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Redditi dei politici: una questione che non possiamo delegare al populismo?

Nel discutere circa la vocazione populista o meno di un soggetto politico/elettorale nascente come Potere al Popolo uno dei temi su cui sarebbe necessario un approfondimento è quello delle indennità dei politici e in particolare dei membri del parlamento. Bisogna sottolineare tale problema? O sarebbe un’indebita concessione al populismo dei Cinque Stelle?

Come premessa a questo augurabile approfondimento di natura culturale e programmatico ci permettiamo di evidenziare alcuni punti:

  • Un soggetto che si rifà anche al comunismo dovrebbe analizzare con molta attenzione i problemi derivanti dalla ripoduzione del ceto politico visto che tali problemi hanno condizionato spesso anche le esperienze rivoluzionarie che si sono tentate nel secolo scorso.

  • Un soggetto che abbia una salutare diffidenza per la democrazia rappresentativa dovrebbe essere molto attento a quelle dinamiche che rendono la rappresentanza più difficile quali le differenze tra rappresentanti e rappresentati per quel che riguarda le condizioni materiali, i livelli di reddito, la scala delle priorità etc.

  • Una delle verifiche che bisognerebbe fare è collegare il livello di corruzione politica presente in Italia e il livello delle indennità percepite in ambito istituzionale per capire se tale livello abbia scongiurato una forte incidenza della corruzione nella vita politica del paese. Ad uno sguardo superficiale sembrerebbe di no.

  • Sarebbe opportuno individuare i legami tra alte indennità legate alla rappresentanza istituzionale e la distribuzione del reddito in senso più generale. Ad es: vedere a quale livello di reddito appartenga chi fa per un certo numero di anni attività politica, tenendo presente che è possibile aggiungere all’indennità un reddito da lavoro spesso legato ad attività professionali di alto profilo con conseguenze negative anche sull’efficienza dell’attività politica stessa (questo sia a causa dell’impegno collegato al lavoro professionale sia a causa di eventuali conflitti di interesse che ne potrebbero derivare).

  • Sarebbe necessario fare una comparazione tra indennità parlamentari esistenti in diversi paesi. Quelle italiane a prima vista sembrano tra le maggiori in Europa anche se alcune valutazioni impropriamente aggiungono alle indennità anche le somme destinate ai collaboratori parlamentari e questo riequilibrerebbe la situazione. Questo però trascura il fatto che le somme destinate ai collaboratori parlamentari rientrano nei costi della politica ma non nei redditi dei nostri rappresentanti. Inoltre i pochi spiccioli dati ai collaboratori parlamentari sono in Italia forniti dalla voce “attività e segreteria” per cui alla fine la comparazione più corretta sarebbe quella in cui si sommano l’indennità netta e le diarie e rimborsi vari, somma che vede i parlamentari italiani ancora in vantaggio sui colleghi europei. Questo senza contare i vitalizi successivi ai mandati che vedono gli italiani saldamente in testa rispetto a francesi, inglesi e tedeschi.

  • L’obiezione per cui questioni del genere sono monopolizzate da partiti populisti non crediamo sia cogente. Questi ultimi sovrastimano un’ ipotetica soluzione del problema delle indennità rispetto al problema del rigore finanziario ed amministrativo. Essi cioè non collegano questo tema alla questione della distribuzione del reddito ma a quello della riduzione della spesa pubblica. Una organizzazione come la nostra invece potrebbe collegarlo simbolicamente alla affidabilità dei rappresentanti rispetto ai rappresentati, alla più veloce rotazione delle cariche pubbliche, al maggiore controllo popolare dell’attività politica, alla maggiore partecipazione democratica nel nostro paese, al finanziamento pubblico dei partiti e degli organi di informazione e alla democratizzazione delle istituzioni intermedie così come prevede pure il dettato costituzionale.

  • Sarebbe anche necessario studiare come lo status di parlamentare abbia condizionato la quasi completa subordinazione del singolo esponente politico ai gruppi parlamentari di appartenenza (subordinazione che ha reso molto più effficienti le controriforme sociali approvate dai parlamenti negli ultimi anni). Valgano su tutte le indecisioni amletiche (e spesso ridicole) di esponenti come Pippo Civati e Stefano Fassina.

  • A questo proposito sarebbe giusto approfondire anche eventi classificabili nel trasformismo parlamentare che hanno determinato in negativo la vita stessa dei governi degli ultimi anni (si pensi alle vicende legate all’onorevole De Gregorio o ai vari Mastella, Razzi etc.). Il fine di mantenere più a lungo i privilegi legati all’attività parlamentare potrebbero aver avuto un ruolo in questi eventi.

  • Infine vale la pena analizzare il progressivo spostamento a destra di partiti come il Pd e come quelli della cosiddetta Sinistra radicale (si pensi a tal proposito alle scissioni dei Comunisti Unitari e di Sinistra e Libertà) e di singoli politici con onorevoli che hanno fatto il giro di molti gruppi parlamentari (a parte i casi pittoreschi di Maria Fida Moro e Dacia Valent spicca la vicenda di Gennaro Migliore che da Rifondazione è passato a Sel e poi al Pd). Ci si può domandare se lo status e i privilegi legati all’attività parlamentare non abbiano avuto un ruolo nel plasmare sia le convinzioni politiche sia le prospettive future di tali organizzazioni.

Insomma la questione delle indennità dei parlamentari e della loro collocazione nelle diversità di reddito interne alla società italiana più che una questione populista sembra un importante tema politico consegnato, spesso, ai populisti per mancanza di coraggio e di consequenzialità.

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2 Commenti


  • Giordano Bruno

    Grazie Italo per l’intervento. Mi chiedo come si possa calare nella realtà adesso. Un’autoriduzione ai livelli di un operaio è una questione di decenza, ma penso non sia abbastanza per fare in modo che la classe si senta davvero rappresentata.


  • Lorenzo

    Sono d’accordissimo con voi!

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