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La guerra economica tra gli Stati Uniti e l’Iran

di Pepe Escobar

Asia Times Online

NEW YORK

Ecco qui un corso accelerato su come dare una picconata ulteriore all’economia mondiale.

Un emendamento al National Defense Authorization Act firmato dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, proprio l’ultimo giorno del 2011, [Il presidente Usa Barack Obama ha firmato un incredibile legge che trasferisce all’esercito ogni competenza in materia di persecuzione del terrorismo e prevede la possibilità di imprigionare i sospetti terroristi a tempo indeterminato e senza processo. Il progetto di legge sulla Difesa ( National Defense Authorization Act) da 662 miliardi di dollari, approvato dal Senato lo scorso 15 dicembre, nega ai cittadini statunitensi i loro diritti costituzionali chiudendo la lunga storia dello Stato di diritto negli Stati Uniti], – quando nessuno stava prestando attenzione – impone sanzioni a qualunque paese o società acquisti petrolio iraniano attraverso la banca centrale dell’Iran. Pena l’esclusione per chi lo fa, a partire dall’estate prossima, da ogni rapporto commerciale con gli Stati Uniti.

Questo emendamento – a tutti gli effetti una dichiarazione di guerra economica – vede la sua origine dalla Commissione per gli Affari pubblici Israelo-statunitensi (AIPAC), agli ordini diretti del governo israeliano guidato dal primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu.

Torrenti di contorte elucubrazioni hanno cercato di giustificare questo come il “piano B” dell’amministrazione Obama, come alternativa alla concessione ai cani da guerra israeliani di scatenare un attacco unilaterale contro l’Iran, dato il suo presunto programma di armi nucleari.

Di fatto, la strategia originale israeliana era ancora più isterica – quella di impedire efficacemente a qualsiasi paese o compagnia di pagare le importazioni di petrolio iraniano, con le possibili eccezioni di Cina e India.

Inoltre, coloro che hanno messo Israele al di sopra degli interessi degli Stati Uniti hanno cercato di convincere tutti che questo non avrebbe dato luogo ad aumenti inarrestabili del prezzo del petrolio.

Dimostrando ancora una volta la loro impareggiabile capacità di spararsi sui piedi calzati Ferragamo, i governanti dell’Unione Europea (UE) stanno discutendo se continuare o meno a comprare petrolio dall’Iran. Il dubbio esistenziale è, se si deve smettere da subito o aspettare qualche mese.

Inevitabile, come la morte e le tasse, il risultato è stato – e non poteva essere altrimenti – un aumento astronomico del prezzo del petrolio. Ora, il greggio si aggira attorno ai 114 dollari al barile, e la tendenza è al rialzo.

 

Al tempo, datemi il greggio!

 

L’Iran è il secondo maggior produttore di petrolio nell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), e ne esporta oltre 2,5 milioni di barili al giorno. Di questi, circa 450.000 sono diretti verso l’Unione Europea – per l’Iran il secondo mercato per importanza dopo la Cina.

L’anonimo burocrate di turno, il commissario per l’energia dell’UE, Gunther Ottinger, si è destreggiato dichiarando che l’UE può sempre contare sull’Arabia Saudita per compensare il taglio delle forniture di petrolio da parte dell’Iran.

Qualsiasi analista petrolifero che si rispetti sa che l’Arabia Saudita non ha la necessaria capacità produttiva. Inoltre, e soprattutto, l’Arabia Saudita ha bisogno di fare un sacco di soldi con il suo prezioso petrolio. Dopo tutto, la Casa Saudita, contraria a qualsiasi rinnovamento, necessita di questi fondi per indurre al silenzio i suoi sudditi, ed escludere così ogni possibilità di una primavera araba indigena.

Dobbiamo aggiungere a questo la minaccia da parte di Teheran di bloccare lo Stretto di Hormuz, impedendo così ad un sesto del petrolio mondiale e al 70% delle esportazioni dell’OPEC di raggiungere i mercati; non c’è da stupirsi se i mercanti di petrolio si danno un gran daffare per assicurarsi quanto più greggio possibile.

Dimenticatevi il petrolio a prezzi accessibili di 50 o anche 75 dollari al barile. Il prezzo del petrolio potrebbe essere destinato a raggiungere presto i 120 dollari al barile o anche i 150 dollari nel periodo estivo, proprio come durante la crisi del 2008. L’OPEC, tra l’altro, sta pompando più petrolio che mai dalla fine del 2008.

Pertanto, ciò che aveva visto la luce come un improvvisato ordigno esplosivo nella tattica architettata da Israele, si è trasformato in un bombardamento a tappeto suicida contro interi settori dell’economia globale.

Non sorprende che il presidente della commissione per la politica estera e la sicurezza nazionale del parlamento iraniano, Ala’eddin Broujerdi, abbia messo in guardia l’Occidente che, con queste sanzioni sul petrolio, potrebbe commettere un “errore strategico”.

Tradotto: così come stanno le cose, il nome del gioco per il 2012 è “profonda recessione globale”.

 

Obama lancia i dadi, (dà i numeri!)

 

In primo luogo Washington ha lasciato trapelare come le sanzioni contro la Banca centrale dell’Iran non fossero “sul tavolo”. Dopo tutto, l’amministrazione Obama sapeva benissimo che si sarebbero tradotte in un aumento del prezzo del petrolio e in un biglietto di sola andata verso una più globale recessione. Il regime iraniano, del resto, guadagnerebbe più denaro dalle sue esportazioni di petrolio.

Tuttavia, la combinazione “Bibi-AIPAC” non ha avuto problemi ad imporre l’emendamento attraverso queste Mecche per cui viene prima di tutto Israele, vale a dire il Senato e il Congresso degli Stati Uniti, nonostante il ministro del Tesoro degli Stati Uniti, Tim Geithner, si fosse espressamente opposto.

L’emendamento appena approvato può non rappresentare le “sanzioni paralizzanti” reclamate a gran voce dal governo israeliano. Teheran sentirà la pressione – ma non ad un livello intollerabile.

Tuttavia, solo quegli irresponsabili del Congresso USA – disprezzati dalla stragrande maggioranza degli Usamericani, secondo numerosi sondaggi – potevano arrivare a credere di poter escludere dal mercato mondiale 2,5 milioni di barili di petrolio iraniano al giorno, senza conseguenze drammatiche per l’economia mondiale.

L’Asia avrà sempre più bisogno di petrolio – e continuerà a comprare petrolio dall’Iran. E i prezzi del petrolio continueranno a flirtare con la stratosfera.

Allora perché Obama ha firmato l’emendamento?

Per l’amministrazione Obama ora tutto è calcolo elettorale. Questi dementi allo stadio terminale del circo presidenziale repubblicano – con l’onorevole eccezione di Ron Paul – vanno spacciando l’idea di una guerra contro l’Iran, dal primo istante della loro elezione, e settori consistenti dell’elettorato degli Stati Uniti sono così sprovveduti da farla propria.

Comunque, nessuno che sia in grado di fare due conti elementari arriva a concludere che i sistemi economici degli Stati Uniti e dell’Europa abbiano di certo bisogno che il petrolio si indirizzi rapidamente verso il livello di 120 dollari, se si spera in una pur minima ripresa economica..

 

Guardiamoci negli occhi!

 

Ad eccezione di quella consorteria autolesionista, in crisi terminale, che è la NATO, tutti, ma proprio tutti, non terranno in alcun conto della dichiarazione israelo-usamericana di guerra economica:

 

La Russia ha già detto che la eluderà.

L’India sta già pagando il petrolio iraniano attraverso la Halk-bank in Turchia.

L’Iran sta negoziando attivamente di incrementare la vendita di petrolio alla Cina. L’Iran è il secondo maggior fornitore della Cina, subito dopo l’Arabia Saudita. La Cina paga in euro, e presto pagherà in yuan. A marzo, i due paesi sigleranno un accordo sui nuovi prezzi.

Il Venezuela controlla una banca bi-nazionale con l’Iran dal 2009; è così che l’Iran gestisce i pagamenti per i suoi affari in America Latina.

Anche alcuni alleati tradizionali degli Stati Uniti vogliono rimanerne fuori. La Turchia – che importa circa il 30% del suo petrolio dall’Iran, cercherà una clausola che esenti l’importatore turco di petrolio, la Tupras, dalle sanzioni degli Stati Uniti.

E la Corea del Sud cercherà una analoga dispensa per comprare circa 200.000 barili al giorno – il 10% del suo petrolio – dall’Iran nel 2012.

Cina, India e Corea del Sud, tutte intrattengono complessi rapporti commerciali bilaterali con l’Iran (lo scambio commerciale Iran-Cina, per esempio, è di 30 miliardi di dollari l’anno, e va aumentando). Niente di tutto questo finirà perché l’asse Washington /Tel Aviv ha deciso così.

Quindi ci si potrebbe aspettare una pletora di nuove banche private, istituite in tutti i paesi in via di sviluppo, allo scopo di acquistare petrolio iraniano.

Washington non avrà il coraggio di tentare di imporre sanzioni alle banche cinesi, quando queste inizieranno a trattare con l’Iran.

Semmai, bisogna ammirare il coraggio di Teheran. Dopo un’implacabile campagna di assassini mirati; rapimenti di scienziati iraniani; attacchi attraverso il confine nella provincia del Sistan-Baluchistan; il sabotaggio israeliano delle infrastrutture dell’Iran con virus informatici e altro; invasione del territorio tramite droni spia statunitensi; le infinite minacce israeliane e repubblicane di un imminente attacco “colpisci e terrorizza”; e la vendita da parte degli Stati Uniti di armamenti per 60 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, Teheran continua a non cedere.

Teheran ha appena testato – con successo – i suoi missili da crociera, precisamente nello stretto di Hormuz. Poi, quando Teheran reagisce ai continui atti di aggressione da parte dell’Occidente, l’Iran viene accusato di “atti di provocazione”.

Venerdì scorso, il comitato di redazione del The New York Times era totalmente innamorato delle minacce del Pentagono contro l’Iran, ed invocava quindi “la massima pressione economica”.

Il risultato finale, a soffrirne saranno gli Iraniani della classe media, e anche gli Europei della classe media, colpiti dalla crisi ed indebitati . Anche l’economia degli Stati Uniti soffrirà. E ogni volta che l’Occidente esagererà nella sua isteria, Teheran non mancherà di riservarsi il diritto di mandare i prezzi del petrolio alle stelle.

Il regime di Teheran continuerà a vendere il petrolio, continuerà l’arricchimento dell’uranio e, soprattutto, non cadrà. Come un missile Hellfire che cade su una festa di matrimonio pashtun, queste sanzioni occidentali falliranno miseramente l’obiettivo. Ma non senza aver provocato molti danni collaterali… allo stesso Occidente.

 

 

Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/NA07Ak01.html

Pepe Escobar (nato nel 1954) è un giornalista brasiliano residente a San Paolo del Brasile, che scrive esclusivamente in inglese. Scrive regolarmente una rubrica dal titolo The Roving Eye (L’occhio errante)  per Asia Times Online, ed è analista politico e corrispondente per The Real News Network.

Il suo articolo, ‘Get Osama! Now! Or else…‘, è stato pubblicato da Asia Times Online due settimane prima dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001; in questo documento, egli prevedeva che Al Qaeda stava preparando qualche attacco rovinoso.

 Bibliografia

  • Escobar, P. 2007, Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War, Nimble Books.

  • Escobar, P. 2007, Red Zone Blues: A Snapshot of Baghdad During the Surge, Nimble Books.

  • Escobar, P. 2009, Obama Does Globalistan, Nimble Books.

Traduzione per Tlaxcala di Alba Canelli e Curzio Bettio

Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/NA07Ak01.html

Data dell’articolo originale: 07/01/2012

URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6613

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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