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Roma. Diritto di residenza. Abrogare l’art. 5, conferenza stampa venerdi

Sono diventate moltissime le adesioni all’appello per la mobilitazione contro l’articolo 5 del Decreto Lupi, per riaffermare il diritto di residenza e libertà di movimento dentro e oltre la pandemia. Venerdì 9 aprile ore 12 è stata convocata una conferenza stampa a piazza Bocca della Verità nei pressi dell’Anagrafe comunale.

Dal maggio 2014, in Italia, è in vigore una norma che nega la residenza a chi vive in immobili occupati adibiti ad abitazione. L’articolo 5 della legge 23 maggio 2014 n. 80 – contenente “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015” – stabilisce che “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere la residenza né l’allaccio delle utenze”.

Le conseguenze di questa legge, che porta le firme dell’allora presidente del consiglio Matteo Renzi e dell’allora ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, si stanno rivelando nefaste per decine di migliaia di persone, escluse dalla possibilità di esercitare concretamente diritti sociali, civili e politici costituzionalmente garantiti.

Di fatto o di diritto, senza residenza non è possibile votare, accedere ai servizi di welfare locali, fare richiesta di assegnazione di un alloggio popolare, iscriversi ai centri per l’impiego, aprire una partita I.V.A., rinnovare i documenti, ottenere la cittadinanza italiana e la carta di soggiorno.

Senza residenza, inoltre, non è possibile godere a pieno del diritto alla salute, in quanto l’iscrizione anagrafica – per effetto di prescrizioni normative o a causa degli orientamenti restrittivi ed escludenti di distretti sanitari e operatori – è una condizione necessaria ai fini dell’assegnazione di un medico di famiglia e di un pediatra. Oltre all’impossibilità di partecipare ai programmi di prevenzione, ciò significa non poter godere di cure basilari se non rivolgendosi all’assistenza emergenziale, ossia recandosi al pronto soccorso.

Per quanto riguarda la scuola, la residenza non è un requisito formalmente previsto per l’iscrizione ai cicli formativi primari e secondari, sebbene in diversi casi sia di fatto richiesto, mentre costituisce una condizione necessaria per l’accesso ad alcuni servizi, quali la mensa e il buono libri, subordinati all’ISEE: chi non ha la possibilità di produrre questa certificazione, legata a doppio filo alla registrazione anagrafica, rimane tagliata/o fuori dalle misure di sostegno, pur essendone particolarmente bisognosa/o.

Senza residenza, inoltre, non è possibile effettuare l’iscrizione alla scuola materna né agli asili nido.

Nel Lazio, ultimamente, l’articolo 5 ha rappresentato un ostacolo anche nel percorso legislativo di regolarizzazione delle e degli occupanti senza titolo di alloggi Ater e comunali: la norma regionale esclude chi ha occupato dopo il maggio 2014, lasciando così senza tutele un cospicuo numero di persone aventi diritto.

Eppure, secondo i principi generali del nostro ordinamento, la residenza è un diritto soggettivo, localizzabile, come recita con chiarezza l’art. 43 del Codice civile, “nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Alla pubblica amministrazione spetta il compito di accertare semplicemente che questa condizione materiale sussista, ossia che la persona dimori effettivamente nel luogo dichiarato.

Nonostante la chiarezza del quadro normativo, tuttavia, l’iscrizione anagrafica è negata sistematicamente a specifiche categorie di persone, venendo impiegata come uno strumento di selezione della popolazione meritevole di accedere ai servizi e ai diritti di cittadinanza.

A distanza di quasi 7 anni dall’entrata in vigore dell’articolo 5, ogni tentativo di smontare anche parzialmente questo strumento fortemente coercitivo per decine di migliaia di persone – costrette, data la loro condizione di povertà, a vivere in alloggi o in immobili occupati – è risultato vano.

Con la crisi pandemica e la nuova legislazione sulla sicurezza urbana e sull’accoglienza, le conseguenze dell’articolo 5 si sono ulteriormente aggravate.

Tra i suoi effetti nefasti, va sicuramente annoverata la spada di Damocle dei distacchi delle utenze, che i gestori possono attuare in qualsiasi momento e che, infatti, sono stati minacciati (e talvolta eseguiti) dentro occupazioni a scopo abitativo e alloggi ERP. Non è mai accettabile pensare di privare di beni fondamentali come luce e acqua chi ha occupato per necessità (l’accesso all’acqua è un diritto inalienabile dell’uomo sancito dall’ONU nel 2010, e ribadito in Italia con il referendum del 2011 per la gestione completamente pubblica e partecipata del servizio idrico).

Tanto meno lo può essere nel bel mezzo di una pandemia, considerando che i mezzi per contrastarla sono tutti sistematicamente negati dalle disposizioni contenute nell’articolo 5 (dall’assistenza sanitaria, all’accesso a un alloggio dignitoso e fornito di tutti i servizi essenziali).

Come se non bastasse, persino la possibilità di ottenere l’iscrizione anagrafica secondo le modalità previste per le persone ritenute ‘senza fissa dimora’ – la c.d. residenza fittizia – è stata limitata da ulteriori ostacoli amministrativi e storture burocratiche. Le procedure impiegate per attuare questo percorso di registrazione sono spesso farraginose e vengono interpretate in modo difforme dalle diverse istituzioni coinvolte, spianando la strada alla discrezionalità degli attori in campo.

A Roma, per esempio, i diversi municipi seguono logiche e procedure molto diverse tra loro mentre la questura non riconosce la residenza fittizia come una condizione formalmente valida per il rinnovo dei permessi di soggiorno. In molti comuni, l’INPS rifiuta di attribuire il Reddito di Cittadinanza a persone iscritte come senza fissa dimora: nel loro caso, gli anni di iscrizione anagrafica non sono considerati accettabili.

Oltre a rappresentare di fatto uno stigma sociale – in molte/i denunciano la difficoltà a trovare un lavoro in regola disponendo di una carta di identità in cui l’indirizzo riportato è “via della casa comunale” o, a Roma, “via Modesta Valenti” –, la residenza fittizia ha contribuito alla formazione di un vero e proprio “mercato delle residenze”: data l’importanza, soprattutto per le persone migranti che hanno necessità di rinnovare il permesso di soggiorno, di un’iscrizione per dimora abituale, proprietari di case senza scrupoli e, a volte, inquilini già presenti nell’immobile, chiedono un sovrapprezzo per firmare i moduli di consenso richiesti dai comuni. Al fine di ottenere i propri documenti, queste persone sono spinte così, involontariamente, nell’illegalità.

Tutto ciò avviene non solo in contrasto con la nostra Costituzione – il cui art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo “sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e il cui art. 16 stabilisce che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” –, ma anche con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (la cosiddetta Carta di Lisbona): “con l’obiettivo di combattere povertà e esclusione sociale, l’Unione riconosce e rispetta il diritto alla casa e all’housing sociale, al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non siano in possesso delle risorse minime, in accordo alle regole stabilite dalla legislazione Comunitaria e dalla legislazione e pratiche internazionali”.

Con il “Piano casa” Renzi–Lupi, di fatto, i poveri vengono espulsi dallo stato di diritto e privati di diritti basilari per un’esistenza dignitosa. In nessun altro modo, infatti, è definibile la privazione di acqua, luce, riscaldamento, assistenza medica, istruzione, cittadinanza. E questo, francamente, non può più essere accettato.

Per queste ragioni intendiamo mobilitarci presso la sede dell’Anagrafe centrale di Roma venerdì 9 aprile, e invitiamo a sostenere questo appello e la campagna per il diritto alla residenza promossa da diverse associazioni, movimenti, giuristi e ricercatori universitari, nonché da deputati, senatori e amministratori locali.

Per adesioni: movimentoabitareroma@gmail.com

Primi firmatari:

A Buon Diritto Onlus, ActionAid Italia, ASGI Lazio, Black Lives Matter-Roma, Comitato Quarticciolo, Medici senza Frontiere Italia, Movimento per il diritto all’abitare- Roma, Pensare Migrante, Enrico Gargiulo (Università di Bologna).

Adesioni:

AS.I.A./USB, Attac Italia, Associazione Che Guevara Onlus, Clinica del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza – Roma Tre, Coordinamento Regionale Sanità, Coordinamento Romano Acqua Pubblica, Liberare Roma, Medici del Mondo Italia, Nonna Roma, Popica onlus, Potere al Popolo, Residenti Abitanti Esquilino, Riapriamo Villa Tiburtina, Roma 21, Sportello socio-legale Minerva, Paolo Berdini (urbanista), Marco Bersani (Attac Italia), Marta Bonafoni (consigliera regione Lazio), Elisabetta Canitano (ginecologa, presidente dell’Associazione Vita di Donna Onlus), Marco Cacciatore (consigliere regione Lazio), Carlotta Caciagli (Politecnico di Milano), Vincenzo Carbone (Università degli Studi Roma Tre), Michele Colucci (CNR Istituto di studi sul Mediterraneo), Giorgio de Finis (direttore MAAM e Museo delle Periferie), Mirco Di Sandro (Università degli studi Roma Tre), Stefano Fassina (deputato), Stefano Gallo (ricercatore CNR), Roberto Giordano (FIOM-Cgil), Michele Lancione (Politecnico di Torino), Giuseppe Libutti (Attuare la Costituzione), Roberta Lombardi (consigliera regione Lazio), Matteo Orfini (deputato), Massimo Pasquini (Segretario nazionale Unione Inquilini), Mario Podeschi (assessore alle politiche sociali Municipio 5), Francesco Romeo (avvocato), Maurizia Russo Spena (ricercatrice indipendente), Ylenia Sina (giornalista).

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