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17 aprile: un ‘si’ contro le trivelle e il governo Renzi

Per ammissione degli stessi commentatori, analisti e giornalisti che hanno finora contribuito a tenere in sordina il dibattito sul referendum del 17 aprile, le vicende che hanno visto recentemente protagonista il governo Renzi rendono l’appuntamento di domenica prossima assai più ‘pesante’ e importante dal punto di vista dei possibili riflessi sulla situazione politica generale.

Le dimissioni del ministro Guidi – sacrificata da Renzi per evitare che lo scandalo coinvolgesse anche il resto dell’esecutivo – ha evidenziato per l’ennesima volta le storture di un sistema che fa della corruzione e dell’imposizione degli interessi dei comitati d’affari, delle lobby e delle multinazionali la sua priorità.
Apparentemente, il referendum di domenica prossima affronta un aspetto in qualche maniera secondario. Se dovesse vincere il ‘si’, le trivelle delle società petrolifere – come quella Total che oliava gli ambienti politici ed economici locali e nazionali per poter realizzare il suo business – potrebbero comunque continuare ad estrarre il greggio entro le 12 miglia di mare dalla costa fino alla scadenza della concessione, ma non fino all’esaurimento totale del giacimento come deciso dal governo contro il parere di molto dei suoi stessi amministratori locali. Di fatto il referendum è stato convocato per volontà di quasi metà delle regioni italiane che hanno così voluto contestare il provvedimento dell’esecutivo che con un colpo di mano ha imposto gli interessi della lobby petrolifera.

Ma se la vittoria del ‘si’ avrà formalmente degli effetti limitati sul piano della devastazione ambientale e della limitazione degli appetiti delle imprese energetiche e dei comitati d’affari ad esse connesse, sul piano politico le conseguenze potrebbero essere assai maggiori: la vittoria dei ‘no Triv’ al referendum del 17 aprile potrebbe diventare il primo vero schiaffo al governo Renzi ed alla sua tracotanza da quando l’ex sindaco di Firenze è stato cooptato alla guida dell’esecutivo.
Basta vedere la foga con cui lo stesso premier si è impegnato a sabotare il raggiungimento del quorum, invitando gli elettori ad “andare al mare” come avevano fatto prima di lui Bettino Craxi e Silvio Berlusconi rispettivamente nel 1991 e nel 2011. Contando sulla complicità della grande stampa, di un sistema televisivo sempre a disposizione del blocco di potere e sull’assenza di mobilitazione da parte del mondo politico in generale, Matteo Renzi spera che domenica la consultazione fallisca per ‘rimettersi una costola’ sperando di superare il brutto momento che sta attraversando. La convocazione della consultazione popolare disgiunta dal voto amministrativo di giugno oltre che a provocare un inutile spreco di soldi mira esplicitamente a tenere a casa gli elettori: lo stato maggiore del Pd e gli ambienti economici ad esso connessi sanno bene che se la gente va a votare nella stragrande maggioranza dei casi è per votare contro la distruzione delle nostre coste in nome di uno sviluppo che in realtà significa devastazione ambientale, arricchimento di ristrette lobby e malaffare.
Il meccanismo di boicottaggio sembrava funzionare abbastanza bene, fino a qualche giorno fa. Ma l’emergere dello scandalo sulle pericolose relazioni del ministro Guidi – e, per stessa sua ammissione, del premier Renzi – con la Total, ha costretto i media e il sistema politico a riaccendere i riflettori sulle scorrerie delle multinazionali energetiche nei nostri territori provocando un aumento dell’interesse sul referendum e una politicizzazione dello stesso.

Domenica occorre andare a votare non solo contro le trivellazioni in mare e un sistema che premia le fonti energetiche non rinnovabili e inquinanti a danno della ricerca di fonti alternative e dell’utilizzo nel frattempo di energie rinnovabili. Votare ‘si’ il 17 aprile significherà mandare un chiaro segnale contro le lobby economiche dominanti e le collusioni con un governo corrotto e prono agli interessi dei poteri forti. La vittoria dei ‘si’ costituirebbe un segnale incoraggiante per tutti quei comitati e popolazioni – dalla Val di Susa alla Terra dei Fuochi – che da anni si battono coraggiosamente contro l’imposizione di scelte antieconomiche, inquinanti e autoritarie da parte degli esecutivi nazionali e dell’Unione Europea.

Se domenica dovesse affermarsi il ‘si’ – al di là, come già detto, del carattere specifico del quesito – i movimenti di lotta di questo paese saranno un po’ più forti. Più la partecipazione sarà consistente, più il segnale contro Renzi e il suo comitato d’affari giungerà forte e chiaro.

Rete dei Comunisti

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