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Requisire si può, requisire si deve

Tre giorni fa alcuni quotidiani riportavano la notizia del possibile inserimento in un prossimo Decreto legge di una serie di articoli recanti le disposizioni per l’ampliamento delle aree sanitarie temporanee come risposta all’emergenza posti-letto registrata, in primis, nelle regioni del nord del paese.

In particolare, si annunciava l’arrivo di poteri speciali per i Prefetti territorialmente competenti in merito alla possibilità di “requisizione” di strutture alberghiere idonee a ospitare persone in sorveglianza sanitaria, isolamento o anche domicilio laddove non possano essere attuati presso quelli delle persone interessate.

Il mondo al contrario

Negli ultimi mesi non è la prima volta che si presenta un rovesciamento, o una parola d’ordine contraria, dell’idea di mondo a cui siamo stati o a cui hanno provato a educarci. Basti pensare alla tattica che ha mosso la guerra dei dazi tra Stati uniti e Cina, con i liberisti a imporre unilateralmente un freno alla libertà dei commerci e i comunisti a subire l’irrigidimento del libero scambio; oppure a quando il giornale di un pezzo della borghesia nostrana invocava la sospensione del fiscal compact e un piano di assunzioni pubbliche prima, e un nuovo Piano Marshall Italia-Cina poi, con tanti saluti alla retorica dell’Europa come casa di tutti noi.

Ma il panico da crisi di sistema evidentemente fa brutti scherzi, e di fronte al burrone che ciclicamente si presenta ai piedi di questo modello di società tutti reagiscono col “si salvi chi può”, nessuno escluso, regola a cui non sfugge neanche la storica alleanza tra nordamericani e sauditi, vedere affaire petrolio di questi giorni per credere.

E così capita che nell’Unione europea, area geopolitica dove al singolo Stato è assegnato il compito di salvaguardare il principio della più ferrea competizione tra attori privati, evitando sia la nascita di grandi agglomerati monopolistici, sia di immischiarsi negli affari economici, il governo italiano paventi l’intervento della pubblica amministrazione per l’interesse collettivo. Immaginiamo le espressioni delle redazioni de “Il Giornale” o de “Il Sole 24 Ore” nel dover riportare la notizia, forse che i bolscevichi sono alla fine giunti a San Pietro?

Niente di più lontano dalla realtà, e comunque, per sicurezza, nell’ultimo Dpcm dell’8 marzo non c’era ancora nessun riferimento ufficiale alla questione (assieme a quella delle 20mila assunzioni nel settore sanitario). Ma di cosa si parla quando si chiama in causa la requisizione?

Requisizione, espropriazione, nazionalizzazione

La requisizione è un atto tramite il quale lo Stato può privare una persona della proprietà di un bene indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo. Simile all’espropriazione, la requisizione si differenzia da quest’ultima perché, oltre alla pubblica utilità, deve essere giustificata da gravi necessità di carattere civile o militare. Essa si suddivide in requisizione “in proprietà” (solo beni mobili, proprietario indennizzato per la perdita del bene) e “in uso” (beni sia mobili che immobili, come case, terre ecc., proprietario indennizzato per il periodo di mancato utilizzo).

Come noto, l’articolo 42 della Costituzione disciplina il rapporto tra proprietà privata e pubblica, garantendo sì la prima, ma declassandola rispetto ai «motivi di interesse generale», e comunque sia assicurando un indennizzo in caso di perdita del diritto di proprietà al soggetto del provvedimento.

Un ulteriore livello di riguardo presente nella Costituzione è quello della nazionalizzazione, disciplinato all’articolo 43, ossia la riserva o il trasferimento di servizi pubblici essenziali o di fonti di energia o di situazioni di monopolio che abbiano come carattere preminente proprio il pubblico interesse. Un esempio a caso, il Servizio sanitario, per l’appunto, nazionale.

La questione è politica

Ecco, questi brevi cenni valgono a rinfrescare la memoria sugli strumenti che ancora oggi sussisterebbero nelle mani della politica per salvaguardare l’interesse collettivo, non solo nei periodi di gravi necessità come quelli di un’epidemia in procinto di elevarsi al grado di pandemia, ma in qualsiasi momento, almeno dal secondo dopoguerra in poi. Ma la direzione che le forze varie forze di governo hanno imposto all’apparato statale nell’ultimo quarantennio è stata quella della messa in soffitta di qualsiasi valore che richiamasse a una gestione pubblica dell’interesse generale, come è quello alla salute. Dalla cultura dell’individualismo alla riforme del Titolo V, passando per la promozione del self-made man o per la privatizzazione totale del sistema bancario, tutto è stato piegato al volere dell’interesse economico privato, che delle risorse strategiche ha fatto il suo terreno privilegiato (il lavoro, quello che era produttivo, oramai è sempre più automatizzato o esternalizzato per ridurre i costi e sopravvivere alla globalizzazione) per l’accumulazione di profitto.

Stiamo scrivendo di pure responsabilità politiche, a cui l’indecente classe dirigente è chiamata a rispondere di fronte all’inadeguatezza espressa nella crisi attuale. Quel che, di nuovo, si trova sull’orlo del fallimento è un modello di sviluppo prono ai guadagni di piccoli gruppi, privatissimi, a cui sottomettere il resto delle popolazioni. La democrazia borghese – santificazione del voto, espulsione del cittadino dalla gestione pubblica, rappresentazione depoliticizzata della realtà, repressione dura per ogni forma di dissenso e di incompatibilità col sistema – è la forma di governo incaricata di mantenere lo stato di cose attuali, e tutti i partiti politici presenti oggi in Parlamento ne sono, consapevolmente o meno, i guardasigilli.

Per questo, la “gestione occidentale” del coronavirus (misure che privilegiano gli andamenti economici), ben diversa anche solo dal “modello cinese” messo in campo in questi mesi (misure che privilegiano la salute), è solo l’espressione più visibile della crisi profonda che tocca le fondamenta dell’attuale organizzazione sociale. Ma paradossalmente, è la stessa democrazia borghese a fornire uno (dei possibili) strumenti per la sua capitolazione e per un ripensamento, se non superamento, generale della forma-Stato odierna. Per questo requisire, e quando sarà necessario espropriare, e dove necessario nazionalizzare, si può, ma soprattutto, si deve. Oggi, per esempio, ne va della nostra salute.

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