Per la morte del giovane trentenne di origine tunisina Taissir Sakka (trovato morto con una ferita in testa), è indagato un carabiniere mentre altri cinque carabinieri sono indagati per lesioni ai danni del fratello della vittima (i due erano insieme la sera di sabato 14 ottobre, ndr), per averlo minacciato e percosso dopo la sua denuncia.
Sappiamo che gli abusi in divisa non rappresentano una novità ed è evidente che la retorica riduzionista del “melamarcismo” sia semplicemente falsa, non tenendo in conto la cultura che sottende tali violenze poliziesche e che poi ne garantisce l’impunità.
Peraltro, solo pochi anni fa, Modena si era resa teatro di uno dei più drammatici (quantomeno per il numero di vittime) abusi in divisa.
Il riferimento è evidentemente ai nove detenuti morti e ai vari feriti come conseguenza della durissima repressione della rivolta carceraria dell’8 marzo 2020, scatenata dalle preoccupazioni per la diffusione del Covid e il sovraffollamento che rendeva impossibile il distanziamento fisico nonché per il blocco dei colloqui e della ricezione dei pacchi.
Per quei fatti, lo ricordiamo, la procura di Modena ha chiesto l’archiviazione per i 120 agenti della polizia penitenziaria.
Nella consapevolezza della frequenza degli abusi in divisa, l’assassinio di Tassir desta particolare allarme per il clima in cui si innesta e di cui diventa inconsapevole emblema: da un lato, la militarizzazione della società e, dall’altro, l’arabo-fobia.
Relativamente al primo elemento, il governo sta mettendo in campo un’operazione interamente ideologica tesa all’accettazione della militarizzazione della società in funzione delle esigenze di avventurismo bellico del blocco euro-atlantico.
La restaurata festività nazionale del 4 novembre, “Giornata dell’Unità Nazionale delle forze armate”, sta lì a confermarci che la retorica patriottica tipica della destra reazionaria ora si coniuga perfettamente con le attuali logiche belliciste di quell’Occidente costituito da UE, USA e Nato.
Relativamente al secondo elemento, a seguito dell’audace insurrezione palestinese del 7 ottobre 2023, il mondo occidentale ha espresso solidarietà nei confronti di Israele e sta fornendo a quest’ultimo tutto l’apparato militare, politico, mediatico e culturale per giustificare l’ennesimo massacro del popolo palestinese.
Emblematica è infatti la scelta di Matteo Salvini di convocare per il 4 novembre a Milano una manifestazione “a difesa dei valori occidentali, dei diritti e della sicurezza” per contrastare le manifestazioni a sostegno della Palestina.
Sempre Salvini ha affermato addirittura l’esigenza “fermare qualsiasi nuovo permesso di costruzione di moschee, di centri culturali camuffati, e di avere una ricognizione di chi finanzia alcuni luoghi e di chi conduce le preghiere”. Come l’imam di Pisa, il quale semplicemente aveva definito un’attività di resistenza quella messa in campo dal popolo palestinese.
Per scongiurare il rischio di proliferazione di altri abusi di polizia è necessario che Taissir non diventi l’ennesimo caso dimenticato dalle cronache complici e costruire percorsi che portino al centro dell’agenda politica un fermo no alla militarizzazione della società e riaffermare la solidarietà al popolo palestinese.
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