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La tortura che non esiste

La tortura che non esiste
Patrizio Gonnella
L’Avvocatura dello Stato ha oggi invitato la Cassazione ad annullare il processo a carico dei venticinque poliziotti e funzionari di polizia condannati in appello per i pestaggi brutali alla Diaz. E non perché andrebbe condannato anche il ventiseiesimo poliziotto, Gianni De Gennaro, o perché i crimini contestati sarebbero troppo poco severi in mancanza della tortura nel codice penale italiano. Sarebbe da rifare perché tutti e venticinque i poliziotti finora coinvolti dovrebbero venire assolti. Non è un bel messaggio verso chi crede nella legalità e nei diritti umani.
È il consueto messaggio istituzionale che va nel segno della impunità e immunità dei torturatori. L’Avvocato dello Stato fa quello che gli dice il suo datore di lavoro. Il governo tecnico non si è in questo caso distinto dai precedenti governi politici.
Il 26 giugno è la giornata dedicata dall’Onu alle vittime della tortura e quel giorno al Politecnico Fandango di Roma lanceremo la campagna “Chiamiamola tortura”. La tortura non è mai una questione di mele marce. La tortura e i torturatori si insinuano là dove trovano spazio e terreno fertile, là dove il sistema consenta che alberghi. La tortura è possibile se non trova resistenze istituzionali. La lotta alla tortura richiede, oltre alla previsione di un reato imprescrittibile che la punisca, anche una amministrazione dello Stato disposta a sanzionare in tutte le sedi i presunti torturatori. Richiede anche forze di polizia il cui lavoro non sia ispirato al machismo ma alla prevenzione sociale. Richiede infine la rinuncia allo spirito di corpo e la dismissione di squadre e gruppi speciali.
Nel febbraio del 1999 il Guardasigilli Oliviero Diliberto istituisce l’Ugap, Ufficio per la Garanzia Penitenziaria. È una struttura di intelligence a cui è affidato il compito di vigilare sulla sicurezza degli istituti penitenziari. A dirigerla fu chiamato il generale Enrico Ragosa, che proveniva dal Sisde e dai reparti speciali di polizia penitenziaria. Stefano Anastasia, mio predecessore alla presidenza di Antigone, così scrisse su questo giornale: «Creare l’Ugap significa togliere attribuzioni e poteri al direttore del Dap (che allora era Alessandro Margara, ossia un gentiluomo), e indica una strada pericolosa, quella della militarizzazione della polizia penitenziaria». Tanto che il Corriere della Sera il 31 marzo 1999, a proposito dell’Ugap e della sostituzione al vertice del Dap di Margara con Caselli, scriveva: «Antigone negli ultimi tempi ha finito per avvertire una distanza dal primo Guardasigilli comunista. Soprattutto su un nodo cruciale che viene indicato nella contestata istituzione di un servizio segreto interno al ministero per il controllo dei mafiosi in carcere e di quanti hanno rapporti con loro. Tanto da agevolare il ritorno nei ranghi del ministero di un generale della polizia penitenziaria da qualche tempo in missione speciale: il capo delle guardie, Enrico Ragosa». L’Ugap ha alle sue dipendenze i Gom, un gruppo speciale di polizia penitenziaria.
Passano due anni e, sempre sul manifesto, con Anastasia pubblichiamo un articolo intitolato “L’incontrollabile Gom”. È passata meno di una settimana dai fatti di Genova. Così scrivevamo: «Gom, ovvero Gruppo Operativo Mobile, ovvero corpo speciale di Polizia penitenziaria. Sganciato da ogni controllo, è chiamato a gestire le emergenze, i casi particolari, le situazioni a rischio. E la caserma di Bolzaneto era una di queste». I Gom erano alle dipendenze dell’Ugap del generale Ragosa. Veniamo al 2012. Margara è rimasto un gentiluomo e fa il Garante dei diritti delle persone private o limitate della libertà in Toscana. Il generale Ragosa è indagato per altri motivi. La tortura non è ancora reato. Antigone il 15 e 16 giugno si sposta ad Asti per la sua assemblea nazionale. Asti è la città dove un giudice non ha potuto condannare un gruppo di agenti torturatori in quanto manca il crimine nel codice penale italiano. Altro che mele marce, quegli agenti definiti torturatori dal giudice sono ancora in servizio.

 
da “il manifesto”

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