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Bologna. Il filo rosso della solidarietà, il filo nero della repressione

Gli studenti e le studentesse alzano la testa contro questo modello di università!

I processi di trasformazione in corso nel mondo della formazione hanno ricadute concrete non solo sui contenuti degli insegnamenti, ma anche sull’ambiente universitario in senso generale. L’Università di Bologna, divenuta sempre più un punto di riferimento e un fiore all’occhiello del modello universitario italiano ed europeo, dato riconfermato in questi giorni dalle classifiche nazionali e internazionali, rappresenta un’ “eccellenza” anche da questo punto di vista.

Fino a una decina d’anni fa, l’Università di Bologna offriva in parte quell’ambiente politico, artistico, culturale vivace e stimolante per il quale ancora tanti studenti scelgono di iscriversi in questa città. Ma nel corso di questi dieci anni – fortemente caratterizzati dal contesto della crisi economica – molto è cambiato.

Questo cambio di passo dell’Alma Mater, antecedente ma accelerato dalla crisi del 2008, ha fatto sì che le distrazioni della vita universitaria – dall’attivismo politico alla più semplice partecipazione ad associazioni, socialità alternativa o momenti di dibattito fuori dall’ambito strettamente curriculare – siano state sempre più osteggiate.

Un processo che è stato portato avanti su binari anche molto diversi, ma diretti verso un restringimento progressivo degli spazi di confronto e di agibilità democratica nel mondo universitario.

Il lato più subdolo, nascosto dai tecnicismi, è stato il processo di forte burocratizzazione che ha messo un ostacolo quasi insormontabile allo svolgimento di iniziative da parte di gruppi più o meno spontanei di studenti negli spazi universitari.

L’altro lato della medaglia è stata l’implementazione di politiche via via sempre più securitarie e repressive nei confronti degli studenti. Dal progetto Leonardo, che ha reso sterile e decorosa la zona universitaria, alle telecamere e agli squadroni di security privata che controllano la zona universitaria fianco a fianco della polizia.

Contro le iniziative politiche, poi, l’UniBo ha utilizzato sempre più il pugno di ferro. Ricordiamo le numerose sanzioni, fino ad arrivare alle sospensioni della carriera universitaria, contro gli studenti che hanno animato le più varie proteste di questi anni, attraverso lo strumento totalmente discrezionale del Codice Etico grazie al quale la governance universitaria può farsi giudice, giuria e boia.

Al contempo lo spazio d’azione della polizia all’interno delle dinamiche universitarie è aumentato enormemente: l’amministrazione Ubertini si è resa artefice di un vero e proprio sdoganamento della polizia politica all’interno dell’università; il caso più eclatante resta l’irruzione dei reparti antisommossa nei locali della biblioteca di Via Zamboni 36, ma la presenza di polizia in borghese fa parte ormai del panorama quotidiano, una presenza che si assume ormai anche la delega per l’intermediazione fra studenti e amministrazione.

È proprio di questa “normalità” che vogliamo parlare. Due nostri compagni, studenti dell’Università di Bologna, sono stati sanzionati per un attacchinaggio; quasi mille euro per un manifesto di carta attaccato su un muro con acqua e farina, non si tratta certo di una novità, ma stavolta c’è qualcosa di diverso dal solito.

L’attacchinaggio è avvenuto durante un’azione di solidarietà a Pablo Hasel, a poche ore dal suo arresto avvenuto proprio dentro un’università, quella di Lleida.

Riteniamo dunque che la sproporzione tra l’episodio e la sanzionato siano da leggere alla luce del messaggio di denuncia politica che conteneva: con quel manifesto tendevamo un filo rosso di solidarietà fra gli studenti di Bologna e gli studenti catalani che si erano riversati all’Università di Lleida per difendere Pablo dall’arresto. La risposta della polizia ha invece teso un altro filo, stavolta nero, quello della repressione, fra l’Unibo e lo stato spagnolo.

Per questo saremo in conferenza stampa venerdì 12 marzo davanti al 36 alle ore 14.30, per iniziare, a partire dal nostro percorso in solidarietà a Pablo Hasel, a parlare di quello che succede anche qui e di chi dovrebbero essere i veri protagonisti di qualsiasi discorso sull’università: gli studenti e chi dentro l’università ci lavora.

È necessario rimettere al centro la riappropriazione dei nostri spazi di agibilità, per opporre a questo modello universitario fallito un’alternativa radicale: altrimenti ci aspetta solo un futuro pieno di preoccupazioni, malessere e precarietà. Non ci arrenderemo, lotteremo per un’università che guardi ai nostri interessi e per un futuro che sia nostro!

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