Mentre il 17 me ne stavo beato in spiaggia, c’è chi vegliava indefesso: Di Feo, esatto, che proprio il 17 pubblicava un articolone su Repubblica del quale vi allego la prima parte sperando di non infrangere nessun copyright altrimenti pazienza.
In questo articolo ci sono alcune cose che non vanno. È vero che tra il 16 e il 17 erano venute fuori due foto di carri Challenger inglesi, uno dotato di “cope cage” (nomignolo col quale si identificano le protezioni improvvisate anti-drone che gli equipaggi montano sui propri mezzi) e l’altro no – ve le allego entrambe – ma al fronte non si sono visti.
Probabilmente si vedranno, ed essendo in dotazione, come correttamente scrive il nostro, all’82a brigata aviotrasportata di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, si vedranno dalle parti di Robotyne che però non è stata presa dalle FFAA ucraine, né il 17 né oggi.
Le truppe ucraine sono segnalate nella parte settentrionale dell’insediamento, che però non è sotto il loro controllo e che in realtà, come Urožaine, non esiste più essendo stato raso al suolo dalle opposte artiglierie.
Non è nemmeno vero, dunque, che “adesso l’artiglieria è in grado di bersagliare Tokmak”, perché nessun pezzo è stato spostato a Robotyne, visto appunto che a) non è in mano ucraina e soprattutto b) non esiste più come insediamento, dunque non ci sono strutture in grado di offrire protezione.
Anche la testa di ponte sulla riva est del Dnepr, che il nostro considera ‘stabile’, è stata eliminata.
La “spallata” del titolo, dunque, è più una forte pressione che uno sfondamento: anche se abbiamo detto tante volte, e non fa male ripeterlo, che le FFAA ucraine sono ancora perfettamente in grado, almeno sulla carta, di creare parecchi problemi alle difese russe.
Molto probabilmente Robotyne, o meglio ciò che ne resta, verrà “presa” dall’82a, ma il problema è cosa farsene dopo, come commenta anche Julian Röpke che di simpatie filorusse proprio non può essere accusato (foto 4).
Quello che però ci interessa, nell’articolo di Di Feo, non è tanto la parte militare che, abbiamo capito, non è il suo forte. Ci interessa invece il fatto che marca, anche per l’opinione pubblica italiana, il momento in cui da oltreoceano arriva un nuovo cambio di paradigma.
Cestiniamo “le superarmi occidentali spazzeranno via le ridicole difese russe e Putin sarà umiliato e costretto a trattare“, adesso è chiaro che la controffensiva non ha dato i risultati sperati, che la guerra potrebbe durare anni e che bisogna congelare il conflitto.
Il primo segnale è arrivato già il 15 sera, tra l’altro poco dopo il mio post sull’82a: ancora David Axe, che dell’82a ormai è l’ufficio stampa, sempre per Forbes, scriveva che la brigata “finalmente si è unita ai combattimenti” e descriveva i combattimenti per Robotyne e Urožaine in toni epici e trionfali.
Ma accennava anche al fatto che quando l’82a, prima o poi, dovrà essere ritirata dal fronte per riorganizzarsi, non ci sono altre unità con preparazione ed equipaggiamento equivalenti, “l’offensiva potrebbe perdere impeto” e addirittura i russi “potrebbero eventualmente trovarsi nella possibilità di contrattaccare“.
Un giro di parole lunghissimo per dire che se anche questa fase della controffensiva va male si preparano tempi cupi.
Dopo questo articolo, il diluvio. Il 16 agosto il sito 1945 (che consiglio sempre di tenere d’occhio) pubblica un pezzo di Daniel Davis, una delle poche voci razionali di parte atlantica, significativamente intitolato “La dura realtà: l’offensiva all’ultimo respiro dell’Ucraina ha fallito“.
Il 17, Seymour Hersh pubblica sul suo Substack un pezzo devastante, “L’estate delle aquile – il wishful thinking è ancora la regola nella squadra di politica estera di Biden, mentre il massacro in Ucraina continua“, dove si fa beffe dell’idea di Sullivan di presentarsi allo scrauso vertice di Jeddah come Woodrow Wilson a Versailles nel 1919.
La sera dello stesso giorno (notte fonda da noi) il Washington Post spara una bordata a palle incatenate: “L’intelligence USA dice che l’Ucraina fallirà nel raggiungere l’obiettivo chiave dell’offensiva“, cioè Melitopol a causa della “brutale competenza russa nel difendere il territorio occupato tramite una falange di campi minati e trincee“.
Il che “verosimilmente” farà nascere un po’ di malumori per tutti i soldi che l’Occidente ci ha investito e complicherà le prossime richieste al Congresso di finanziamenti per l’Ucraina.
Nel pezzo si intervista Rob Lee, anche lui molto pessimista (dopo aver passato un anno e mezzo a fare la conta dei caduti russi raccontando ogni problema come l’inizio dell’inevitabile fine per l’esercito russo e il regime di Putin), e ovviamente si scarica sugli ucraini la responsabilità dei risultati non eccelsi finora raggiunti.
Sempre il 17, Politico pubblica un pezzo sul deputato Andy Harris, uno dei più accesi sostenitori degli aiuti militari all’Ucraina, che pare avere improvvisamente cambiato idea: l’offensiva è fallita, e lui non è più sicuro che si possa vincere.
il 18 agosto la Reuters riprende le tesi del WaPo sull’impossibilità di riprendere Melitopol, mentre Il Messaggero intervista l’ex-SISDE Alfredo Mantici, che perentoriamente ci comunica che “è arrivato il momento di confrontarsi con la realtà“, perché noi sciocchi ci siamo illusi del facile trionfo ucraino e invece finirà con una soluzione alla coreana.
Sempre il 18, la CNN pubblica un servizio nel quale si dice che non è mica vero (sempre come credevamo noi fessi) che gli attacchi ucraini alla Crimea stanno paralizzando la logistica russa, anzi servono a molto poco e sarebbe il caso di dirigerli altrove.
Più o meno lo stesso ragionamento di Politico, che sempre il 18 sera si chiede se magari Milley non avesse avuto ragione già a novembre nel non aspettarsi una cavalcata trionfale fino alla Crimea.
Ieri, infine (19 agosto) Sean Bell – uno di quelli che fino a poco fa scriveva di come Putin ormai è finito poveraccio e Bahmut ha devastato l’esercito russo – ci racconta su Sky News che le cose non vanno benissimo e che l’Occidente si sta scocciando, e il povero Di Feo, ultimo giapponese, si adegua: “l’imprendibile linea russa costringe Kiev a ridimensionare i piani” .
Io lo so come andrà a finire. Parsi, Iacoboni, Mikhelidze e la brigata LiberiOltre tra un po’ li vedremo in televisione a spiegarci quanto siamo stati stupidi a credere che bastasse mandare qualche carro occidentale per far vincere la guerra a quegli scemi degli ucraini, e che loro “ce l’avevano sempre detto”.
Ci scommetto i soldi che sarà così.
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giorgino
poi certi giornaloni italiani, come la borghesia del grande capitale, ed i suoi ” intellettuali,” si lamentano che tanta gente crede a cratinaggini sovraniste complottiste e negazioniste. E un quale altri modo la gente comune potrebbe sottrarsi alla loro ormai smaccata (su tutto), propaganda? La verità è che stenta a emergere un punto di vista di classe che faccia giustizia della propaganda a reti unificate del grande capitale, e del primitivismo analitico della piccola borghesia terrapiattista maelonian salvinista, che tutto mette in discussione tranne i veri meccanismi capitalistici da cui viene travolta
Hansi Hauser Brecker
Un solo appunto: non sono Repubblica e di Di Feo l'”ultimo giapponese” della vittoriosa propaganda bellicista. Credo che il manifesto e i suoi incrollabili corrispondenti comodamente insediatisi a Odessa non si siano assolutamente accorti di quel che ormai tutti hanno sotto gli occhi. Il loro “tifo” è incrollabile.-
Ta
C’è di peggio… a confronto di Radio Popolare, già “storica emittente della sinistra milanese”, perfino il manifesto è pacifista…