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Esondazione del Reno a Bologna, una criticità idrogeologica e politica

Le piogge intense cadute sugli appennini durante il fine settimana e lo scioglimento del manto nevoso caduto precedentemente hanno provocato un’esondazione importante del fiume Reno. È bastato un giorno e mezzo di pioggia quest’anno per fare esondare il fiume, in prossimità di Bologna, provocando almeno 350 sfollati, evacuati presso il centro di accoglienza per ricevere assistenza e altri alloggiati in albergo, parecchi feriti e danni stimati per 22 milioni di euro.

La rottura della breccia del fiume è avvenuta nella località di Boschetto in corrispondenza di un’area demaniale dismessa in uso all’Esercito e in un punto in cui l’argine era sotto opera di manutenzione da tempo, ciò ha provocato l’allagamento del comune di Castel Maggiore e in quello di Argelato nella bassa bolognese.

Protezione civile, vigili del fuoco ed esercito sono all’opera per rimettere in sicurezza le zone colpite e nella conta dei danni, mentre il presidente della regione Bonaccini, dopo un vertice in prefettura, ha richiesto ieri lo stato di emergenza nazionale.

Per mitigare gli effetti nefasti dell’esondazione nell’arco delle successive 24 ore dall’alluvione il centro tecnico-operativo del Canale Emiliano Romagnolo (CER) ha consentito di individuare una soluzione idraulica in grado di poter contribuire in modo decisivo all’allontanamento dell’acqua dai campi e dalle abitazioni. L’azione fondamentale che è stata messa in campo è quella di aver fatto convogliare rapidamente l’acqua (limacciosa e carica di detriti) che sopraggiungeva da monte verso la rete artificiale. Il CER è, a suo modo, una grande opera che taglia in due la regione, costruita negli anni 60. Si tratta di un grosso canale irriguo, il più lungo d’Italia, che porta le acque del Po in Romagna in un tragitto di oltre 135 km, è in grado di portare circa 68.000 litri di acqua al secondo per irrigare oltre 200.000 ettari di agricoltura del bolognese e di tutta la Romagna che diversamente sarebbero all’asciutto. Un canale che, oltre all’acqua, porta la fatturazione della produzione agricola della regione a cifre di oltre 350 milioni di euro e che entra a far parte strutturale del tessuto produttivo creando valore e innumerevoli profitti. Oggi il CER ha guadagnato un’alta considerazione a livello europeo e globale in virtù dei suoi progetti scientifici ed è diventato anche un vero e proprio laboratorio di sperimentazione delle migliori tecniche sul risparmio idrico all’insegna di pratiche virtuose che rappresentano un modello “da imitare”.

La risposta della regione e degli enti incaricati alla manutenzione e protezione del territorio (Autorità di bacino distrettuali e la protezione civile) stanno mostrando senza dubbio la potenza di una macchina organizzativa per la gestione delle emergenze davvero notevole. Lo abbiamo già visto in altre occasioni in questo Paese, a tappare i buchi siamo bravissimi. Ma è ormai tempo di chiedersi fino a quando il sistema potrà reggere sulla gestione delle emergenze? La storia di questa regione ci mostra chiaramente che al di là del cambiamento climatico in atto, senza manutenzione ordinaria la pianura padana è destinata a diventare (di nuovo) una palude.

All’interno di un modello generale in cui le aree metropolitane sono organizzate per cedere spazi alla speculazione e società internazionali di investimento, i centri urbani sono destinati ormai alla turistizzazione, un’area fragile come la pianura bolognese diventa appannaggio degli interessi produttivi mentre intere aeree montane periferiche diventano “polveriere” abbandonate dove non conviene investire per proteggere il territorio. I tecnici e gli uffici regionali hanno diffuso ieri la relazione sulla rotta arginale del fiume confermando quello che già i politici nostrani, mettendo le mani avanti, divulgavano sui giornali e tv fin da subito, ovvero che l’esondazione è stata causata dalla piena di portata straordinaria. L’elevata criticità idrogeologica italiana riguarda 29517 km2. Tutti i Piani di Assetto Idrogeologico (Pai) sono stati completati. La mappatura del territorio con definizione del livello di rischio costituisce il quadro operativo di ciò che si deve fare. Si continua, però, a morire e a subire eventi che, con una grande dose di cinismo, sono definiti ancora una volta “naturali“ (link all’articolo di Contropiano sulle alluvioni in veneto).

La gestione tecnica emergenziale delle alluvioni da parte delle Autorità di bacino distrettuali, delle Regioni e del Dipartimento nazionale della protezione civile potrà solo chiedere soldi al governo centrale per ripagare i danni economici alle casse regionali e ai più tutelati, e lasciare allo sbando quella fetta di popolazione più indifesa. Chi lavora e chi vive nelle zone periferiche e chi non è protetto da confindustria, confartigianato, confcommercio etc etc perde tutto e il territorio rimane usurato e sfruttato, senza nessun cambio di rotta rispetto alla gestione emergenziale.

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