Venerdì 10 maggio la sezione ANPI trullo-Magliana ha organizzato sul problema del conflitto in Palestina un dibattito pubblico presso la Palestra Popolare ex-Baccelli a Roma Monte Cucco.
Ad animare la discussione, moderata da Andrea Mariano dei Sanitari per Gaza, erano presenti Daniel Damascelli del Laboratorio Ebraico Antirazzista (LEA), Alì Rashid primo segretario dell’Ambasciata Palestinese e Barbara Schiavulli, giornalista che ha operato a lungo in Palestina.
Chi ha partecipato all’incontro ha potuto avere una idea ampia delle questioni in essere, con in più l’occasione di confrontarsi senza filtri e reticenze.
Sapere di prima mano da una giornalista cosa accade in Palestina è utile per comprendere le sofferenze causate dagli zeloti (mi rifiuto di considerali ebrei) e avere un quadro storico da un palestinese che vive in Italia da molti anni serve per avere bene presente di cosa si parla, ma le voci di appartenenti alla comunità ebraica che è difficile ascoltarle perché isolate nella loro stessa comunità, non solo è stato importante per consentirgli un ambito pubblico che gli è negato (tanto più che sono minoranza in una minoranza), ma consente a noi comunisti di ascoltare punti di vista e critiche a cui normalmente non pensiamo o rifiutiamo.
Daniel nel suo intervento ha ribadito che l’azione della LEA non è solo contro il sionismo (il razzismo messianico) ma anche contro il razzismo presente nella sinistra politica italiana.
Questa affermazione può stupire o far arrabbiare ma purtroppo è vera, infatti discutendo con compagni stimati spesso sento affermazioni di sufficienza e luoghi comuni sugli ebrei, italiani in particolare, ma questi pregiudizi sono sfortunatamente alla base del razzismo: “loro sono diversi da noi, non cambiano e sono ambigui” parole che purtroppo sento ripetute.
D’altronde un intervento a fine incontro di una militante della LEA ha evidenziato come tra loro percepiscono i fatti del 7 ottobre scorso, ribadendo come Hamas ha compiuto quel giorno un atto terroristico infame e come Hamas è una organizzazione criminale.
Sicuramente il 7 ottobre c’è stata violenza anche verso persone incolpevoli, ma dietro questa visione dei fatti traspare come la propaganda zelota sia stata acquisita anche da chi è ebreo e di sinistra.
Perché pensare che i fatti del 7 ottobre sono propaganda? E la considerazione delle vittime non vale o è una cosa scontata?
Senza polemizzare con la militante della LEA, che non voglio offendere, ma per capire i fatti del 7 ottobre è necessario inquadrarli nel giusto contesto.
Quello che non narra la propaganda zelota e i suoi supporter atlantisti è che quel giorno un terzo dei morti (373) erano appartenenti alle forze di sicurezza, che molti dei morti, che non sapremo mai quanti, sono stati assassinati a cannonate e bombe dall’IDF, che sicuramente era falsa la notizia dei 30 bambini assassinati, falsa la notizia dei 12 operatori UNWRA complici di Hamas e ancora senza prove l’accusa di numerosi stupri.
Allo stesso tempo Hamas ha una visione integralista e oscurantista, ma al contempo è una organizzazione che sta attivamente guidando la resistenza conto l’infame e genocida azione dell’esercito e del governo zelota (questo è evidente per chi vuole vedere).
A fronte di ciò (cosa è Hamas), è necessario un ambito di discussione che devono fare i comunisti perché vi è un regresso culturale nel Mondo dopo la fine del “socialismo reale” e vi è la perdita di una prospettiva internazionale “laica” e socialista che sembra essersi interrotta, da qui l’esistenza di lotte per la decolonizzazione che non sono di liberazione.
Giustificare sempre Hamas? No, ma quello che invece dobbiamo fare è capire cosa succede e come uscire da una situazione tragica che comunque coinvolge tutti quelli che vivono “tra il mare e il fiume”.
Se devo fare una valutazione dei fatti del 7 ottobre, allora devo dire che i palestinesi vivono qui fatti tutti i giorni, un po’ per volta, da oltre 76 anni, senza che il “mondo” se ne scandalizzi.
Come interrompere la violenza, adesso sempre più chiaramente un genocidio?
E’ evidente che il governo zelota, sia quello dei colonialisti messianici, e sia esso moderato dell’opposizione, non ha alcuna intenzione di far costituire uno stato palestinese, perché gli accordi di Oslo (e l’assassinio di Ytzak Rabin) sono stati utilizzati per rendere “normale” una organizzazione di apartheid, che può essere superata solo con l’estromissione dell’IDF e il disarmo dei coloni.
Questo potrà avvenire solo mettendo in estrema difficoltà il governo zelota, o con la guerra (che travolgerebbe tutti “tra il mare e il fiume”) o attuando azioni (vedi il BDS) che costringa la popolazione dello stato zelota a rimettere tutto in discussione e non considerare i palestinesi come elementi da eliminare.
La ICJ, monopolizzata dai governi occidentali (non a caso con sede a l’Aja come la CPI) nonostante sia chiamata a giudicare lo stato zelota per genocidio, non lo fa perdendo tempo, però la vertenza iniziata dal Sudafrica (stato non arabo e non mussulmano) ha svelato la natura razzista e di apartheid dell’accusato e a questo governo se ne sono aggiunti altri: Namibia, Maldive, Pakistan, Bolivia, Giordania, Malesia, Venezuela, Turchia, Egitto.
Plasticamente è il “terzo mondo” che si sta ribellando alle politiche criminali dell’occidente, che non è tra gli accusatori, e più perdurerà questa situazione in Palestina e più ci sarà un rifiuto verso lo stato zelota e più le sanzioni verso esso rischieranno di diventare concrete.
Per trovare una soluzione al conflitto, però, serve una soluzione politica ed è perciò necessario farla finita con la storiella di “due stati per due popoli”, perché è una scusa ipocrita dei governi (occidentali) per dire una cosa carina ma lasciare tutto come è.
Non so dove e chi debba improntare il dibattito, ma esso deve iniziare dall’unico confine stabilito dall’ONU, quello del 1947 e non le conquiste aggressive degli zeloti, che tra il fiume e il mare vivono due popolazioni e che lì dovranno convivere e accettarsi, che qualsiasi forma di stato sia per la convivenza e non la separazione, che la discussione sia fondata riconoscendo tutti i torti e tutte le ragioni.
Sfortunatamente manca un Nelson Mandela tra il fiume e il mare.
* Anpi Trullo – Magliana
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Flavia Lepre
Doloroso constatare come l’intrinseca impronta colonialista dei vincitori della II Guerra mondiale sia profondamente distillata nel nostro abbarbicarci alla legalità senza coglierne i confini che la separano dalla legittimità. Senz’altro la legalità pone argini alla violenza… potenzialmente, tuttavia talvolta si fonda sulla violenza. È questo il caso della decisione illegittima e colonialista di assegnare più della metà della terra palestinese ad una popolazione eteroctona da insediarvisi, e senza aver interpellato in materia la popolazione che già vi risiedeva sull’intera area. Quando riusciremo ad aspirare ad una maggiore vicinanza e coerenza della legalità con la legittimità? Ancora dobbiamo accontentarci di “beati gli orbi in un mondo di ciechi”?