La coscienza umana fa un passo avanti ogni qual volta si riesce a chiamare l’orrore col proprio nome, a prescindere dall'”appartenenza” al campo degli alleati o dei nemici.
E non è un caso che sia la mobilitazione degli studenti a rompere la campana di vetro dell’omertà che consentiva alle università italiane di stringere accordi con quelli che si sono rivelati, a tutti gli effetti, dei criminali. Se ne stupisce, e ovviamente se ne lamenta, il giornale di casa Agnelli, che i torinesi doc conoscono come “la busjarda“.
Buona lettura.
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No al progetto con Israele L’Università di Torino si schiera con gli studenti
«Basta accordi dell’Università con Israele». Cori, striscioni, bandiere. Sono arrabbiati gli universitari di Torino. E ieri hanno chiesto all’Ateneo di non voltarsi dall’altra parte. Di sottoscrivere quella lettera – mandata al ministero degli Affari esteri e già firmata da oltre 1700 accademici di tutto il Paese – per sospendere l’accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra le università e i centri di ricerca italiani e israeliani.
Un appello a cui l’ateneo torinese ha risposto votando una mozione di poche righe: «Il Senato accademico ritiene non opportuna la partecipazione al bando Maeci, visto il protrarsi della situazione di guerra a Gaza».
È il primo ateneo italiano a sospendere nuove collaborazioni con le realtà accademiche israeliane. La giornata è iniziata all’insegna delle proteste. Al grido “Palestina libera”, gli universitari di Cambiare Rotta e Progetto Palestina hanno interrotto la seduta del Senato con bandiere e striscioni.
«A fine febbraio – ha ricostruito Imen, una militante di Progetto Palestina – il ministero degli Affari esteri ha annunciato il bando per la raccolta di progetti congiunti di ricerca tra Italia e Israele, da presentare entro il 10 aprile. Non è difficile immaginare per quali fini verranno utilizzati».
Da qui, la lettera aperta firmata da oltre 1700 accademici di tutta Italia per chiedere alle Università di prendere una posizione. «Il finanziamento – viene spiegato nella missiva – potrebbe essere utilizzato per sviluppare tecnologia dual use, ovvero a impiego sia civile sia militare».
La richiesta degli studenti di Torino al rettore e ai membri del Senato è stata quella di aderire all’appello: «Vogliamo che il nostro Ateneo non si renda complice del genocidio in atto – ha dichiarato Francesco di Cambiare Rotta – che i centri di produzione del sapere non siano legati alla violenza e che nessuna delle nostre ricerche possa essere utilizzata per fini militari».
I docenti hanno ascoltato in silenzio. «Riceviamo il documento – è stata la risposta del rettore, Stefano Geuna – e ne discuteremo al momento opportuno».
Ma i giovani non potevano aspettare. E hanno chiesto al vertice dell’ateneo di «essere partecipe della decisione». È iniziato così, a seguito della seduta del Senato, un pomeriggio di confronto tra le due anime dell’Università.
Nell’Aula Magna di via Po, la comunità accademica ha ricordato ai ragazzi il «valore della ricerca e della collaborazione tra docenti» e si è detta «contraria al boicottaggio accademico». Perché, sono le parole di Francesco Ramella, direttore del dipartimento di Culture Politica e Società, «la libertà di ricerca e di insegnamento sono valori costituzionali e costruiscono ponti di pace».
«Non ci giriamo dall’altra parte – ha aggiunto Gianluca Cuniberti, direttore del Dipartimento di studi storici – siamo attenti alla questione palestinese, vogliamo capirla in profondità».
Ma agli studenti le parole non sono bastate. Chiedevano un segnale. Così il Senato si è riunito nuovamente e ha votato una mozione che di fatto sospende la partecipazione al bando Maeci.
Solo due astenuti e una contraria, Susanna Terracini, direttrice del Dipartimento di matematica e discendente di Umberto, tra i fondatori dell’Ordine Nuovo e del Partito Comunista: «Sono contraria ai boicottaggi accademici perché, con l’esclusione dei progetti bellici, le collaborazioni scientifiche e gli scambi tra studenti sono un elemento portatore di pace».
Gli altri docenti hanno parlato di «vittoria del dialogo». «In questo momento – ha spiegato Ramella – non c’è una condizione ideale per fare ricerca in Israele o per mandare nel Paese studenti, è guerra».
Hanno parlato di “vittoria” anche gli studenti: «Proveremo a ottenere lo stesso risultato negli altri Atenei del Paese, vogliamo rompere ogni complicità tra Italia e Israele».
* da La Stampa
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