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Roma. Centri antiviolenza, per le istituzioni “questi sconosciuti”

È notizia di qualche giorno fa che la Regione a guida Rocca voglia sgomberare il centro antiviolenza (Cav) e casa delle donne transfemminista Lucha y Siesta e mettere a bando la gestione dei servizi.

Un presidio storico per garantire in città, e soprattutto nell’area est di Roma, un luogo che risponda alla violenza di genere e contro le donne.

Già l’amministrazione Raggi, a livello comunale, aveva iniziato il processo di smantellamento di Lucha e questo è stato perfezionato, sul piano regionale, dalle menzogne di Zingaretti prima e ora dalla giunta di destra di Rocca che, da copione, non vedeva l’ora di poter attaccare un luogo del genere.

Questa notizia si inserisce in un quadro sconfortante a livello sia nazionale sia regionale e cittadino rispetto alla presenza di Cav e case rifugio e al numero di persone che vi si rivolgono.

Da diversi anni il numero di donne che si rivolgono a questi centri è in aumento: nel 2020, 54.609 donne hanno contattato almeno una volta i Centri antiviolenza, con un picco di 3.964 in più rispetto al 2019, ma anche negli anni successivi i dati restano preoccupanti.

Al contempo, i posti letto di Cav e Case Rifugio non sono sufficienti e questi si ritrovano a dover accogliere più persone di quelle previste, naturalmente a discapito della qualità del servizio che riescono a fornire che si riversa direttamente sulla vita di queste donne. Per non menzionare la quasi totalità di assenza di centri e case per persone trans e libere soggettività.

Nella sola città di Roma nel 2022 ci sono stati 1.172 nuove prese in carico da parte dei Cav, ma ben 185 richieste di ospitalità sono state rifiutate per mancanza della capacità di accoglienza: in proporzione parliamo del 15%.

A chiudere questo scenario va considerato che la distribuzione di queste strutture è completamente squilibrata tra nord e sud del paese, infatti nel centro-sud vediamo solamente il 29,7% del totale nazionale, un numero irrisorio in territori che sappiamo essere più deboli economicamente e dove moltissime donne non hanno strumenti economici in primis e spesso anche culturali per poter iniziare un processo di fuoriuscita da situazioni di violenza.

Questo dato ci riporta alla consapevolezza che chi paga di più queste carenze sono sempre le donne delle periferie, delle province, del sud e delle isole.

In tutto questo non un solo euro è stato pianificato nel PNRR per implementare i servizi e le strutture di fuoriuscita dalla violenza.

Dalla destra al centrosinistra, passando per i Cinque Stelle, chiunque si è lavato le mani rispetto all’affrontare seriamente la questione della violenza di genere, continuando a definanziare i centri, delegando al privato la gestione dei centri e case rifugio (tre su quattro sono privati) e al massimo inventando misure come il reddito di libertà, completamente insufficiente sia a dare reale indipendenza economica alle donne, sia a coprire le richieste: a livello nazionale i soldi stanziati coprirebbero a malapena 600 donne, semplicemente ridicolo.

Intanto, nei primi nove mesi di quest’anno 93 donne sono state ammazzate. Sappiamo bene chi ha la responsabilità di queste morti: una classe dirigente a cui non frega nulla e che non ha mai fatto nulla per contrastare la violenza di genere e i femminicidi.

E così torniamo a Roma, dove oggi vediamo come la destra ancora una volta raccoglie i frutti seminati in precedenza. Infatti, la seria minaccia di sgomberare Lucha y Siesta è stata resa possibile proprio perché la giunta Zingaretti, come suo solito, ha lasciato le cose a metà.

Se è vero che hanno fatto il minimo indispensabile acquistando all’asta l’immobile dell’ATAC (e quindi assumendosi la responsabilità, per una volta, di riappropriarsi degli stabili che dovrebbero essere beni pubblici) e hanno avviato un protocollo d’intesa per riconoscere formalmente a Lucha y Siesta la gestione del centro e dell’immobile, non hanno poi chiuso il protocollo, classico del loro stile, lasciando così spazio alla nuova giunta per fare il lavoro sporco.

Questa non è certo una modalità nuova del PD, infatti glielo abbiamo visto fare in maniera identica sul riconoscimento del Lago dell’Ex-Snia come monumento naturale.

Così come con la promessa di contraccezione gratuita nei consultori, masticata e risputata fuori con lo stanziamento di quattro spicci in piena campagna elettorale che non sono sufficienti neanche a coprire qualche mese di distribuzione gratuita di contraccettivi.

Al contempo, ricordiamo fin troppo bene la – ipocrita – passerella di Gualtieri e Rocca il giorno in cui abbiamo commemorato Michelle a Primavalle. Delle vostre chiacchiere non ce ne facciamo nulla!

Vogliamo che la Regione e il governo, così come le giunte comunali, si facciano seriamente carico di quella che è la violenza di genere, invece di gridare solo alla repressione.

Vogliamo più Cav e case rifugio, vogliamo che divengano dei presidi territoriali diffusi in modo uniforme sul territorio e che siano finanziati e gestiti pubblicamente.

Vogliamo che centri come Lucha, che da anni si attivano per combattere la violenza di genere, aumentino e siano riconosciuti invece che essere sgomberati.

Vogliamo che nessuna venga rimandata indietro dalle persone abusanti o lasciata senza strumenti per difendersi, perché violenza è anche quella delle istituzioni che sbattono le porte in faccia alle donne vittime di violenza.

Siamo accanto a Lucha e continueremo a lottare per difendere e potenziare i Cav, tra i principali strumenti di autodifesa contro la violenza sulle donne e di genere!

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