Menu

Questioni in merito ai “costi” (o “penali”) connessi all’opera Tap

L’altraa mattina a San Foca, la frazione di Melendugno (LE) dove si prevede l’approdo del Trans Adriatic Pipeline, centinaia di persone hanno dimostrato la loro indignazione nei confronti del voltafaccia dei 5 stelle (per i dettagli: Tap, da “lo blocchiamo in 15 giorni” a “fermarlo costerebbe troppo”: la giravolta del M5s sul gasdotto in Salento). Il governo “del cambiamento” ha infatti cambiato posizione di 180° sul gasdotto TAP, accampando l’esistenza di penali smentite non solo da Calenda (!!!), ma dallo stesso MISE presieduto da Di Maio (!!!) come dimostra la risposta alla FOIA di circa un mese fa (vedi qui e qui).
Per orientarsi in mezzo al mare di balle sparate a più voci da parte governativa, consiglio la lettura di questo quadro riassuntivo, ad opera di 
Michele CarducciRaffaele Cesari ed Elena Papadia.
Buona lettura da 
Alexik.

OGGETTO:
QUESTIONI IN MERITO AI “COSTI” (O “PENALI”) CONNESSI ALL’OPERA TAP
Le domande da porsi per rispondere correttamente agli interrogativi sui “costi” di abbandono di TAP, sono sostanzialmente 5.
1. se esistano contratti fra lo Stato italiano e TAP, che contemplano clausole penali o se questi contratti possano essere tenuti “segreti”;
2. quali altre fonti possano contemplare tali “penali” a favore di TAP;
3. a che titolo TAP può rivendicare “penali” o altre forme di “risarcimento” verso lo Stato;
4. quale funzione svolge, in tema di c.d. “penali”, l’Accordo intergovernativo trilaterale fra Italia, Albania e Grecia, ratificato dal Parlamento italiano nel 2013 e riferito all’opera TAP;
5. quali costi e quali benefici sono da ricomprendere nella valutazione dell’opera TAP.
In merito alle domande del gruppo 1, si osserva quanto segue.
A) Non esistono contratti fra TAP e Stato italiano, che direttamente fondino o legittimino c.d. “penali” (le quali ovviamente non possono essere meramente presupposte o sottratte all’onere della forma scritta). Di conseguenza, continuare a parlare di “penali” nei rapporti tra Italia e TAP è fuorviante e impreciso.
B) Non è possibile che esistano contratti “segreti”, stipulati dallo Stato italiano con TAP, non accessibili ai parlamentari o al pubblico, né è possibile che i Ministeri, interpellati dai Cittadini, si rifiutino di produrre documenti e ne limitino l’accesso. Si è più che certi di questo, in ragione delle disposizioni legislative sulla c.d. “trasparenza”, che presidiano l’azione amministrativa pubblica e la disciplina del c.d. “accesso civico” e di quello “generalizzato” (c.d. “FOIA”), al quale, tra l’altro, i sottoscritti hanno fatto ricorso proprio per avere riscontro sulle dichiarazioni dei Ministri in tema di “penali” e “risparmi di bolletta” connessi all’opera TAP.
In merito alle domande del gruppo 2, si osserva quanto segue.
A) TAP non è un’opera pubblica, ma un’opera privata che accede a finanziamenti non solo privati ma anche di provenienza pubblica (come quelli della BEI) e che gestisce interessi pubblici primari (il gas come energia per il fabbisogno pubblico e privato e per la transizione energetica nell’era dei cambiamenti climatici).
B) TAP autonomamente firma (o ha firmato) contratti con terzi di due tipi: il primo è con aziende fornitrici che portano avanti la costruzione del gasdotto; il secondo è con i c.d. «shipper» che vogliono acquistare il gas che arriverà dall’Azerbaijan.
C) Questi sono contratti privati fra TAP e terzi, non fra TAP e lo Stato italiano. Non
conosciamo direttamente il contenuto e il tenore di tutti questi contratti né quali clausole o condizioni contengano, proprio perché non sono con lo Stato. In ogni caso, essi non riguardano direttamente lo Stato, il che significa che TAP non può far valere tali impegni contrattuali al di sopra o in sostituzione di obblighi di legge, costituzionali e internazionali ai quali, come qualsiasi soggetto operante in Italia, è vincolata.
D) Questo dato è importante, perché significa che non si può parlare di “penali” in capo allo Stato italiano, come conseguenza di questi contratti privati fra TAP e terzi.

In merito alle domande del gruppo 3, si osserva quanto segue.
In caso di abbandono dell’opera, TAP ha solo titolo a chiedere un risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, connesso all’affidamento maturato con l’autorizzazione ricevuta dal MISE, ma da computare e provare sulla base di una serie di diversi elementi probatori, fattuali, normativi nazionali e internazionali.
Questo significa che il danno deve essere quantificato attraverso l’onere della prova (per es. alla luce delle clausole contrattuali sottoscritte da TAP con i terzi), la considerazione globale degli adempimenti delle parti e dei tempi (TAP e Stato), gli interessi pubblici prioritari da tutelare con l’abbandono dell’opera (per esempio, gli interessi prioritari climatici rispetto al calo dei consumi energetici e rispetto alla sostenibilità della domanda di energia fossile nel medio e lungo periodo, i contenzioni pendenti, le indagini penali in corso ecc…).
Di conseguenza, sia i conteggi formulati dalla stampa, circolanti da mesi, sia le dichiarazioni pubbliche di queste ultime settimane sulla quantificazione dell’ammontare delle c.d.
“penali”, appaiono poco plausibili e metodologicamente non corretti, proprio perché
prescindono da questa complessità di analisi.
In particolare, il calcolo dei 20 mld. di €uro, comunicato solo verbalmente dal Sottosegretario al MISE, Sen. Andrea Cioffi, al Sindaco di Melendugno (dato che il Sottosegretario si è rifiutato di esporre o consegnare documenti di riscontro), è molto discutibile sul piano metodologico: esso parte dalla considerazione che l’opera costa 4,5 miliardi, ma non specifica i costi direttamente riferiti al territorio italiano né considera quanto effettivamente è stato realizzato in base a report ufficiali. Presume invece che occorrerebbe risarcire circa 3,5 miliardi dell’intero gasdotto. Dopo di che, stima in 11 miliardi di €uro i danni derivanti dalle mancate consegne di gas da parte di Tap agli acquirenti, a cui si aggiungerebbero l’utile a cui Tap dovrebbe rinunciare e i costi che ricadrebbero sui produttori azeri relativi al gas estratto e non venduto. Con ulteriori 7 miliardi complessivi stimati, si arriverebbe così a circa 20 miliardi, sempre in una prospettiva di mancato utilizzo del gasdotto nei prossimi 25 anni. Nulla fornisce sui titoli giuridici a fondamento delle pretese azere (che non risultano da nessuna parte nei confronti dello Stato italiano) né contestualizza i presunti mancati guadagni al costante calo dei consumi di gas, certificato dallo stesso MISE, in Italia, e a quello altrettanto calante in Europa.
In una parola, quello del Sen. Cioffi è un calcolo presuntivo pro TAP, non un calcolo
probatorio pro contesto italiano.
Sostenere poi – come si legge sul sito “scenari economici.it” – che la fonte di tali conteggi risiederebbe addirittura nell’Accordo intergovernativo trilaterale fra Albania, Grecia e Italia è del tutto erroneo, in quanto tale Accordo non è un contratto fra Stato italiano e TAP, bensì un patto fra Stati, che si impegnano a cooperare per permettere la realizzazione dell’opera TAP.
In merito alle domande del gruppo 4, si osserva quanto segue.
Va subito precisato che l’Accordo intergovernativo fra Albania, Grecia e Italia (ratificato in Italia con la legge n. 153/2013) non è un contratto fra gli Stati e TAP, ma è un patto fra Stati finalizzato alle attività transfrontaliere di realizzazione dell’opera.
In quanto mero Accordo di realizzazione dell’opera, esso deve essere conforme alla Costituzione, alle leggi dello Stato italiano e ai Trattati stipulati dallo Stato italiano nonché ai Trattati e alle fonti del diritto europeo.

Tale Accordo non contempla i c.d. “HGA” (Host Government Agreement) fra Stato italiano e TAP, il che significa che non è corredato da specifici ulteriori impegni negoziali diretti fra Italia e TAP.
Infine, tale Accordo richiama, nel Preambolo, la c.d. “Carta dell’energia” (un trattato in tema di imprese e forniture di energia) che stabilisce alcune condizioni di correttezza nei rapporti tra Stato e imprese private multinazionali.
Almeno quattro di cinque condizioni vanno ricordate: a) il rapporto tra questa “Carta” e altri Trattati, che devono prevalere su di essa (per esempio quelli europei e le loro fonti) (è l’art. 16 della “Carta”); b) l’impresa multinazionale deve garantire che la sua azione sia finalizzata allo “sviluppo sostenibile dei Paesi” in cui opera e deve rispettare gli Accordi internazionali in materia ambientale, ai quali lo Stato aderisce (per es. l’Accordo di Parigi sul clima, del 2015 e le norme conseguenti in Italia ed Europa) (è l’art. 19 della “Carta”); c) la soluzione delle controversie non deve essere necessariamente contenziosa, ma anche diplomatica e solo residualmente contenziosa attraverso un tribunale arbitrale (è l’art. 26 della “Carta”); d) in caso di recesso di uno Stato dalla “Carta”, le disposizioni della “Carta” (tutte, non solo alcune) continuano ad essere
applicate per gli investimenti in corso, per un periodo di venti anni (è l’art. 47 della
“Carta”, noto anche come “Zombie Clause”); e) quindi, continua ad essere applicato all’impresa anche la clausola dell’art. 19 sulla valutazione del suo operato per lo “sviluppo sostenibile” del Paese ospitante.
Tutto questo è molto importante, perché l’Italia ha formalizzato il recesso dalla “Carta” dal 2016, ma l’Accordo intergovernativo trilaterale, che riguarda TAP, è del 2013.
Che cosa significa tutto questo? La risposta è molto semplice. In caso di abbandono dell’opera, TAP può invocare azioni di risarcimento verso lo Stato italiano, attraverso forme contenziose, arbitrali o di transazione, ma resta comunque vincolata alle condizioni della “Carta dell’energia” e soprattutto al rispetto degli altri Trattati dello Stato italiano (come quello di Parigi sul clima), della Costituzione italiana e del Diritto europeo.
Il che significa che TAP, per vedersi dar ragione delle proprie pretese risarcitorie, deve dimostrare di aver rispettato tutte le norme italiane ed europee: tutte, non solo alcune, compresi i Trattati internazionali in materia ambientale.
In merito alle domande del gruppo 5, si osserva quanto segue.
Ecco il punto nevralgico della questione.
Il Governo italiano, per decidere se portare avanti o meno l’opera TAP, si è limitato a una verifica della sola regolarità procedurale della Valutazione di Impatto Ambientale, dimenticando di considerare gli ulteriori vincoli imposti dall’ordinamento europeo: in particolare, si è dimenticato del Regolamento UE n. 347/2013 sui c.d. PIC (Progetti di interesse comune), che si applica anche a TAP.
Questo Regolamento impone il rispetto di diritti procedurali e sostanziali dei cittadini dei Paesi che promuovono l’opera:
– diritti procedurali di c.d. “democrazia ambientale”, attraverso la implementazione
specifica della Convenzione di Aarhus su accesso alle informazioni, alla giustizia e
partecipazione dei cittadini affinché, si legge testualmente, le «preoccupazioni del
pubblico» siano « prese in considerazione, in maniera aperta e trasparente» (ed è stata proprio il Ministro Barbara Lezzi, in sede di sottoscrizione dell’ “Impegno per la promozione della democrazia ambientale nel Salento e in Italia, in merito al gasdotto TAP” come candidata del collegio salentino al Senato, ad aver denunciato, nel marzo 2018, la «negligenza dello Stato nell’implementare la democrazia ambientale» su TAP (pag. 1 del documento sottoscritto);
– diritti sostanziali di analisi costi-benefici dell’opera, nella considerazione «degli
obiettivi energetici e climatici entro il 2020, nonché, più a lungo termine,
all’avanzamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050», nella valutazione completa della «resilienza a breve e a lungo termine del sistema del gas» e degli «impatti economici, sociali e ambientali, ivi compresi in particolare i costi esterni come quelli correlati alle emissioni di gas a effetto serra».
Questa analisi costi-benefici non è mai stata fatta né dai Governi della precedente Legislatura né da quello attuale (come dimostrano le risposte negative di tutti i Ministeri interpellati con i c.d. “FOIA” dei Cittadini salentini, tra agosto e settembre di quest’anno), con la conseguenza di aver di fatto disapplicato il Reg. UE n. 347/2013, riferito a TAP come opera di emissione di gas climalterante, e di aver così eluso anche la “Carta dell’Energia”, in cui le pretese creditizie dell’investitore privato devono essere valutate alla luce del rispetto dei Trattati internazionali in materia ambientale.
Giova però ricordare che il Reg. UE n. 347/2013, in quanto fonte euro-unitaria
immediatamente applicabile in Italia e prevalente su altre fonti statali non conformi,
vincola direttamente pure TAP e le sue aspettative e pretese giuridiche.
Di conseguenza, e conclusivamente, TAP ha titolo giuridico a richiedere “risarcimenti”, non solo provando il danno emergente e il lucro cessante nella contestualizzazione di tempi e modi di realizzazione della sua opera (comprendendo quindi le diverse variabili richiamate: dai tempi di
esecuzione ai contenziosi pendenti ecc…), ma anche dimostrando di rispettare tutte le previsioni ambientali europee e internazionali, non solo quindi la Valutazione di impatto ambientale interna, alle quali fanno rinvio tanto l’Accordo intergovernativo trilaterale del 2013, quanto la “Carta dell’Energia”, quanto la Costituzione e il Diritto europeo.
Se tutti questi oneri probatori non sono adempiuti, le pretese risarcitorie di TAP diventano fortemente ridimensionate e non sono certo computabili nella discutibile formula proposta, ma non documentata, dal Sen. Andrea Cioffi (i mancati profitti privati).
Sembra utile ricordare che, dopo l’Accordo di Parigi sul clima (sovraordinato rispetto all’Accordo intergovernativo del 2013 su TAP e alle aspettative di investimento di TAP, come dichiara appunto l’art. 19 della “Carta dell’energia”), l’interesse pubblico alla tutela climatica è ormai indiscutibilmente prioritario e preminente, sia a livello nazionale che europeo, rispetto a qualsiasi
aspettativa di profitto privata, sicché qualsiasi analisi di eventuali pretese risarcitorie private non può essere effettuata prescindendone.
L’opera TAP non garantisce lo “sviluppo sostenibile” dell’Italia (condizione di legittimazione dell’opera n base sia alla citata “Carta dell’energia” sia al Reg. UE n. 347/2013 e ss.mm.
Da qui, si sarebbe dovuti partire per una seria, completa e realistica analisi costi-benefici nella prosecuzione dell’opera; non dai conteggi non documentati del Sottosegretario Cioffi.
Anche per tali ragioni, i Cittadini salentini hanno promosso una apposita diffida climatica sia nei confronti del Governo che nei confronti di TAP, affinché si dimostri che l’opera del gasdotto e il nuovo gas garantiscano realmente il conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, soprattutto dopo l’allarmante Report di questo mese, reso dall’IPCC dell’ONU (“Global Warming of 1.5° C”: http://www.ipcc.ch/report/sr15/).
Tale rivendicazione si fonda su diverse fonti, che anche TAP deve rispettare:
Se ne citano alcune
– la “Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 53/144, 8 marzo 1999,
– le “Linee guida sulla Protezione dei Difensori dei Diritti Umani dell’OSCE”,
– la giurisprudenza della Corte EDU (dal caso “Taşkın e altri c. Turchia” in poi),
– la decisione della Corte di Giustizia UE 26 luglio 2017-Cause riunite C-196/16 e C- 197/16,
– i Regolamenti UE n. 1367/2006 (diritto all’informazione sulle emissioni climalteranti) e n. 347/2013 (già cit. sui PIC),
– Accordi di Parigi sul clima, del 2015.
Poiché lo Stato italiano è purtroppo ancora privo:
– della necessaria revisione della Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata dal precedente Governo e fondata sull’equivoco di tradurre l’inglese “decarbonization” in “decarbonizzazione” (in modo da non includere il metano come fonte da dismettere) invece che “de-fossilizzazione” (da carbonio, con evidente inclusione anche del metano),
– dell’adozione del “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”,
– della istituzione della “Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile”,
– dell’adeguamento al “Goal 7” degli obiettivi ONU dello sviluppo sostenibile 2030, come certificato dal Rapporto ASVIS 2018,
– della effettiva messa in atto del “Piano nazionale sulla biodiversità”,
il suo dovere non può non risiedere nel valutare i “costi” di TAP anche sul fronte climatico:
quindi non tanto a favore di TAP, come compiuto dal Sottosegretario Sen. Cioffi, ma soprattutto a tutela dei diritti delle presenti e future generazioni di fronte al dramma dei cambiamenti climatici e della ormai certa inutilità del gas come “energia ponte” per il controllo del riscaldamento climatico (come si desume dal citato Report IPCC).
In questi termini, è riassumibile la posizione metodologicamente corretta in tema di
“costi”/”penali”/”benefici” dell’opera TAP.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *