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Il capitalismo finanziario fa schifo pure a Tripi (Almaviva)

Alberto Tripi, presidente e fndatore di di Almaviva, holding di call center a partire da Atesia, non è persona che ci stia simpatica. Ma è un “imprenditore” ben inserito nelle dinamiche del capitalismo attuale. Parlando a Cortina incontra, in un dibattito pubblico dal promettente titolo “Fuori i soldi”, ha disegnato in poche parole una tendenza incontrastabile che si è affermata nel capitalismo attual.

Ad esempio, rileva, «noi come gruppo Almaviva facciamo un fatturato di circa 900 milioni di euro. Di questi 900 mln, paghiamo circa 130 mln di euro di Iva, 16 mln di euro di tasse, 150 mln di contributi e tasse per i nostri lavoratori. Alla fine il nostro utile netto è 8 mln di euro. Se rinunciamo ai nostri dividendi possiamo investire al massimo 8 mln, che è poca roba. La banca invece valorizza di più il patrimonio delle aziende».

Secondo le regole di Basilea 3 ormai, aggiunge, «è più importante che una banca abbia molto patrimonio, cioè beni materiali di proprietà, che non impieghi (capitale prestato, ossia “impiegato” nell’attivitò tipica d una banca, ndr). L’azienda ideale da finanziare, per le banche, sarebbe un’azienda che ha poco personale, investe poco e ha molto patrimonio. Quindi, un’azienda senza dipendenti, che fattura 1 euro all’anno, e ha in cassaforte milioni di euro. Ma se andassimo a premiare aziende di questo genere, che sarebbero come degli hedge fund, difficilmente il sistema industriale potrebbe avere un grande sviluppo».

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