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Amministrative, Il Pdl è già preistoria. Uno sguardo sul futuro mediale e politico

Lunedì 30 Maggio 2011 18:30 Torniamo indietro di diversi mesi, anzi a più di un anno fa. Dalle pagine di questo sito sostenevamo che l’aggressione di Massimo Tartaglia al presidente del consiglio avrebbero segnato una crepa reale nell’immaginario diffuso che produceva il consenso verso Silvio Berlusconi.  Non era difficile capirlo: in un periodo già conclamato di crisi veniva rotto il mito dell’infrangibilità del capo.

Mentre il complottismo si ingegnava a voler dimostrare che Berlusconi l’attentato se l’era fatto da solo, e mentre la subcultura cattolica della sinistra e del centrosinistra sapeva solo pensare che la vittima avrebbe raccolto la solidarietà dovuta meccanicamente all’aggredito, le immagini del volto sanguinante del capo ci mostravano una figura incerta e deforme nella notte che, si sa, è simbolico di tutte le crisi.

E’ facile oggi fare questi ragionamenti quando escono le notizie che riportano che Lettieri, il candidato del centrodestra a Napoli, ha fatto di tutto per non far chiudere a Berlusconi l’ultimo comizio nel capoluogo partenopeo. A lungo si è sostenuto, in una mitologia alimentata dal centrosinistra per legittimare ogni comportamento di compromesso, che attaccare Berlusconi era la migliore garanzia per farlo vincere. Non era così ma si è dovuto aspettare che Berlusconi giocasse un referendum contro se stesso per capire che può essere frontalmente battuto. Parliamo di Berlusconi non del Pdl che, al momento dei risultati elettorali delle amministrative, è già preistoria, residuo archeologico di una stagione politica.

Allo stesso tempo già dalla differenza dalla reazione diffusa e negativa allo scandalo Ruby, diversa da quella del caso Noemi che alimentava il mito della potenza e della ricchezza del capo, si poteva capire che il berlusconismo chiudeva una fase storica. Non solo, secondo come andranno i prossimi mesi, questo paese può finalmente relegare il berlusconismo agli studi degli storici delle istituzioni e della comunicazione politica. Certo, la fase che può aprirsi dopo il berlusconismo può essere dura come quella successiva alla fine del fascismo. La storia e la politica si costruiscono con le lacrime ed è bene ricordarlo.

Nel complesso il berlusconismo ha affrontato le differenti crisi che si sono abbattute sul paese a partire dal 2008, di tipo sistemico globale come nazionale, cercando consenso in due modi. Costruendo capri espiatori (immigrati e diversi in genere, la magistratura e tutto quanto servisse per eccitare il senso comune) e puntando sulla fascinazione collettiva della figura di Berlusconi come rockstar. Nel 2011, come dimostrano le amministrative che hanno avuto Berlusconi come testimonial, questa rockstar che al massimo va bene per il genere oldies but goldies. Un segmento di audience coeso nei gusti e nelle inclinazioni, principalmente generazionale, e irriconoscibile per i ventenni e i trentenni che vivono in un mondo che il berlusconismo né conosce né capisce pur avendo contribuito a fondarlo. I voti persi dal centrodestra da quella direzione sono veramente tanti. A differenza del ’94 e degli anni zero dove il voto a Berlusconi era principalmente intergenerazionale.

L’altro dispositivo di estrazione del consenso che non funziona più, non solo per il Pdl ma per l’intero centrodestra, è stato quello della creazione del capro espiatorio. Dal punto di vista dell’antropologia dei media, analisi dei mezzi di comunicazione come del loro sostrato socialmente connettivo, il capro espiatorio è un’arma a doppio taglio. Nell’immediato crea connessione sociale, ripristina l’ordine turbato (di lì molti voti inaspettati al centrodestra in passate elezioni), ma investe chi governa questo ripristino dell’ordine di aspettative che rischiano di rovesciarsi in insoddisfazione. Non a caso da Napoli a Milano tutte le campagne legate alla costruzione di capro espiatorio (rifiuti, zingari, centri sociali) sono fallite. Perché chi le aveva lanciate in queste settimane lo faceva ormai da anni. In quel modo non ha potuto giocare la parte, socialmente privilegiata, del cerimoniere dell’odio, ma quella di chi si presenta senza aver risposto a nessuna delle aspettative generate negli anni scorsi.

Non avendo nessuna risposta materiale alla crisi alla fine, per il centrodestra, è quindi arrivato ad esaurimento anche l’arsenale delle risposte simboliche, quelle che creano connessione rituale. Ma cosa sta accadendo nel sistema politico istituzionale di questo paese?

Di sicuro il Pdl è già preistoria. Per quanto si aggiri ancora in televisione, o nelle aule parlamentari, il popolo della libertà rappresenta, sulla scena della comunicazione politica, il residuo storico di un paese che fu: quello degli anni ’90 e degli anni zero. L’unico interrogativo da farsi è sulla tempistica della sua dissoluzione. Ad occhio a Berlusconi conviene chiudere questa esperienza, inscenando ancora la parte dell’artefice del nuovo, prima che qualche microgruppo parlamentare, oppure la Lega, decida di ottimizzare economicamente la propria presenza in parlamento facendo cadere il governo.

Il futuro del berlusconismo non è però veramente legato ai comportamenti della rete clientelare di cui è composto. Le dichiarazioni dei vari La Russa, Chicchitto, Quagliariello hanno il valore politico di un simulacro, che differenzia il proprio messaggio su molte piattaforme di comunicazione, che mostra sempre più la propria assenza e sempre meno la propria presenza. Il Pdl, in quanto partito che razionalizza sul territorio e nell’amministrazione il consenso creato dalle piattaforme di comunicazione egemonizzate dal grande schermo, è irriformabile e fallito. Il futuro del berlusconismo è in mano al dispositivo originario che l’ha generato: Mediaset.

In questo senso il declino di Berlusconi è quello della generazione di manager televisivi che ha formato la ristrutturazione antropologica di un paese, a partire dagli anni ’80, e che ha venduto con profitto il brand del proprio successo alla comunicazione politica. Una eventuale ristrutturazione del berlusconismo politico passa infatti dal cambio di politica, e di composizione del management interno, che potrà avvenire in Mediaset. Ma se l’azienda penserà di avere ancora, e su basi nuove, il proprio core business in politica, allora dovrà ristruttutturare e molto il proprio modo di comunicare. Perché oggi nessuno dei temi cari al berlusconismo funziona. Anzi questi temi oggi servono come catalizzatore della maggioranza degli elettori contro Berlusconi. Se poi Mediaset, dopo la caduta di questo governo, deciderà di cedere il ramo politica (oggi detto Pdl), i cambiamenti nella struttura proprietaria del capitalismo, della comunicazione e della politica istituzionale in questo paese saranno enormi.

Non è il momento di soffermarsi su quello che sta accadendo nel centrosinistra. E’ evidente il tentativo del PD di ripetere, nonostante le dichiarazioni e le stesse intenzioni, lo schema Prodi. Ovvero un nucleo duro di governo espressione delle istituzioni liberiste (Fmi, Banca europea, commissione Ue) e delle esigenze delle corporation alleato con cartelli elettorali identificati a sinistra. Gli ultimi colloqui con l’UDC cercano di chiudere, su basi nuove, proprio questo cerchio. Ma se la storia sta facendo capire che per i nostalgici del ’94, la vittoria storica del centrodestra, non c’è posto è possibile che questo capiti anche ai nostalgici del ’96, la vittoria storica del centrosinistra. Siamo di fronte a molti cambiamenti. Comunque vada in autunno sarà già un altro paese. E anche la politica di governo reale che emergerà dalle metropoli in cui il centrosinistra ha vinto contribuirà a disegnare queste novità. Chi fa politica di movimento deve avere quindi la consapevolezza che lo scenario è mobile e saper cogliere segni e spirito del tempo. Perché la vittoria del centrosinistra è un tardo frutto obamaniano. Si tratta di  una spinta indifferenziata al cambiamento che viene da ogni parte della società, e passa da ogni piattaforma di comunicazione, ma che ha dato il difficile compito ai vincitori di dare presto risposte ad un paese che sta vivendo in uno stato collettivo di ansia e di paura.

Per Senza Soste, nique la police

30 maggio 2011

Ps. Già molti sostengono che questa volta in Italia ha vinto la rete sulla televisione. Ne parleremo prossimamente. Ora va ricordata una legge della comunicazione politica già sperimentata dal fenomeno Obama e che si candida ad imporsi, fino alla prossima epocale ristrutturazione tecnologica, come norma aurea della comunicazione politica. Si tratta della legge che recita che Internet è ottima per vincere le elezioni mentre è la televisione che serve per governare. E la presenza di Mediaset in questo campo non è un dettaglio di fondo o l’ultimo bagliore di una tecnologia del passato. Si tratta, ancora per un po’, un campo di forza strategico per la politica. Il fatto che questo campo di forza non sia oggetto di contrattazione collettiva è una delle pericolose curiosità di quest’epoca.

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