Cosa può fare una persona di media cultura (magari un analogo moderno del Don Ferrante1 dei Promessi Sposi) per capire qualcosa di più di questa epidemia di coronavirus, per orientarsi (come succede spesso sul web) all’interno delle diverse opinioni e per assumere l’atteggiamento più razionale e più utile per sé e possibilmente per gli altri?
Problemi di definizione relativi alla malattia
Può essere forse utile inizialmente una analisi dei diversi termini utilizzati. Quelli che più intercorrono in questa contingenza sono “influenza”, “polmonite”, “virus”“coronavirus”, “infettività”, “mortalità”, “letalità”, “Sanità”.
La prima cosa (che sembra ovvia) è che sia l’influenza2 che la polmonite3 sono due malattie, due diverse malattie. Questo non vuol dire che non siano collegate. Anzi, in diversi casi esse si presentano insieme o, per meglio dire, una (la polmonite) succede all’altra (l’influenza)4.
L’influenza sembra essere un infezione acuta delle alte vie respiratorie5 (cavità nasale e orale, faringe, laringe) anche se altre definizioni possono essere diverse. C’è chi parla ad es. di infezione acuta virale delle vie respiratorie6, operando una estensione (non sarebbero solo le alte vie respiratorie ma anche le più basse) e una restrizione (si tratta di infezione virale). La restrizione sembra necessaria per la definizione della malattia, tanto che la definizione è spesso più dettagliata in quanto si individua l’agente patogeno della malattia in un virus di una particolare famiglia, ovvero quella degli Orthomyxoviridae7. Se si accettasse questa definizione, l’infezione che ha flagellato Wuhan e che sta riguardando anche noi non dovrebbe essere considerata una influenza, in quanto causata da un virus di una diversa famiglia, ovvero la Coronaviridae8. Allo stesso modo si potrebbe dire che spesso vengano impropriamente considerate influenza diverse affezioni delle prime vie respiratorie che sono invece riconducibili a virus diversi o addirittura a batteri9. E tuttavia nel linguaggio comune (anche in qualche circolare10) l’espressione “influenza da coronavirus” è di uso diffuso. L’estensione del significato del termine invece sarebbe giustificata dal fatto che i virus dell’influenza possono causare infezioni sia delle alte che delle basse vie respiratorie11.
Perché già queste discrepanze? E come districarsi da questa possibilità di confusione che ha generato polemiche tra gli stessi studiosi12? La causa di queste discrepanze è nel fatto che spesso le definizioni si fanno con criteri differenti e per finalità differenti. C’è in questo caso una definizione che guarda alla sintomatologia (per cui si può considerare come influenza anche un’affezione che riguarda le alte vie aeree non collegata a certi virus) e una definizione che guarda all’agente patogeno (per cui si mette una influenza o una bronchite quasi sullo stesso piano). Le diverse definizioni si sovrappongono generando confusione e discussioni non ben gestite. Essi invece dovrebbero essere ben integrate di modo che si curino le cause (cercando di debellare l’agente patogeno) e le implicazioni (che spesso peggiorano il quadro clinico).
Perciò il Don Ferrante della situazione, così avvezzo a classificazioni aristoteliche, potrebbe tentare un riordino dei dati che dia una rappresentazione non del tutto vera, ma abbastanza verosimile da consentire un orientamento il più razionale possibile. Nel caso in oggetto si potrebbero raggruppare banalmente i diversi tipi di infezione a seconda dell’area del corpo che viene colpita.
Così l’influenza sarebbe una sindrome (ossia un insieme di sintomi) che colpisce le alte vie respiratorie, poi a scendere potremmo parlare di tracheite, bronchite e polmonite. Più si scende e più gli organi coinvolti sono delicati e vitali e dunque più le malattie risultano gravi e con un più probabile esito infausto. Ciò tenendo presente che l’infiammazione è causata anche dal sistema immunitario che, reagendo come una contraerea all’attacco degli agenti patogeni, a volte colpisce non solo questi ultimi ma anche il tessuto dell’organismo malato, generando altri problemi.
Questa classificazione però va integrata con quella relativa all’agente patogeno che può essere un batterio (con tutte le varianti del caso) o un virus13 (anche questo come abbiamo visto con tutte le varianti del caso) o un’altra causa ancora.
A sua volta lo stesso agente patogeno può causare spesso in progressione l’infezione in più organi causando magari un’influenza prima e una polmonite poi. Nel caso in oggetto il coronavirus chiamato in maniera abbreviata SARS-CoV2 può causare sia una influenza sia una polmonite o più precisamente una influenza e/o una polmonite. Possiamo perciò dire che siaimproprioaffermare che siamo davanti ad una influenza o ad una polmonite14 e sia improprioaffermare che si trasmetta l’influenza o la polmonite. A trasmettersi è il SARS-CoV2 che può attaccare le vie alte o le vie basse del sistema respiratorio producendo questa o quella malattia, oppure entrambe in sequenza. Così come improprio è parlare di vaccino per l’influenza. Il vaccino è per un determinato virus che può causare sia un influenza che una polmonite.
In questo modo noi possiamo parlare di influenza da coronavirus o di polmonite da coronavirus sapendo che però ci sono diversi tipi di sindrome influenzale e diversi tipi di polmonite e che dunque il termine “influenza” non ci deve rassicurare obbligatoriamente. Questo perché le probabilità che un agente patogeno dalle alte vie aeree possa passare a quelle basse (aggravando il quadro clinico) sono variabili (a seconda dell’agente patogeno). E anche perché dopo tutto la cosiddetta influenza stagionale (altro termine un po’ fuorviante) miete parecchie vittime nella popolazione in termini assoluti anche se il numero è abbastanza basso in proporzione al resto della popolazione (se abbiamo accettato lo schema proposto non è però l’influenza stagionale a mietere vittime, ma il virus che causa l’influenza stagionale può causare anche una polmonite e dunque provocare la morte dell’organismo ospitante).
La differenza tra l’influenza stagionale e quella da coronavirus sta non tanto nell’assenza di vaccino (questa è una delle conseguenze) ma dal fatto che l’agente patogeno è diverso. Da questa diversità dell’agente patogeno derivano altre differenze, che magari vedremo poi. Dire che quella da coronavirus non sia influenza perché non c’è vaccino15 può essere un fattore di confusione (anche perché si compara un virus con una sindrome a sua volta causata da un altro virus). Va detto invece che, essendo questo coronavirus un agente patogeno mai incontrato prima (al contrario dei virus della cosiddetta influenza stagionale), il sistema immunitario (in particolare quello adattivo16) non ha memoria di esso né per una precedente infezione né con una vaccinazione e dunque non sviluppa in tempi rapidi l’immunità dell’organismo rispetto ad esso.
Naturalmente il riordino concettuale può essere diverso, apparentemente più preciso. Si può dire (come in effetti si fa) che abbiamo una sindrome che chiameremo Covid-19 causata dal SARS-CoV2 e che provoca una serie di sintomi simili all’influenza e nei casi più gravi può verificarsi una polmonite17. Non staremo ad approfondire questo punto che al momento non ha molta rilevanza (non volendo notare che in questo riordino l’influenza per definizione viene collegata a virus di una ben precisa famiglia mentre la polmonite non viene definita in questo modo). A noi serve solo un riordino dei dati che sia in accordo con quel che sta succedendo e sia un po’più fine della non brillante divulgazione (sia da parte di scienziati sia da parte di semplici giornalisti) che sta sui nostri giornali (dove spesso i titoli dicono tutt’altro rispetto allo stesso contenuto degli articoli)
Definizione delle caratteristiche degli agenti patogeni
Invece vanno riportate le definizioni di termini come “contagiosità”,“infettività”, “virulenza” “letalità”, “mortalità”.
La contagiosità18 è la facilità propria di una emissione di materiale infetto (un colpo di tosse, una stretta di mano) da parte dell’organismo già infettato di raggiungere un altro organismo. L’influenza in generale è già una malattia ad alta contagiosità.
L’infettività19 misura con quanta facilità un agente patogeno è in grado di dare inizio ad una infezione (che è appunto la reazione dell’organismo all’ingresso degli agenti patogeni). Essa è più bassa quanto più sono gli agenti patogeni necessari ad attivare tale reazione. In genere più l’organismo è grande più agenti patogeni ci vogliono. La reazione dell’organismo da un lato è allarme e dall’altro contraerea (scuserete la metafora bellica ma Don Ferrante è esperto di cavalleria). In quanto allarme avverte l’organismo che ci sono problemi e che si devono assumere determinati comportamenti. In quanto contraerea spara ai nemici ma spara anche agli amici (in particolare fa questo il sistema immunitario cosiddetto innato20 che dispone una risposta immediata all’ingresso di agenti patogeni) e può dunque contribuire ad aggravare il quadro clinico. Perciò in questi casi la terapia è un insieme di procedure, alcune finalizzate a combattere l’agente patogeno ed altre (gli antinfiammatori ad es.)finalizzate a riparare i danni di guerra causati anche dalla contraerea.
La virulenza21 è la capacità di un agente patogeno di attraversare i sistemi di difesa di un organismo ospite per poi moltiplicarsi in esso provocando nel contempo danni più o meno gravi.
La morbosità22 è il rapporto tra il numero dei soggetti malati (infetti) e la popolazione presa in considerazione (dovrebbe più o meno risultare dalla contagiosità e dalla infettività dell’agente patogeno, valori che a loro volta potrebbero variare a seconda del contesto sociale nel quale sono valutati).
La letalità23 è il rapporto tra il numero dei decessi ed il numero degli infetti. Su questo valore c’è stata una polemica piuttosto incresciosa su Facebook tra il virologo Burioni e l’economista Boldrin24, a dimostrazione che l’esperto, se non sa fare della sua capacità critica un filtro per le sue stesse esternazioni, rischia di incartarsi in polemiche che rendono l’uditorio scettico ed infine qualunquista. Noi ci fermiamo alla considerazione della nostra fonte per cui tale valore è estremamente variabile in relazione alla durata dell’osservazione e dunque va contestualizzato in rapporto ad un intervallo di tempo. Ci viene da dire che da un lato ha ragione Boldrin a dire che il dato che sbandierava Burioni fosse mal enunciato, dall’altro aveva ragione Burioni perché le decisioni politiche vanno prese prima che l’intervallo di tempo sia troppo grande (altrimenti saremmo nella situazione “a babbo morto”). Il punto magari era (più che mandarsi reciprocamente a quel paese) formulare (o almeno accennare) un criterio ed una procedura che ci dessero (se possibile) già adesso un valore più attendibile dal punto di vista previsionale e dunque più utile ad una strategia razionale di prevenzione e di contrasto all’epidemia.
La mortalità25 infine è il rapporto tra il numero delle morti in una popolazione (valore influenzabile dal contesto sociale, economico e politico) in un certo arco di tempo e la popolazione media dello stesso periodo.
Le rassicurazioni del filosofo e quelle dello scienziato
Orbene, con tali definizioni, può il nostro Don Ferrante passare dalla teoria all’azione? Come valutare ciò che sta succedendo e come comportarsi in modo da ridurre i danni o la probabilità di eventi non certo graditi?
Cominciamo, per fare questo successivo passo, dall’articolo di Giorgio Agamben sul Manifesto del 25 Febbraio26. Il filosofo parte da quello che sembra essere un dato e cioè la dichiarazionedel CNR del 22 Febbraio27 a firma di Giovanni Maga dell’Istituto di Genetica molecolare. Si tratta però di una dichiarazione fatta in un momento preciso, all’interno dell’evoluzione di un processo non ancora concluso. I casi della Covid-19 erano (appunto!) 19 (mentre scriviamo sono quasi 2000)) e si poteva parlare di focolaio ma non di epidemia, tanto che si nega che ci sia una epidemia SARS-CoV2 in Italia. E si dice che il cittadino al di fuori di quei focolai può condurre una vita assolutamente normale. Agamben da questa dichiarazione trae delle conclusioni che riguardano lo Stato di Eccezione come paradigma normale di governo. Torneremo su questa tesi. Approfondiamo quello che dice Maga: “L’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”(anche in questo caso si parla di una specie di influenza ma non di una specie di polmonite in quanto le due malattie sono definite con criteri diversi).
Maga ammette, in una successiva intervista28, che la probabilità di incorrere in una polmonite è più alta che nell’influenza cosiddetta stagionale, ma dice che anche il decorso della polmonite è nella maggior parte dei casi benigno. E tuttavia ammette “Tuttavia, come sempre accade quando ci si confronta con un nuovo virus, si impara a conoscerlo man mano che l’epidemia si sviluppa. Grazie alla ricerca scientifica.”. Questo all’interno della recensione di un libro29 che si chiama “Epidemie, il perché di una minaccia globale”, recensione che termina con la seguente citazione“I giorni che stiamo vivendo, con le notizie concitate che arrivano dalla Cina e l’allerta globale che fa seguito alla comparsa di un nuovo coronavirus […] ci ricordano come le malattie infettive rappresentino ancora una minaccia globale. Il rapporto fra uomini e microbi è quanto mai dinamico e tale continuerà a essere in futuro. Per dirla con Eraclito, nel mondo microbiotico e, soprattutto, nei rapporti fra microrganismi, uomini e ambiente, nulla è permanente tranne il cambiamento. Impedire che nuove varianti microbiche emergano e minaccino la specie umana è impossibile”. Maga non cambia sostanzialmente il proprio punto di vista però alcune piccole sfumature sono interessanti. Se nello stesso comunicato del 22 si dice “Non c’è un’epidemia di SARS-CoV2 in Italia. Il quadro potrebbe cambiare ovviamente nei prossimi giorni…”, nella recensione successiva il fatto che la scienza cambi punto di vista nel tempo viene maggiormente sottolineato e si aggiunge con la citazione per cui impedire che nuove varianti microbiche emergano e minaccino la specie umana è impossibile. Quindi sullo stesso coronavirus la rassicurazione fatta il 22 potrebbe non valere per il giorno dopo e se non vale, rassegnatevi, perché virus e batteri sempre nuovi ci romperanno la scatole di qui a molto tempo a venire. Questa oscillazione tra due atteggiamenti (rassicurazione e rassegnazione) che hanno premesse diverse (ovvero va tutto bene e va tutto male) ma lo stesso risultato (ovvero che vi muovete a fare?) ha come punto di equilibrio la frase “il cittadino può continuare a condurre una vita assolutamente normale” ed il punto forse sarebbe definire proprio questa normalità, ma al momento non possiamo farlo perché cerchiamo come in una dipendenza sempre lo stato di eccezione. Va compreso però il perché di questo registro retorico nella comunicazione dello scienziato. Cosa è successo prima e quali sono i provvedimenti delle istituzioni poi.
Agamben e Wu Ming
Di tutto ciò il filosofo Agamben sembra non importarsene e dice “se questa è la situazione reale” (e lo dice tre giorni dopo il comunicato del 22) e parte con la tesi dello stato di eccezione come paradigma normale di governo. Facendo forse tre errori. Il primo è pensare che la situazione reale rimanga tale nel tempo (mentre lo scienziato Maga nel mettere le mani avanti dice che il quadro può cambiare nel tempo) e dunque da essa si possa desumere il comportamento di qui al tempo a venire. Il secondo è confondere una strategia istituzionale volta a reprimere quello che c’è e una strategia volta a prevenire quello che ancora non c’è. Il terzo di pensare che per avere lo stato di eccezione come paradigma di governo lo stato di eccezione debba mancare nella realtà (quando l’orologio fermo indovina che ore sono niente poco di meno che due volte al giorno). Questo vuol dire che anche a sinistra si usa periodicamente uno stato di eccezione (quanto meno mediatico) per fare propaganda, quando abbiamo visto che lo stato di eccezione favorisce quasi sempre la propaganda della classe dominante, mentre forse dovremmo rivolgere i nostri strali verso la normalità, tanto raccomandata nel comunicato dello scienziato.
Jean Luc Nancy, criticando Agamben30, lo accusa implicitamente di non avere fiducia nel progresso scientifico (l’aneddoto del suo trapianto è una carezza all’amico fatta con una mazza chiodata), ma soprattutto obietta che l’eccezione, in un mondo interconnesso è oramai la regola. Il problema è che l’interconnessione di cui lui parla è la libera circolazione di capitali e merci senza alcun controllo rilevante che è la regola sistemica che produce le eccezioni continue e disciplinanti nei vari subsistemi. Si tratta invece di introdurre un soggetto sociale e conseguentemente una cultura tesa alla gestione dei flussi, economici e non, a livello locale e globale. Un’altra critica più articolata ad Agamben dove il filosofo è accusato del vezzo di rappresentare il negativo puro (ovvero che analizza le dinamiche di potere mettendosi fuori però da una possibilità di intervento e di trasformazione) è di Davide Grasso31. Si tratta a parere di chi scrive di una sorta di sindrome (forse satireggiata da Marx quando parla della Critica critica di Bruno Bauer e della Sinistra hegeliana32) che attanaglia a sinistra soprattutto la cultura legata alle scienze umane e va nel XX secolo dalla Scuola di Francoforte (si pensi all’atteggiamento gelido di Adorno verso il ’6833) a strutturalismo e post-strutturalismo.
Wu Ming rilancia lo stesso giorno di Agamben34 con un testo però più lungo e articolato, con lo stile del reportage, seguito da un altro articolo35. Non crediamo sia giusto parlare di negazionismo epidemiologico come fa questo blog36, perché gli articoli di Wu Ming non negano l’esistenza dell’epidemia ma ritengono che sia sovrastimata e che allo stato attuale i provvedimenti sarebbero inutili e, dannosi e che saranno alla fine soltanto mimati, essendo stati presi solo per gestire l’opinione pubblica e per approfittare dell’emergenza al fine comunque di controllare il diritto di circolazione e di riunione della popolazione. La critica a loro però spesso coglie nel segno perché anch’essi incorrono negli errori di Agamben (soprattutto il terzo), difendono le perdite occupazionali con toni quasi da confindustriali (non a caso chi obietta fa l’esempio di Taranto), utilizzano l’argomento per cui muoiono per lo più anziani (argomento eticamente sconcertante), ventilano implicitamente la possibilità di permettere trasferimenti verso le zone più povere del paese per rompere le catene di trasmissione nella parte del paese ad alto rischio. In quest’ ultimo caso si tratterebbe di un esperimento che potrebbe essere molto pericoloso perché presuppone come dice lo stesso scrivente una risposta forte della comunità a basso rischio che però è al tempo stesso quella che attualmente dal punto di vista statistico registra il maggior numero di casi.Anche se la strategia più equilibrata ovvero quella di facilitare questi trasferimenti se già nella comunità ad alto rischio nascano focolai pericolosi sarebbe poi rifiutata dagli abitanti delle zone più ricche una volta che il contagio sia stato eventualmente gestito con risultati decorosi. Allo stesso tempo, la critica a nostro vedere sbaglia nel sottovalutare le conseguenze securitarie dei provvedimenti, il fatto che il rallentamento dell’economia troverà sfogo come al solito sui lavoratori (questo però non vuol dire che bisogna difendere a tutti i costi l’occupazione precaria dalle politiche di prevenzione) e sbaglia anche nel considerare i dati statistici come punti fermi. Ma su questo ci torniamo tra poco.
Letalità
Ma quali sono i dati? Ovviamente altro sono i dati ufficiali, altro la realtà sottesa. Possiamo dire che forse il dato ufficiale dei morti sia molto vicino a quello effettivo, ma non possiamo dire altrettanto delle infezioni. Se esse danno luogo a fenomeni influenzali superabili, è probabile che il malato non si rivolga alle strutture ospedaliere e dunque di esso non si sappia niente. E’ di questi giorni la notizia per cui la circolazione del nuovo coronavirus in Cina sarebbe cominciata (secondo uno studio italiano presso l’OMS) diverso tempo prima rispetto ai primi casi di “polmonite misteriosa” individuati nel Paese asiatico37. Visti i rapporti degli altri paesi con la Cina è presumibile ipotizzare che tale retrodatazione valga per il mondo intero.
Al 3 Febbraio 2020 il tasso di letalità era del 2,04% (17.391 casi/ 362 deceduti), al 19 Febbraio era del 2,3% (44.415 casi / 1023 decessi) al 28 Febbraio era il 3,42% (83.652 casi / 2858 deceduti). Per molti giorni il tasso di letalità della malattia in Cina è stato sostanzialmente il tasso di letalità nel mondo, ma si può ipotizzare plausibilmente che questi valori si distanzieranno progressivamente con l’incremento dei dati relativi agli altri paesi del mondo. Le variazioni in aumento del tasso di letalità si riconducono al fatto che prima ci si infetta e dopo si muore e quindi inizialmente il tasso di crescita degli infettati è maggiore del tasso di crescita dei morti e poi progressivamente la situazione si inverte. Poiché però sia il dato degli infettati (condizionato dall’accuratezza dei rilevamenti e dall’ospedalizzazione delle malattie) che quello dei morti (condizionato dallo stato di salute medio, dall’età media e dall’efficienza del sistema sanitario) negli altri paesi del mondo saranno diversi (sia pure in modo da implicare delle compensazioni) da quelli della Cina, anche il dato globale del tasso di letalità sarà destinato a cambiare nel corso delle prossime settimane. E tuttavia tale valore, almeno quello ufficiale, anche se progressivamente più accurato sarà sempre diverso da quello reale visto che il numero degli infetti sarà sempre legato all’ospedalizzazione (o quanto meno alle statistiche relative alle richieste di assistenza da parte dell’utenza sanitaria). Ci sarà tutta una parte oscura della rilevazione (ad esito forse più benigno) dispersa nei dati dell’influenza ufficiale, di quella cioè che l’utenza cerca di risolvere con mezzi propri nel chiuso delle proprie abitazioni. I dati dell’influenza stagionale sono raccolti con più accuratezza forse perché legati ai numeri desumibili dalle segnalazioni dei medici di base38 e da quelle di cittadini volontari39. I numeri della sindrome da coronavirus invece sembrano più “ufficiali” degli altri proprio perché i dati che si prendono in considerazione sono solo quelli dei test fatti a partire dalla segnalazioni dei soggetti che constatano situazioni non assimilabili (e dunque più gravi) all’influenza stagionale. Il resto è confuso con l’influenza stagionale stessa.
Se questa ipotesi fosse vera, la letalità del virus sarebbe più bassa. Essa potrebbe spiegare l’enorme aumento dei casi di influenza stagionale in Germania40 (attribuendo alla sindrome da coronavirus parte dell’aumento) anche se potrebbe considerarsi in contraddizione con il fatto che nella regione della terra con il maggior numero degli infettati “ufficiali” (e presumibilmente con la minore forbice tra infettati ufficiali e infettati effettivi), cioè l’Hebei, il tasso di letalità attualmente supera il 4%. A meno che effettivamente questo virus in Cina abbia avuto un aumento del tasso di propagazione verso Dicembre, così come dice il rapporto degli scienziati italiani, ma sia originario dell’Europa.
Complicazioni polmonari
Perché formulare questa ipotesi? Perché ad esempio dal 2016 al 2018 in Italia i casi di ricovero per polmonite sarebbero aumentati (con una forte concentrazione in Lombardia) da circa 76.000 a circa 86.000 in un anno (con 13.471 morti nel solo 2017) anche se tale aumento viene attribuito alla sovrapposizione di un batterio ad un virus influenzale della famiglia Ortomyxoviridae41 mentre la polmonite di Wuhan pare sia solo di natura virale. Alcuni attribuiscono questi problemi ad una diminuzione della copertura vaccinale42 (e accusano perciò gli antivaccinisti). Però per quanto esortare a vaccinarsi sia lodevole, non sembra esserci una correlazione stretta tra variazioni della copertura vaccinale degli anziani e variazioni della quantità di casi gravi (comprensivi dei decessi) per stagioni influenzali. Ad es. è vero che nella stagione 2014-2015 (con il picco minimo di copertura vaccinale al 48,6%) il numero di casi gravi sia stato di 632, ma nella stagione 2015-2016 (con una copertura vaccinaledel 49,9%, appena superiore) il numero dei casi gravi è stato di 120, mentre con coperture maggiori (65,6 % del 2009-2010, 52,7% del 2017-2018, 53,1 del 2018-2019) abbiamo rispettivamente784, 767 e 812 casi gravi. Le discrepanze riguardano anche il rapporto all’interno delle regioni italiane: ad es. Veneto e Friuli Venezia Giulia nella stagione 2018-2019 hanno avuto un numero maggiore di casi gravi43 in percentuale sulla popolazione44 rispetto alla Lombardia, nonostanteuna maggiore copertura vaccinale45 (e l’Umbria con il suo 64,7% di copertura vaccinale ha avuto un risultato lievemente miglioredella Lombardia con il suo 48,2%). Uno degli articolida cui sono stati tratti questi dati46 argomenta in modo differente (evidenziando che degli 812 casi gravi del 2018-2019 solo l’11,2% dei casi è risultato vaccinato) ma il punto per stabilire una correlazione non è la proporzione tra vaccinati e non vaccinati nei casi gravi (proporzione che dimostra che la vaccinazione comunque ha effetti positivi), ma il valore assoluto dei casi gravi o meglio quello percentuale sul resto dei casi. Più precisamente la relativamente scarsa copertura vaccinale può in buona parte spiegare il valore assoluto dei casi gravi (perché spiega il valore assoluto delle infezioni) ma non spiega il rapporto tra infezioni e casi gravi. E c’è anche altro su cui riflettere: se il datodelle morti dovute a complicazioni polmonari dell’influenza da fine 2016 ad inizio 2018è meno di 300, i 13.471 morti per polmonite nel 2017 come si classificano (e qui la vaccinazione antinfluenzale c’entra poco e si dovrebbe passare alla vaccinazione per polmonite batterica47)? Ipotizzando che da un quinto ad un terzo delle polmoniti nella popolazione adulta sia di natura virale48 (e molti sembrano rhinovirus49 e virus respiratorio sinciziale umano50 mentre piccola sembra la percentuale di coronavirus) abbiamo almeno circa 2500 possibili casi. C’è stato uno studio ed una classificazione di essi (non parliamo di cartelle cliniche ospedaliere e di esami al microscopio che ci sono certamente ma di studi che tengano conto di questi archivi epidemiologici)? Quale è stata l’incidenza di coronavirus in queste tornate? E di che virus si tratta? Proprio di questi giorni è l’ipotesi che il coronavirus operante in Italia sia di un ceppo diverso da quello cinese51 (questa ipotesi verrà verificata a breve52). Quasi che abbiamo dato alla Cina il nostro coronavirus e la Cina ce lo stia restituendo con il motore “pezzottato”53. Si tratta ovviamente di congetture visto che l’alto tasso di mutazione54 dei coronavirus55 può giustificare innumerevoli ipotesi sull’origine di questa variante5657, anche se essa a sua volta sembra poco mutabile58.
Sarebbe bene chiarire questi punti oscuri visto che effettivamente le statistiche ufficiali sembrano tutte all’insegna dell’ipocrisia. Ora ad esempio altri paesi sembrano svegliarsi dal sonno dell’immunità nazionale e si registra un aumento di casi però tutti agganciati alla primazia epidemica della solita Italietta59. Ad es. la Nigeria ha il “primo caso” ed è un italiano, l’ultimo caso francese una donna di Nizza rientrata da Milano, in Irlanda e Galles tutti casi provenienti dall’Italia del Nord, gli ultimi casi di Vienna da poco rientrati da una vacanza in Italia, Svezia e Norvegia idem, il “primo caso” in Lituania anche, uno in Svizzera, due in Croazia, mentre la Bielorussia e anche un caso in Svezia si affidano all’untore iraniano (fa più esotico e più anti-Teheran). L’ulteriore diffusione del virus sta già facendo terra bruciata di tutta questa purezza proclamata solo come alibi alle successive politiche di emergenza.
I diversi valori regionali di letalità
Dal punto di vista statistico anche in Cina ci sono aspetti che andrebbero meglio spiegati come ad esempio le forti differenze dell’indice di letalità tra le varie regioni interne60. Si va dal 4% e più dell’Hubei (che è forse il dato più attendibile dato il maggior numero dei casi presi purtroppo in considerazione) allo 0,08% dello Zhejiang passando per il 2,71% dell’Heilongjiang e l’1,57% dell’Henan. Una spiegazione potrebbe essere quella del carattere disomogeneo della situazione economica, sociale e politica di queste diverse regioni ed effettivamente lo Zhejiang è la regione a più alto reddito della Cina, mentre l’Heilongjiang è tra quelle a più basso reddito con Hubei ed Henan a metà strada61. In questo caso ha poco senso a cercare una media che ci consenta di orientarci. Magari se fosse possibile, perché le media non sia la risultante della regione più colpita o quella di valori tra loro fortemente diversi (e quindi poco significativa in entrambi i casi) bisognerebbe attendere quello che non ci si dovrebbe augurare ovvero un ulteriore aumento dei casi di infezione con conseguente aumento dei decessi in modo che progressivamente i valori tendano maggiormente a coincidere con la media (in modo cioè che le differenze tra regione e regione vedano diminuire la loro rilevanza). Come abbiamo detto, il tasso di letalità dipende dal numero degli infettati che può variare statisticamente a seconda dell’efficacia dei mezzi di rilevazione e realmente a seconda dello stato di salute degli abitanti di un territorio, della sua densità di popolazione, della velocità di circolazione di consumatori, di merci e di fattori di produzione, delle politiche sanitarie adottate. Il numero dei morti è più difficile da sottostimare e dipende, più che il numero degli infettati, dallo stato di salute della popolazione e dalle politiche sanitarie delle istituzioni del paese in cui si ha l’epidemia.
Per quanto riguarda noi più che fare tassi medi mondiali della letalità al momento servirebbe una valutazione del sistema sanitario italiano in azione nei confronti delle varie infezioni dell’apparato respiratorio. Il dato delle polmoniti desta preoccupazione (come abbiamo visto). Tendono ad essere maledettamente resistenti sia quelle batteriche62 che quelle virali63.
L’investimento in farmaci e vaccini
Per questo nel fare una valutazione comparata del coronavirus e della classe dei virus dell’influenza stagionale, nonostante le riserve che possiamo avere sul trattamento dei dati, ci affideremo ai numeri raccolti al momento (a meno che non abbiamo pubblicamente una valutazione da parte di epidemiologi esperti che possano euristicamente ricavare dei valori medi che siano validi anche in prospettiva). Il numero delle morti per polmonite ci costringe a mettere tra parentesi le perplessità sui dati ufficiali e a non contare troppo sulla capacità del sistema sanitario italiano (messo a dura prova dal liberismo austeritario degli ultimi trent’anni) di provvedere ex post a questa epidemia. Questo anche perché le aziende farmaceutiche, volte alla massimizzazione del profitto, hanno fortemente ridotto gli investimenti in antibiotici e antivirali64 dal momento che le nuove generazioni di farmaci non superano in gran parte la fase di sperimentazione65 e che la resistenza di virus e batteri rende la stessa produzione di farmaci una fatica di Sisifo. Inoltre bisognerebbe valutare se alle aziende farmaceutiche convenga che la farmacologia antivirale diventi più efficace e perciò venga utilizzata massivamente al pari degli antibiotici, visto i profitti derivanti dai vaccini66. Se i farmaci antivirali venissero più usati e con successo si darebbe all’utente più possibilità di scegliere se vaccinarsi o meno e la percentuale dei vaccinati potrebbe ridursi ancora (a prescindere dalle polemiche tra vaccinisti e antivaccinisti, polemica che non è ridotta all’Italietta67). La proposta in campo sembra quella che lo Stato si assuma in parte il rischio iniziale dell’investimento in nuove generazioni di antibatterici e antivirali e poi ceda il brevetto dei farmaci sperimentati alle aziende. Forse però è un po’ troppo comodo per le aziende e sarebbe preferibile (fin quando si rimane in ambito capitalista) che lo Stato mantenga la proprietà dei brevetti decidendo di volta in volta a quale azienda affidare l’uso del brevetto per la produzione di farmaci. Oppure si potrebbe pensare che lo Stato possa diventare proprietario dei brevetti relativi ai vaccini in cambio di un aiuto iniziale alle aziende farmaceutiche per la produzione di farmaci, diventando proprietario del brevetto di questi ultimi una volta passato il periodo in cui non è consentita la produzione di farmaci equivalenti. L’esigenza che intervenga lo Stato ad investire nella ricerca ad es. sugli antivirali è legata all’altro costo degli stessi e al fatto che il tempo necessario per il ritorno economico dell’investimento può essere lungo (per quanto il risparmio complessivo in termini sociali sia considerevole) così come si sostiene in questo esempio68 e può scoraggiare operatori privati sempre più ossessionati dal breve periodo.Il fatto che lo Stato diventi proprietario dei brevetti legati ai vaccini è inoltre premessa necessaria ad ogni discussione sull’obbligatorietà dei vaccini stessi.
Le differenze con le influenze stagionali
Detto questo, il nostro Don Ferrante può cercare di comparare i due virus (o le due classi di virus) e ciò che essi producono sulla base dei dati ufficiali. Una buona esposizione è questa69. Il cosiddetto coronavirus è comunque più contagioso dell’influenza stagionale70. Il periodo di incubazione71 è più lungo di quello dell’influenza stagionale72 e forse perciò un po’ più subdolo per i rilevamenti. La letalità nel momento attuale è mediamente maggiore del 3% (sia pure molto differenziata sia per territori che per classi di età73). Sulla base di queste considerazioni non si può affidare la gestione di questa epidemia al solo trattamento medico post-contagio. Per quanto i casi di contagio non contabilizzati possano ridurre il tasso di letalità (ma potrebbero aumentare quello di contagiosità e l’impatto sul sistema sanitario rimane così lo stesso), il fatto che non riusciamo a misurare con precisione questo dato, questa zona oscura alla rilevazione, non ci consente di dire se il tasso di letalità possa diminuire al punto da rendere non necessarie le misure che si stanno approntando in questi giorni in quasi tutti i paesi.
Antibiotici e antivirali
Sempre a questo proposito, il fatto che le cure antivirali (controindicate per bambini e donne in gravidanza) siano meno abituali di quelle a base di antibiotici genera la situazione per cui la gestione delle infezioni virali all’apparato respiratorio viene affidata preventivamente al vaccino e successivamente al sistema immunitario del paziente. Questo almeno in maniera prevalente. Non è un caso che le raccomandazioni terapeutiche siano quelle legate ai sintomi accompagnate dalla raccomandazione di riposare e bere molta acqua74. Sui siti del governo, l’uso degli antivirali non viene affatto sollecitato75(anche se dovrebbero essere assunti nelle 48 ore dopo la comparsa dei sintomi) e nelle FAQ non si parla quasi di terapia, ma in misura quasi dominante del vaccino76.L’assunzione di antibiotici viene giustamente subordinata al parere del medico ma vieneammessa solo in casi di alta probabilità di una sopravveniente infezione batterica77 o non viene assolutamente citata78, nonostante, come abbiamo visto, negli ultimi anni (in realtà almeno dal 200979) diversi virus influenzali o parainfluenzali tendano in misura maggiore a facilitare lo sviluppo di infezioni polmonari batteriche80 tanto da giustificare appositi provvedimenti ministeriali81. In realtà i medici di base, pur se criticati e con argomenti non da poco82 (la resistenza agli antibiotici sembra essere una emergenza sanitaria mondiale83), tendono a prescrivere comunque antibiotici sia per prevenire le complicazioni che per evitare l’ospedalizzazione84 (si calcolano i decessi dovuti all’aumentata resistenza batterica agli antibiotici ma non si fa un calcolo dei decessi risparmiati, in caso di infezione batterica, dall’assunzione di antibiotici), fin quando non saranno a portata di mano strumenti che consentano di distinguere in maniera meno discrezionale infezioni batteriche da infezioni virali85e anche in tal caso il problema della sovrapposizione dell’infezione batterica sull’infezione virale permarrebbe e necessiterebbe di test continuati. Si dice che queste scelte mediche siano motivate soprattutto dalle richieste dei pazienti che restano insoddisfatti se non gli si prescrive qualcosa86 (ma questo può essere a sua volta collegato con una sorta di effetto placebo87). Di certo paradossalmente le regioni meridionali nelle quali si riscontra una maggiore copertura vaccinale88 sono anche quelle dove si riscontra un maggiore uso di antibiotici89 e la risultante (casuale?) è un minor numero di casi gravi in rapporto alla popolazione.Si tenga presente che, mentre fino a qualche anno fa Big Pharma90 era accusata di fare affari sull’abuso di antibiotici, adesso sembra determinata a non investire molto in quel mercato91. In realtà se non viene separata la questione vaccinale e terapeutica dalle politiche commerciali delle aziende farmaceutiche non si avrà mai un quadro non ideologizzato della questione.
R0
Proprio però per questa situazione in cui le sindromi respiratorie sono affidate prevalentemente alla prevenzione vaccinale e al sistema immunitario del paziente, in assenza del vaccino ed in presenza di un epidemia del genere, è necessario puntare alla diminuzione del contagio (la diminuzione di R0 ovvero dei numero medio di individui infettati da un infetto nel corso del suo periodo infettivo92) così come scritto dallo scrittore (e fisico a tempo perso) Paolo Giordano93. Tuttavia i termini con cui l’autore della “Solitudine dei numeri primi” pone la questione sono (volutamente?) irrealistici e forse riecheggiano il titolo del suo libro. Premettiamo che nel modello usato da Giordano le categorie non sono tre (suscettibili, infetti e rimossi) ma quattro (suscettibili ovvero non infettati, esposti ovvero contagiati che non infettano, infettati che infettano e rimossi ovvero guariti o morti)94. Abbiamo distinto tra contagiosità, infettività e virulenza, sapendo che la distinzione è sottile e che spesso si usa un termine per definire il concetto meglio espresso da un altro termine (forse anche il linguaggio è soggetto a mutazioni, come rappresentazioni e credenze95, che lo rendono più aggressivo). Si può dire che la virulenza sia una misura dell’infezione (più o meno estesa, più o meno recrudescente). Cosa significa, anche alla luce di questa distinzione, che R0 diventa minore di 1? Che un contagiato e/o infetto contagi e/o infetti in media meno di un altro malcapitato? Aumenterà il numero dei numeri primi96? Cosa vuol dire a prescindere dal fatto che molti passeranno dalla parte del ragioniere Casoria97 (cioè dalla parte dei rimossi e cioè morti o guariti)? Ovvero cosa vuol dire non presupponendo che una buona parte di noi venga già infettata? Sarebbe un bel circolo vizioso dire che la contagiosità sarà inferiore ad 1 quando la maggior parte sarà stata già infettata (e dunque guarita o morta). A questo punto Don Ferrante potrebbe dire che bisogna non fermare il contagio (che forse non si fermerà tanto facilmente98) ma rallentarlo in attesa che il virus si eclissi con la bella stagione99 e/o si trovi un vaccino che sia disponibile per l’intera popolazione100 e/o il virus abbia una mutazione che ne riduca la contagiosità e/o la letalità (ma può anche mutare in peggio101).
Il comportamento del governo
Giungiamo, dulcis in fundo, alla politica. I governi dei vari Stati, all’interno del mercato elettorale delle vacche, hanno preso e prendono provvedimenti tesi da un lato a rassicurare l’opinione pubblica e dall’altro a non disturbare i gruppi di pressione più forti che garantiscono ai partiti loro il finanziamento102 (qui la punta dell’iceberg103) e/o consentono loro eventualmente di governare, non usando in forma aggressiva i media cartacei104 e radio105-televisivi106. Per quanto riguarda quest’ultima finalità, il punto è anche di non evidenziare come il liberismo austeritario abbia indebolito il sistema sanitario al punto che il mantra dominante (lo dice il fisico-scrittore107, lo dice il medico108, lo dice il politico109) è quello di contenere il contagio anche (soprattutto!) per non far crollare il sistema sanitario110. Gli stessi medici (che all’inizio non hanno fatto la necessaria opposizione a questo processo) adesso ammettono che c’è stato un taglio del 10% dei posti letto in rianimazione negli ultimi dieci anni111 ed in generale dei posti letto e dei pronto soccorso112. Questa linea, probabilmente collegata agli interessi (sia finanziari che commerciali) delle multinazionali farmaceutiche, è tesa a dare una svolta decisiva alla percezione dell’opinione pubblica sul problema delle malattie virali dell’apparato respiratorio in modo da far crollare le rinascenti resistenze all’uso dei vaccini. Per quanto alcuni dicano che i ricavi di tali aziende sui vaccini siano in percentuale risibili113 le prospettive di crescita del fatturato sono allettanti114 e questo è forse collegato alle epidemie influenzali e da coronavirus degli ultimi venti anni (aviaria, SARS, suina, MERS), all’andamento borsistico del settore farmaceutico negli ultimi cinque anni (almeno in Europa)115, alla natura oligopolistica del mercato farmaceutico (con aspetti anche confinanti con la truffa116) soprattutto per quanto riguarda i vaccini117.Probabilmente per rendere irreversibile questa situazione, si sfrutterà il tasso di letalità, calcolato lasciando un residuo oscuro di casi non verificati e confusi con quelli dell’influenza stagionale, si userà il fatto che il virus si diffonderà diventando endemico, si approfitterà del panico (economico e sanitario) per rendere il vaccino diffuso come gli smartphone e raggiungere il 95% di copertura vaccinale. In sé può essere un bene, ma il problema (anche conoscitivo) è legato a chi gestisce questo business. Contro questa linea tesa al contenimento del contagio, gli interessi delle imprese italiane, soprattutto piccole e medie, agitano lo spettro della recessione economica118 contro l’ideologia della quarantena119 e gli economisti120 che sinora si sono pronunciati hanno avallato sostanzialmente questa opinione121. All’inizio l’Italia ha cercato di rappresentare se stessa come Stato rigoroso e trasparente (anche per evitare l’aumento dello spread del Btp rispetto al Bund, spread che è rimasto stabile sino all’aumento degli infettati122), poi si è accorta che aveva esagerato (a seguito della flessione del commercio e delle conseguenti proteste delle imprese regionali e nazionali alla paralisi minacciata dalla quarantena) e si è ripiegati su una via di mezzo che, nell’impossibilità di far rientrare il dentifricio nel tubetto, cerca di evitare un eccessivo stress alle strutture sanitarie. La strategia in prospettiva (a livello anche europeo123) sarà ufficialmente anti-austeritaria124, ma si concretizzerà in aiuti alle imprese (farmaceutiche e non) cercando di non tornare indietro rispetto all’ideologiaordoliberista dell’ultimo tenebroso trentennio.
Le prospettive dei comunisti e quelle di Don Ferrante
Sinistra e movimenti anticapitalisti si adagiano biforcandosi sui sentieri già disegnati dalle forze politiche legate alla classe dominante e gridano una volta allo Stato poliziotto e un’altra all’economia che sacrifica la salute dei cittadini. La scarsa capacità di rappresentanza sociale condanna queste forze alla subalternità ideologica, anche perché gli orologi fermi segnano l’ora esatta ed, in mancanza di ulteriori conoscenze, non ci possiamo permettere di contestare più di tanto l’idea di rallentare il contagio. La battaglia è in prospettiva e riguarda il rilancio della sanità pubblica125, un intervento forte dello Stato nella questione dei vaccini e dei farmaci in generale (sulla linea delle proposte laburiste126 all’interno di una più complessiva ripubblicizzazione del settore sanitario127), la lotta all’autonomia differenziata128 (che anche in questo caso ha mostrato tutta la sua follia), l’avanzamento di una cultura politica della pianificazione economica129.
Don Ferrante, sia pur più consapevole, individualmente non può far molto. Può lavarsi spesso le mani, uscire di meno, portare una mascherina, non frequentare luoghi affollati. E sperare di non dover maledire le stelle un’altra volta. Ormai, nell’accelerazione provocata dalla crisi sistemica del capitalismo, solo l’agire collettivo può dare risultati che siano al tempo stessoefficaci e significativi. Il resto è, se si è fortunati, mera, tristissima sopravvivenza.
3 marzo, 2020
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2https://it.wikipedia.org/wiki/Influenza
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6https://it.wikipedia.org/wiki/Influenza
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10http://www.ospedalideicolli.it/wp-content/themes/whitelight/xml/pubblicazione/2020/Allegati/201620.pdf
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113https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=64446
114http://tesi.cab.unipd.it/61718/1/Gavatorta_Pietro.pdf
115https://mercati.ilsole24ore.com/azioni/default/indice/SXDP.SX
116https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/12/usa-sotto-accusa-venti-aziende-farmaceutiche-hanno-gonfiato-i-prezzi-dei-farmaci-generici-fino-al-1-000/5172610/
117https://www.lastampa.it/cronaca/2017/11/14/news/quanto-valgono-i-vaccini-ecco-come-funziona-l-economia-dell-immunizzazione-1.34384721
118https://www.repubblica.it/cronaca/2020/02/26/news/l_ombra_della_recessione-249663516/
119https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/coronavirus-il-presidente-deibiologi-non-pi-grave-di-uninfluenza-il-panico-peggiore-della-malattia_15288332-202002a.shtml
120https://www.adnkronos.com/soldi/economia/2020/02/29/coronavirus-economista-governo-gravissimi-errori_vTXwx8ffyzt4JwySyZ0UkN.html
121https://www.agi.it/economia/news/2020-02-25/coronavirus-italia-pil-crisi-recessione-7208768/
122https://mercati.ilsole24ore.com/obbligazioni/spread/btp-10a-bund-10a?refresh_ce
123https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/02/coronavirus-la-commissione-ue-attiva-una-task-force-livello-di-rischio-alto-gentiloni-saremo-solidali-con-le-richieste-dei-governi/5722644/
124https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-boccia-subito-grande-piano-italiano-ed-europeo-infrastrutture-3mila-miliardi-ADkUCE
125https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/23/paesi-isolati-militarmente-contro-il-coronavirus-ce-solo-la-sanita-pubblica-0124370
126https://www.theguardian.com/business/2019/mar/27/nationalised-drug-companies-may-be-needed-to-fix-antibiotics-market?fbclid=IwAR3Ue5_qojzYAa8HZ-5uKEM1i1B54hmiNHnkt_4cC0PRyqAYVLNCTYoeqA0
127https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/12/02/la-campagna-elettorale-in-gran-bretagna-e-il-manifesto-del-partito-laburista-0121437
128https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/27/il-coronavirus-dimostra-linutilita-della-sanita-privata-usb-il-sistema-sanitario-pubblico-e-lunico-baluardo-0124509
129https://contropiano.org/editoriale/2020/02/26/la-prevalenza-del-cretinovirus-0124492
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Mario Deiani
« ventilano implicitamente la possibilità di permettere trasferimenti verso le zone più povere del paese per rompere le catene di trasmissione nella parte del paese ad alto rischio»
Veramente no, i Wu Ming non scrivono niente del genere, anzi scrivono più o meno il contrario: che se si mettesse in quarantena una zona sanitariamente povera del paese (cioè con pochi ospedali, come tante ce ne sono in Italia), secondo alcuni studi(che loro citano) questo tutelerebbe le zone sanitariamente ricche vicine, ma peggiorerebbe le cose nella zona quarantenata e aumenterebbe l’estensione dell’epidemia.
Non mi sembra nemmeno “confindustriale”, anzi, l’opposto, tutto quello che stanno raccontando su come i padroni stanno approfittando dell’epidemia per vessare i lavoratori.
Sembra che abbiamo letto due articoli diversi, insomma…
italo nobile
In realtà quello che lei ha detto non è il contrario di quello che io penso i Wu MIng “ventilino implicitamente” . Io non dico che loro lo asseriscano, ma dico che loro a questa possibilità danno un certo grado di plausibilità. Se cioè l’ipotesi di mettere in quarantena una zona sanitariamente povera peggiorerebbe le cose nella zona quarantenata, ciò rende plausibile invece l’ipotesi di permettere trasferimenti verso le zone più povere del paese.
Io non dico che i Wu Ming rinuncino a stare dalla parte dei lavoratori. Io dico però che nell’argomentare contro l’idea di mettere in quarantena parti del paese, essi utilizzano gli stessi argomenti che potrebbero utilizzare (e utilizzano) gli imprenditori del Nord ovvero la difesa del lavoro così com’è. Se ciò fosse detto dagli stessi lavoratori di quelle imprese io lo comprenderei perché essi sono scettici sulla possibilità di una difesa migliore. Se lo è però
anche Wu Ming per me c’è qualche problema
Luigi Proia
Dopo la lettura di questo articolo qualora il SARS-COV 2 pensasse di trovare ospitalità nei miei polmoni, anche senza il parere del medico sarei tentato di prendere il BACTRIM che uso tutte le volte che ho la cistite. Questa storia che i medici non prescrivono più antibiotici mi ha rotto le scatole. Fino agli anni ’80 il medico di famiglia pure per un raffreddore prescriveva antibiotici in presenza di febbre e tosse. Oggi, per prescrivere gli antibiotici ti fanno fare un quintale di analisi. Sap’reste spiegarmi il motivo. Personalmente lo spiego così: i medici non sanno più fare una diagnosi visuale non sanno sentire i polmoni con le mani e gli antibiotici ce li “ammollano” con la carne il pesce e tra un po’ gli antibiotici li metteranno pure dove si coltivano i cavoli?
Redazione Contropiano
C’è anche una spiegazione più scientifica… L’eccesso nella prescrizione di “antibiotici ad ampio spettro” – anche in forma strettamente privata, senza passare più dal medico – ha aumentato l'”antibiotico resistenza” in molti dei batteri più comuni, al punto da renderli inefficaci in molti casi. La molteplicità di analisi – ne hanno fatte anche dversi di noi – serve ad identificare con chiarezza quale batterio è responsabile dell’jnfezione (il coronavirus è un virus, per l’appunto, è non è attaccabile dagli antibiotici di nessun genere) e aggredirlo con uno o più antibiotici “specializzati”
italo nobile
Come già detto nell’articolo, per quanto riguarda la prescrizione degli antibiotici c’è il problema dell’antibiotico resistenza. Tuttavia alcuni medici continuano a prescriverlo anche nei casi di influenza per prevenire, a loro detta, la complicazioni di tipo batterico che possono sopraggiungere ad una infezione virale. In genere, per rendere più appropriata la terapia in caso di infezioni batteriche, si cerca, come detto sopra, di individuare il batterio coinvolto e di prescrivere antibiotici che siano adatti a combatterlo.
E’ bene precisare che il Bactrim non è un antibiotico ma la combinazione di due antibatterici di sintesi e non di origine biologica come sono invece gli antibiotici.