La replica della giornalista Ilaria Maria Sala del #NewYorkTimes alla lettera che solo un narcisista come Lepore poteva scrivere al giornale per protestare, facendo così l’ennesima figura di palta.
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“Stimato sindaco di Bologna Matteo Lepore,
sono Ilaria Maria Sala (e non «una tale Maria Sala»). Mi è stato chiesto di rispondere alla sua lettera, cosa che faccio malvolentieri, ma con senso del dovere. Mi rammarica molto che il mio sindaco, sentendosi offeso e chiamato in causa da un articolo che ho scritto per il New York Times non si sia nemmeno premurato di trascrivere il mio nome per intero, e che invece di affrontare quello di cui scrivo, scelga di discreditare me e mettere in dubbio la mia provenienza e la mia competenza a scrivere quello di cui scrivo.
Non solo, ma che voglia anche partire nel suo ragionamento definendomi «una tale» per screditarmi ancor di più: «Chissà chi è questa e in fondo, chissà perché dovrebbe importarcene!» Basta fare una veloce ricerca Google, e troverà facilmente chi sono e cosa faccio.
Vero, abito a Hong Kong. Faccio parte delle centinaia di migliaia di italiani che abitano all’estero, fra i quali ci sono molti bolognesi. Malgrado questo, passo ogni anno diverso tempo a Bologna, la mia città, e la città in cui sono cresciuta: questo mi rende più sensibile ai cambiamenti rapidi e a mio giudizio negativi che hanno modificato la mia città, dato che certe differenze si notano con maggiore intensità quando, dopo un periodo di distanza, si torna a casa.
Ma queste stesse modifiche al tessuto urbano vengono anche sottolineate con enfasi dai miei amici che risiedono a Bologna tutto l’anno, e che non si sentono più a loro agio nelle vie del centro occupate in primo luogo da tigellerie, paninerie, piadinerie, pizzerie e, se posso osare il neologismo, mortadellerie.
Strade date in pasto, letteralmente, ai turisti di massa, che passano da un piatto da mettere su Instagram all’altro senza tanto interessarsi delle meraviglie della nostra città. Tutte le belle, bellissime attività che lei cita, che, da sempre caratterizzano la nostra città, sono messe a rischio dalle modalità di turismo attualmente in atto a Bologna.
Nel mio articolo non ho chiamato in causa Palazzo d’Accursio – è interessante notare che invece nei più di 1500 commenti al mio pezzo molti abbiano sottolineato che mentre io critico l’overtourism (fenomeno globale) il vero problema è come questo viene gestito. Io non ho pensato di mettere in discussione la gestione, ma concludo il mio scritto con la domanda: «Dobbiamo davvero viaggiare così?»
Il New York Times l’ha reputata una domanda sufficientemente pertinente da riprenderla nel titolo. Sono i turisti che vengono a Bologna solo per «la grassa», e che della «dotta» poco si interessano. Cito anche altre città in cui l’overtourism sta facendo danni notevoli, e come lei saprà, molte amministrazioni locali si stanno chiedendo in che modo affrontare il disagio per i residenti, e lo svuotamento di contenuti della città a cui questo porta.
Ma visto che lei invece si sente chiamato in causa direttamente, mi lasci cogliere l’occasione per farle una domanda: cosa fa l’amministrazione di Bologna per governare l’overtourism?
Non so se lei ricorda quello che rispondeva il suo predecessore, Renzo Imbeni, quando gli veniva chiesto perché Bologna non sviluppasse maggiormente il turismo: diceva che era perché le città sono fragili, e il turismo è distruttivo.
Io resto dell’opinione di Imbeni, e nel vedere quanto il centro di Bologna sia ora una fila continua di tavolini per nutrire turisti (dato che pochi di noi bolognesi hanno appetito per quelle pietanze, servite in quel modo) e non più un luogo di aggregazione cittadina, mi sento ancora più in sintonia con il pensiero del suo predecessore.
Lei non risponde in merito al mio pezzo – scredita anche il valore del mio scritto decidendo che non è qualcosa con cui il New York Times è per forza d’accordo dato che è un «Guest Essay», come se contasse meno. Temo che lei non sia al corrente di come funzioni scrivere per il Times, ma non è importante.
Le cose delle quali io parlo sono sotto gli occhi di tutti i cittadini, incluso di quelli come me che risiedono all’estero ma continuano a considerare Bologna «casa», verso la quale tornare ogni volta che è possibile.
Molti, moltissimi articoli scritti in italiano su giornali italiani dipingono un quadro molto più nero del mio – ma non ho visto lettere così irrispettose scritte ai loro autori. E’ davvero lamentevole che il rappresentante di una carica istituzionale prestigiosa come la sua voglia scrivere una lettera piccata, frettolosa e incapace di affrontare gli argomenti di cui ho scritto.
Ancora più lamentevole è voler far finta di non vedere quanto il centro città sia svilito dall’essere stato tramutato in quello che è oggi, o di sorvolare su quanto difficile sia trovare alloggio in città per chi è studente, o per chi lavora a redditi bassi, ritrovandosi a condividere casa in situazioni lontane dall’ideale.
Conto sul fatto che lei conosca la storia della luna e del dito che la indica. Chissà se a guardare la luna, invece che cercare di dileggiare e sminuire il mio dito che la indica, non si trovino soluzioni migliori per affrontare il disagio cittadino sotto gli occhi di tutti i bolognesi, che vivano a Bologna, o che lavorino all’estero.
Molto cordialmente, La sua concittadina Ilaria Maria Sala”
(ph : Hansy Lumen)
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Sergio Binazzi
bravissima cara Ilaria Maria, questa città è proprio diventata una mangiatoia a cielo aperto e a dire del sottoscritto bolognese di nascita anche penso di scarsa qualità. tu lo chiami con rispetto sindaco per me è il podestà, stessa pasta dei suoi avi di quel triste periodo fascista.
Maurizio
Non condivido. Le città saranno anche fragili, ma la bellezza, l’arte e la cultura, anche culinaria, sono di tutti e per tutti. Fa parte di un sistema democratico quello di permettere a tutti di fruire delle bellezze delle nostre città. Certamente i fenomeni vanno gestiti, senza però rinunciare ai posti di lavoro e all’economia diffusa che i flussi turistici portano. E magari senza mal celare un po’ di snobbismo quando si giudicano i bisogni espressi da certo turismo…
Oigroig
Fa parte del “sistema democratico” anche lo sfruttamento di chi è pagato pochi euro da grandi catene di ristorazione, le centinaia di omicidi sul lavoro che in Italia restano del tutto impuniti, l’evasione ed elusione fiscale di imprenditori, bottegai, affittacamere e affini, la spazzatura culinaria venduta a caro prezzo nei centri storici, l’inquinamento di ogni ambiente per raschiare minimi profitti, il disinteresse per chi verrà dopo di noi… la bellezza è un’altra cosa…