Dunque, quella questione dei missili (e bene ho fatto a non scrivere subito, perché sono poi successe altre cose e ora posso fare un discorso un po’ più completo).
Come al solito, più che i fatti ci interessa capire i motivi dei fatti e provare a interpretarli.
I fatti li sappiamo: prima dell’alba del 29 dicembre la Russia ha scatenato un’incursione di missili su tutto il territorio ucraino che ha provocato danni estesi e vittime civili; la notte successiva l’Ucraina ha risposto colpendo la città russa di Belgorod con gli MLRS (lanciarazzi multipli), facendo pochi danni e un certo numero di vittime civili; infine, poco dopo la mezzanotte del 1 gennaio gli ucraini hanno colpito Donetsk, sempre con MLRS, e nella notte i russi hanno risposto con altri raid missilistici sul territorio ucraino.
Questi, appunto, i fatti. Ora, prima di provare a interpretarli, c’è da fare una premessa che in realtà andava fatta a monte, ovvero dall’inizio della guerra, e che va tenuta sempre presente ogni volta che si discute di quello che succede in una guerra.
La premessa è questa: la violenza, e soprattutto la violenza tra stati, è un linguaggio e come tutti i linguaggi va conosciuto prima di potersi impegnare in una conversazione.
Se, come affermava giustamente Carl von Clausewitz, “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi“, la violenza è il modo in cui questi mezzi si esprimono e, soprattutto, il linguaggio attraverso il quale si comunica all’avversario una serie di informazioni.
Quello che va compreso in primo luogo è che la violenza tra stati è sempre deliberata e premeditata: tra stati non si dà l’equivalente di svegliarsi storti e prendersela col cane o coi vicini, o litigare per un parcheggio e passare alle mani.
In secondo luogo, va compreso che la violenza, come tutti i linguaggi, ha come fine la comunicazione e non è fine a se stessa. Gli attacchi missilistici russi e ucraini non sono accessi di follia o di cattiveria, o risposte illogiche a difficoltà non previste, ma un modello comunicativo che l’interlocutore capisce benissimo, tanto che alla comunicazione iniziale fa seguire risposte appropriate, in senso escalatorio e de-escalatorio (al momento, escalatorio da entrambe le parti. Vediamo stanotte che succede).
Cosa comunica, dunque, il primo attacco russo? In primo luogo va segnalata la sua entità, davvero notevole (c’è chi afferma sia il più esteso dall’inizio del conflitto).
Sono stati lanciati un totale di 161 missili, tra Geran, Kh-101/555, X22-32, Iskander, Oniks, Kalibr e Kinzhal, in pratica esemplari di tutto l’arsenale, che hanno colpito obiettivi a Odessa, Kiev, Starokonstantinov, Vinnitsa, Kharkiv, Lviv, Cherkasy, Mirgorod, Nikolaev, Dnipropetrov, Kanatop, Chmel’nyc’kyj, Zaporozhye, Cherson, ossia ogni regione dell’Ucraina.
Gli obiettivi colpiti sono stati militari o misti (militari/civili) tra aeroporti, difese antiaeree, infrastrutture energetiche, fabbriche, magazzini e depositi.
Il gran numero di missili lanciati ha comportato ovviamente una risposta altrettanto massiccia delle difese antiaeree, con le conseguenze ovvie e scontate, ovvero missili o frammenti precipitati lontano dagli obiettivi designati, il più delle volte su zone abitate (nella prima foto uno dei casi in questione: un missile abbattuto precipita su un condominio a Kiev).
Questa precisazione è abbastanza importante, perché immediatamente e ovviamente da parte ucraina si è descritta l’incursione come mirata esclusivamente a provocare vittime civili, senza alcuno scopo militare: affermazione subito ripresa dai media occidentali e diffusa al pubblico.
Ora: le vittime accertate sono una quarantina (42 all’ultimo conto, di cui 19 a Kiev), e i missili lanciati 161. Se davvero lo scopo fosse quello di provocare vittime civili, basterebbe bombardare il centro di Kiev (o di qualsiasi altra città) all’ora di punta con una frazione dei missili impiegati, provocando un numero incomparabilmente maggiore di morti.
Che l’Ucraina affermi che si è trattato di un “atto terroristico” è ovvio e giustificato, che da parte nostra ci si creda… lo è un po’ meno.
Attenzione però: non è che i russi non bombardano appositamente gli ucraini perché sono “buoni”, in contrapposizione all’idea che li vuole “cattivi”. Non li bombardano perché non gli serve. Se gli servisse, ovviamente lo farebbero e staremmo parlando non di 42, ma di 42.000 morti. Anche 42 sono ovviamente troppi, ma non spendi un miliardo e mezzo di dollari (tanto è costato il raid, milione più milione meno) per questo.
Per cosa li spendi, allora? Ovviamente per fare danni, chiaro. Ma anche, come detto all’inizio, per comunicare una serie di informazioni. E sono davvero molte, dirette sia all’Ucraina che alla NATO.
Le elenco senza un ordine preciso e non è detto che siano tutte corrette:
non è vero che ci sia scarsità di missili a disposizione;
non è vero che non vengono più lanciati attacchi missilistici perché le difese antiaeree ucraine sono impenetrabili;
attacchi missilistici come quello che ha distrutto la nave ancorata nel porto di Feodosia provocheranno risposte che causeranno danni molto maggiori;
le capacità russe di scalare verso l’alto il conflitto restano estremamente alte anche senza ricorso alle armi nucleari (delle quali, se ci avete fatto caso, ormai non parla più nessuno);
non abbiamo alcuna intenzione di negoziare (o magari: comunichiamo così che le trattative che si stavano portando avanti sono fallite, o magari: sedetevi al tavolo e negoziate o la prossima volta sarà peggio).
La risposta ucraina, ovvero il bombardamento di Belgorod con gli MLRS, fa chiaramente intendere che il messaggio è stato recepito e che la risposta che si è scelto di dare va in direzione di un inasprimento del conflitto.
Che si sia deliberatamente scelto di provocare il maggior numero di vittime civili su suolo russo è materia di dibattito: anche in questo caso, se si è scelto di farlo non è per “cattiveria” ma per mancanza di altri modi di rispondere in maniera altrettanto efficace.
Certo morti civili ce ne sono stati eccome, 25 all’ultimo conteggio, tra cui parecchi bambini: in proporzione allo sforzo molti più di quelli uccisi dai russi, il che ancora una volta ci chiarisce che lo scopo russo non era quello di fare morti tra la popolazione.
Può darsi che non fosse nemmeno lo scopo ucraino: anche a Belgorod l’antiaerea ha fatto la sua parte abbattendo vari missili e parecchi account twitter molto seguiti negano nella maniera più assoluta che le vittime siano state causate dal fuoco ucraino, sostenendo che si trattasse di una salva di S-300 russi destinati a Kharkiv che invece è finita a Belgorod (cosa che non ha senso perché, anche in questo caso, parleremmo di un numero di morti estremamente più alto), il che può far pensare che la cosa sia un po’ sfuggita di mano.
Gli USA infatti hanno immediatamente dichiarato che “non incoraggiano” attacchi sul suolo russo, ovvero che non l’hanno consigliato né facilitato: infatti il materiale utilizzato per l’attacco pare sia di produzione ceca, cosa che non faciliterà di certo le relazioni tra i due paesi ma evita di peggiorarli tra Russia e USA, che sarebbe più grave.
Che cosa ha invece comunicato l’Ucraina con questo attacco? In primo luogo che non ha remore ad attaccare la Russia sul suo territorio, e questo è paradossalmente più un messaggio alla NATO che alla Russia. Dateci altri rifornimenti, metteteci in grado di recuperare il nostro territorio (come ci avete giurato e spergiurato che avreste fatto), oppure non avremo altra scelta che passare a quello che, senza troppa fantasia, possiamo definire terrorismo – il che, dal punto di vista militare, è assolutamente sensato.
Un modo quindi di chiedere altri fondi, di tornare ad essere rilevanti nel panorama mediatico, di alzare un po’ il morale al proprio campo di sostenitori (ieri si è festeggiato l’attacco a Belgorod quasi più del recupero di Cherson), e di notificare alla Russia che si è disposti più o meno a tutto.
Lo scopo, ovviamente, non è tanto quello di ammazzare i civili quanto di provocare o un crollo del morale (difficile: in questi casi di solito il morale si rafforza, come proprio gli ucraini hanno dimostrato in questi due anni, e la reazione dell’opinione pubblica russa infatti è stata molto forte) o, e sarebbe il miglior risultato possibile, una reazione inconsulta da parte della Russia, con attacchi quelli sì mirati a fare vittime civili, cosa che ovviamente rafforzerebbe la posizione ucraina e obbligherebbe la NATO e il Congresso USA a farsi un esame di coscienza.
La risposta russa, ovviamente, non è stata inconsulta, nemmeno dopo che stanotte è stata bombardata Donetsk e ci sono stati altri quattro morti civili. Sono stati colpiti altri obiettivi militari o misti, tra cui l’hotel Kharkiv Palace utilizzato dalle FFAA ucraine, ma nulla di particolarmente pesante nonostante da più parti si invocassero soluzioni drastiche e definitive.
Putin ha attentamente coreografato la sua visita all’ospedale militare Vishnevsky, dove oggi ha incontrato alcuni soldati feriti. Certo, ha detto, quello di Belgorod è un atto terroristico, effettuato con armi poco sofisticate, che colpiscono indiscriminatamente.
Ma dobbiamo rispondere nello stesso modo? Potremmo, potremmo anche noi colpire le piazze di Kiev e di altre città, e ha chiesto a Denis (uno dei soldati coi quali ha parlato) se dovessero fare lo stesso, colpire le piazze, i bambini, le mamme con le carrozzine. No, ha subito detto Denis, non i civili, le installazioni militari! Ed è quello che faremo, ha detto Putin.
Però ieri notte non sono state colpite solo le installazioni militari. Due cose ulteriori da tenere presenti: oggi è il compleanno di Bandera, che una certa parte della popolazione ucraina festeggia, e ieri il gruppo “Decomunistizzazione di Lviv” ha annunciato che in tutta la regione non ci sono più monumenti sovietici, posando fieramente sui resti di quello abbattuto il 31 dicembre (seconda foto).
Ebbene, forse casualmente, nel raid di stanotte un Geran ha distrutto (terza foto) a Bilohorshcha, un sobborgo di Lviv, la casa-museo di Roman Shukhevych, per il quale bastano due sole parole: battaglione Nachtigall – andate a vedere che galantuomini.
Molto peggio di Bandera, che porta la nominata ma là in mezzo non era per niente il peggiore. Qui c’è il link alla pagina Wikipedia della casa-museo: https://uk.wikipedia.org/…/%D0%9C%D0%B5%D0%BC%D0%BE%D1…).
E sempre a Lviv, un altro drone ha colpito (foto 4) L’Università Nazionale di Agraria, dove Bandera ha studiato e davanti alla quale campeggia una sua statua. Anche questa sarà stata una casualità…
* da Facebook
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