Oggi sono andato davanti alla IVECO di Brescia, al banchetto per la raccolta firme di #UnionePopolare, per le leggi sul salario minimo a 10 euro ora e per il reato di omicidio sul lavoro.
Abbiamo raccolto sottoscrizioni convinte, ma anche una marea di paura, rabbia e rassegnazione.
Io andavo regolarmente in quella fabbrica quando ero segretario della FIOM di Brescia, tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso. Allora la IVECO ex OM era una delle capitali dell’orgoglio operaio, capace di lotte formidabili e carico di dignità e rispetto. Non è rimasto quasi nulla.
Oggi gli operai entrano ed escono dalla fabbrica ad occhi bassi e con passo frettoloso come negli anni 50.
“Siamo tornati indietro e neanche tu sai di quanto…”, mi ha detto un operaio che si è fermato al banchetto per aiutarci nella raccolta firme.
“Lavoro qui da 33 anni, sempre iscritto alla CGIL, ma qui il sindacato c’è solo sulla carta. Gli operai sono rassegnati e accettano tutto, ma chi li dovrebbe rappresentare fa poco. Abbiamo avuto un infortunio gravissimo, solo un miracolo ha evitato il morto, e ci sono state solo due ore di sciopero. I lavoratori sono sempre più menefreghisti e i sindacati, anche la FIOM, stanno seduti…”
Queste le parole di dolore che ho raccolto, altri invece si fermavano per dirci che tutti fanno schifo e tutti li hanno abbandonati e non credono più a niente.
Ho fatto in piccolo sondaggio, dal quale è emerso che la grande maggioranza degli operai ha smesso di votare.
La IVECO non è una aziendina precaria, è una fabbrica che ha fatto storia a Brescia, una delle più politicizzate, da essa nel passato sono usciti dirigenti sindacali e politici, consiglieri comunali, persino parlamentari. Oggi è un deserto di disinteresse e passività.
Questo disastro politico culturale e civile è sicuramente frutto di trent’anni di politiche anti operaie di tutti i governi, di destra e centrosinistra. Il feroce autoritarismo padronale, rinfocolato da Marchionne, è stato anch’esso determinante.
Ma la passività e la complicità dei sindacati ufficiali hanno anch’esse la loro parte di colpa.
La nostra raccolta firme è un primo atto, molto importante perché comunque risveglia coscienze.
Ma poi bisogna risalire una lunga china di sfruttamento, oppressione e passività. E ci si dovrà scontrare anche con il mondo politico e sindacale che di questa condizione operaia è responsabile e complice . O che semplicemente si è arreso ad essa.
Grazie agli operai che hanno firmato, a loro e a tutti gli altri dobbiamo garantire il nostro impegno a non mollare.
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