terzo Settore per quello che dovrebbe essere: una forza interposta al dolore, non complice delle marchette di ogni potere in cambio di prebende e carriere. A Piazza Garibaldi serve un Welfare capace di intervenire prima che un essere umano finisca su un cartone.
Serve amore, non guerra!
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