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Roma. Il Sudamerica è di nuovo in lotta

Nonostante la pioggia torrenziale che si è abbattuta nel pomeriggio sulla città, una buona risposta di pubblico ha fatto da cornice all’iniziativa promossa dalla Rete dei Comunisti al centro sociale Intifada sulla situazione politica che attraversa il Sudamerica, soprattutto (lo notiamo con piacere) dei giovani militanti e attivisti dell’Osa e di Noi Restiamo, accorsi alla fine della loro iniziativa coi lavoratori dell’ex Ilva sulla situazione dell’acciaieria di Taranto (dove sono già impegnati molti compagni per la preparazione dello sciopero del 29 proclamato dall’Usb).

Tante le adesioni pervenute nella settimana di preparazione che hanno garantito altrettanti interventi e perciò un dibattito intenso che ha toccato, crediamo, tutti i nodi essenziali che informano la vicenda, o il terremoto come titolava l’evento, latinoamericana.

La discussione era stata impostata su due filoni di ragionamento principali.

Da una parte, si notava come i numerosi “focolai” che si sono accesi nel 2019 lungo tutto il continente si caratterizzano per una forte connotazione di classe. Le parti sociali coinvolte nello scontro perseguono interessi non solo differenti, ma direttamente contrapposti. In più, questi interessi non coinvolgono direttamente quelli che guidano i paesi o le macroregioni nella competizione interimperialistica, i quali invece si riscontrano alla base di altre “zone calde” del pianeta come per esempio in Siria o a Hong Kong, ma hanno nell’imperialismo nordamericano il principale sostenitore, perlopiù in assenza di altri competitor.

Dall’altra, proponeva una riflessione sul modo di garantire alla spinta di quelle fasce della popolazione che nel continente hanno scoperto (soprattutto negli ultimi venti anni) un prima sconosciuto protagonismo politico elettorale, gli strumenti per la salvaguardia di quel potere politico che, come insegna il golpe boliviano, non è la stessa cosa del governo politico, quest’ultimo troppo spesso subordianto ai canoni della democrazia liberal-borghese e inefficace (alla lunga) per l’instaurazione della democrazia socialista.

Su queste linee guida, la riflessione si è sviluppata generalmente riaffermando i punti appena esposti, approfondendo inoltre una serie di questioni collegate al quadro di riferimento.

Luciano Vasapollo (RdC) ha chiarito come sia corretto parlare di “lotta di classe” perché il conflitto è direttamente collegato alle necessità di accumulazione che il modo di produzione capitalistico si trova ad affrontare dinanzi alla crisi sistemica che colpisce il modello di produzione, sempre desideroso di nuovi rendimenti, ma anche alle prese con la pretesa di aggiornare gli strumenti dell’espropriazione in una versione apparentemente green, eco-sostenibile. Da qui, la centralità strategica delle riserve di litio o di coltan che si trovano in enorme quantità in Bolivia e il Cile, elementi decisivi per la transizione dai combustibili fossili all’elettrico soprattutto per il rifornimento di energia del trasporto mondiale su gomma, un affare colossale da quasi un miliardo di mezzi.

Così come fu per il ribaltamento della società feudale da parte della borghesia, anche la resistenza o la controffensiva rispetto a questi interessi, oggi rappresentati dagli oligopoli transnazionali, è uno sforzo duro e di lunga durata, non privo di arretramenti, ma che deve vedere impegnate tutte le forze progressiste consapevoli che ogni velleità di compatibilità con l’attuale sistema (a tutti livelli, politico, economico, culturale ecc.) è un freccia carica nell’arco del nemico di classe.

Su questo, si è espressa però fiducia rispetto allo svolgimento degli eventi in quasi tutti i paesi del continente (Bartolomei, Risorgimento socialista), da anni protagonista di una partecipazione degli strati meno abbienti alla vita politica, coadiuvata non solo dalle tradizionali forze comuniste o socialdemocratiche, ma anche dai movimenti cattolici, protagonismo che inizia a far sentire le sue “sirene” anche a nord del Rio Bravo.

Che di movimenti potenzialmente di rottura si tratta è confermato dal ruolo assunto dai lavoratori (Renda, Sinistra classe e rivoluzione), i quali, solo nelle ultime settimane, sono stati protagonisti di scioperi (Cile e Colombia) o di mobilitazioni (Venezuela) generali che hanno messo in evidenza l’incompatibilità di un certo di tipo di organizzazione produttiva con la volontà di emancipazione e del raggiungimento del benessere collettivo.

Tuttavia, tutto questo – si è sottolineato più volte – nei circuiti tradizionali dell’informazione è stato raccontato, quando non proprio silenziato, in maniera distorta e confusionaria, impedendo un’onesta valutazione degli eventi in corso al di là dell’Atlantico (Papacci, Itali-Cuba e Rosso Fiorentino, Pap). La controinformazione dunque si rivela passo necessario ma non sufficiente per tutte le forze comuniste e progressiste che agiscono lontano dal luogo fisico di scontro, ma che ambiscono ad avere una funzione nel rivolgimento dell’attuale organizzazione sociale, anche nei cosiddetti “anelli forti della catena”, facendo sempre attenzione a tutti quegli elementi di disturbo che minano l’unità d’intenti della classe lavoratrice con elementi di compatibilità con lo status quo (Della Croce, Pci).

L’antimperialismo che si esprime nelle strade sudamericane è il sentimento che ha guidato anche il dibattito di ieri sera, e fa il palio con la solidarietà internazionalista che da sempre caratterizza la storia del movimento operaio (Cafierio, Casa del popolo Tanas).

Su questo, i presidi romani a sostegno della popolazione cilena e del governo che era stato legittimamente eletto dello Stato plurinazionale della Bolivia, sono stati momenti a cui la Rete dei Comunisti vuole provare a dare continuità, sondando il campo per una possibile mobilitazione, magari di carattere nazionale, a sostegno delle popolazioni in lotta nel continente latinoamericano.

Qui il video del dibattito.

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