Dopo la notizia dell’accordo con l’israeliana Mekorot vi sono state diverse mobilitazioni che hanno portato alcuni comuni soci della multitutility a chiedere spiegazioni circa la natura di questo accordo.
La nota informativa arrivata a Febbraio, firmata dal responsabile innovazione di Iren, lascia perplessi. Da un lato smentisce il trionfalistico comunicato di Iren all’indomani della firma dell’accordo, che parlava di una “partecipazione a progetti comuni oltre che alla condivisione di processi e tecnologie inerenti il settore delle acque”, sostenendo, invece, che l’accordo con Mekorot non è in contrasto con la responsabilità sociale di impresa perché “non impegna ad alcun rapporto di natura economica e commerciale né prevede investimenti da parte di Iren sul territorio israeliano”, per poi elencare progetti in Palestina in cui Iren è coinvolta.
Ora, tralasciando l’ammissione implicita che un investimento in territorio israeliano con Mekorot potrebbe creare problemi al rispetto della responsabilità sociale di impresa sbandierata da Iren, sarebbe interessante capire come si possa partecipare a progetti di cooperazione in Palestina e contemporaneamente creare “una piattaforma di cooperazione” con una delle aziende responsabili del disastro che rende necessari i progetti in cui Iren si impegna.
Ci sembrano inadeguate, pretestuose e perfino di cattivo gusto le giustificazioni che accampa l’azienda e chiediamo con forza che le pubbliche amministrazioni socie della multiutility pretendano la rescissione di questo accordo che mette in imbarazzo tutta la cittadinanza.
A maggior ragione in un momento come questo, in cui i venti di guerra soffiano sempre più vicino e più forti, il no a questo accordo non è un dettaglio nella gestione di un’impresa, peraltro partecipata da capitale pubblico, ma un segnale importante che il business deve smettere di essere l’unica ragion d’essere della nostra “civiltà”.
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