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«È una guerra che abbiamo dimenticato»

E’ una guerra che è scomparsa, che ha cambiato segno. Non ha più alcun rapporto con la Risoluzione Onu 1973, i raid della Nato si ripetono «stanchi» su Tripoli e le forze del raìs: siamo oltre le diecimila azioni aeree e cinquemila di bombardamento effettive. E siamo al paradosso che a lamentarsi della illegalità di questo conflitto – il suo prolungamento oltre il 19 giugno come da promessa presidenziale, lo stato di guerra non votato, i troppi fondi impegnati – sia negli Stati uniti il portavoce repubblicano del Congresso, John Boehenr, mentre molti deputati (anche democratici) minacciano di denunciare Obama. E anche che in Italia, a strumentalizzare il non-senso del conflitto è la destra xenofoba con Maroni che ora denuncia il «dispendio dei soldi per i bombardamenti» per ricattare sui profughi ancora più a destra il governo italiano malconcio per i risultati elettorali e dei referendum. Allo storico del colonialismo italiano e biografo di Gheddafi, Angelo Del Boca abbiamo rivolto alcune domande sulla «guerra scomparsa».
Come giudichi il fatto che nessuno s’interroga più sul senso e il destino della guerra euro-atlatica in LIbia?
Ha ragione il direttore di LiMes Lucio Caracciolo quando dice che questa guerra è cominciata con notizie false e continua ad essere una guerra intrisa di falsità. Al punto, però, che nessuno sa più come uscirne. Dopo tante vittime.
Ormai, ogni giorno, vediamo il via vai del fronte di guerra tra lealisti e insorti. Stanno sempre lì, nella Cirenaica martoriata. Come ogni notte, e ora con gli elicotteri anche di giorno, i raid della Nato martellano Tripoli. Va avanti così da più di cento giorni. La Nato annuncia vittorie, poi torna l’offensiva delle forze di Gheddafi da Brega e su Misurata. Insomma, è credibile una soluzione militare?
No, non è credibile. La Nato che ha preso in mano questa missione e continua a bombardare come fosse una coazione a ripetere. Indubbiamente i bombardamenti dell’ultima settimana indicano che l’obiettivo principale è proprio Gheddafi, anche se poi i comandi Nato dicono che non è il loro obiettivo «ma che se per caso accadesse, meglio ancora…». parole testuali del generale o del ministro atlantico di turno. Però tutti sanno che la soluzione militare assolutamente non c’è. Anche perché c’è poco da dire. Loro pensano che intorno a Gheddafi ci siano poche decine di persone, invece non è vero. Io ho parlato in questi giorni con alcuni testimoni diretti che vivono in Libia – non solo con il vescovo di Tripoli Martinelli – e ho letto i reportage dell’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi. E tutti concordano su un punto: intorno a Gheddafi c’è, ancora, gran parte della popolazione libica e dei suoi rappresentati, a cominciare dalle tribù, tutte ancora sostanzialmente schierate con lui. Perché sono tanti quelli che hanno avuto in questi quaranta anni vantaggi dal regime e, tutto sommato, temono di scomparire con la scomparsa di Gheddafi e del suo clan. Così gli restano vicini. Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che dopo cento giorni di bombardamenti, le varie fonti Nato farfugliano sulle distruzioni provocate, prima il 30% poi l’80%. Ma poi non spiegano come le truppe di Gheddafi siano ancora all’offensiva. Perfino nella regione della Montagna, addirittura sembrava fosse aperta la strada per la Tunisia e invece non è vero. E poi c’è un fatto: non è vero che Gheddafi non ha più fondi.
Ma allora, a questo punto, è forse possibile una soluzione politica?
Io penso di sì. Però doveva intervenire la Russia con un accordo, o almeno fare un tentativo e poi invece non s’è più vista; la Turchia ha fatto un tentativo fallito; l’unico tentativo che va avanti da un po’ di tempo è quello dell’Unione africana con il presidente sudafricano Zuma che è già venuto due volte a Tripoli e ha parlato con Gheddafi, e che ieri ha protestato contro i radi della Nato che, ha detto, «impediscono una soluzione diplomatica». Ma quello che mi stupisce è la tranquillità di Gheddafi, che si mette a giocare a scacchi col miglior scacchista del mondo ma nessuno lo trova. C’è una sua ostentata «tranquillità» che accresce il personaggio. Del resto è lui l’inventore del suo personaggio. Confermata dalla dichiarazione dell’altro giorno che dice: «Io resto qui, vivo o morto».
Che figura fa l’Italia che prima indicava in Gheddafi l’«esempio da seguire» per tutto il Medio Oriente, poi ha chiesto al regime di controllare con i campi di detenzione l’immigrazione, infine bombarda e si appresta a chiedere al Cnt di Bengasi le stesse cose che trattava con il raìs. E che figura fa l’opposizione di centrosinistra?
Ha accettato tutto. Compreso Frattini che corre con fondi – chi paga? – a Bengasi da interlocutori perlopiù sconosciuti e spesso inaffidabili. Ma confesso che quello che mi ha molto colpito è stato l’atteggiamento del presidente della repubblica che dovrebbe difendere la Costituzione e, invece, la nega almeno su quattro articoli. Sono deluso perché ero un grandissimo ammiratore di Napolitano. Capisco l’atteggiamento di Napolitano: avendo visto la situazione ondulatoria del governo, con Berlusconi che dice «io veramente ero contro questa guerra, ma mi hanno trascinato», cerca di salvare la faccia del paese davanti all’America. Ma continua a negare la Costituzione.
Come finirà, visto che gli Usa rimproverano gli alleati della Nato perché poco impegnati e gli stessi Stati uniti s’interrogano sulla continuazione della guerra?
Hanno prorogato la missione Nato di tre mesi, ma chi paga? Mentre si defila la Danimarca, la Germania insiste a non partecipare, in Gran Bretagna sono finiti i soldi dell’ammiragliato. Il fatto è che questa guerra è cominciata e adesso nessuno sa come finirla. Non so come finirà. O con una grande risata da parte di Gheddafi, oppure con lui che muore sotto un bombardamento.

da “il manifesto” del 16 giugno 2011

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