Nel silenzio e di nascosto, con fare furtivo, il 23 dicembre 2024, con un decreto legge, il governo ha esteso i poteri commissariali previsti per Caivano, a sei quartieri d’Italia, fra cui il Quarticciolo.
A memoria mia, è la prima volta che la capitale d’Italia viene espropriata della potestà amministrativa su una (piccola) parte del suo territorio, senza che questo susciti alcuna reazione politica.
Orbene, la vicenda apre, a mio avviso, 2 questioni. Una di metodo ed una politica, fra loro interconnesse.
La prima questione riguarda la scelta di nominare un commissario che, in deroga alla disciplina di legge, scavalca la politica e gli uffici pubblici, istituzionalizzando le emergenze, senza alcuna conoscenza della situazione che si trova ad affrontare e senza che questi risponda del suo operato alla cittadinanza. Fatto, questo, già di per sé gravissimo.
La seconda questione, più eminentemente politica, riguarda il potere, che il governo esercita pro domo sua, di espropriare le autonomie locali – riconosciute dall’art. 5 della nostra Costituzione – dei propri poteri senza colpo ferire.
Non starò qui a ricordare che il primo potere politico che il fascismo neutralizzò, nella sua ascesa irreversibile, furono le autonomie locali e i municipi rossi. Constato, però, con rammarico, che oggi in Italia si può scegliere di governare dall’alto “pezzi” di Comuni senza che questo susciti sdegno e rivolte.
Ma questa scelta, che apparentemente nasce dalla volontà di velocizzare gli iter amministrativi, va spiegata bene, perché nasconde invero un’altra finalità. Dimostrare che laddove il centrosinistra fallisce, nel governo delle periferie romane, la destra costruisce un modello, “legge e ordine”, mutuato dall’esperimento Caivano, da utilizzare politicamente come esempio.
Va considerato che le retoriche demonizzanti sulla droga e sul crimine portate avanti dalla destra sono in realtà un apartheid semantico: costruiscono muri espistemoligici (attorno a periferie, slums, quartieri marginali) che disinnescano ogni onesto dibattito sulla violenza dell’esclusione economica. E la criminalizzazione categoriale dei poveri urbani è una profezia che si autoavvera.
Ad colorandum, per capire come si è arrivati a questo punto, è perché è stato scelto il Quarticciolo a Roma piuttosto che Tor Bella Monaca, San Basilio, Ostia Nuova, Ponte di Nona, ecc, c’è il fatto che già ieri mattina Don Coluccia, assieme al commissario straordinario, era al Quarticciolo, per decidere le sorti di quel quartiere, non si capisce bene a che titolo, senza che l’unico soggetto a ciò deputato fosse presente, il Comune.
Come dire, vanitas vanitatum, et omnia vanitas.
Ovviamente questa operazione politica non nasce a caso. Don Coluccia considera suoi nemici tutti quei soggetti sociali che operano nei quartieri della nostra città sulla base di una sensibilità diversa, ispirata ai valori del mutualismo, della solidarietà di classe, della giustizia sociale, dell’universalità dei diritti, che proprio perché portatori di una diversa risposta alle politiche liberiste e criminogene che hanno sventrato i nostri quartieri, rappresentano per lui un nemico, anche religioso, se mi è permesso il paradosso.
Dal mio punto di vista, infatti, esperienze come quelle del Quarticciolo rappresentano, anche, una testimonianza evangelica, sebbene declinata in altre forme, da militanti che magari sono anche non credenti. E, come sappiamo, l’esempio è il nemico peggiore per quelli come Don Coluccia, che prosperano nella paura e solo grazie alla paura.
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