Mentre è prevista oggi la conferenza stampa del presidente della repubblica moldava Nicolae Timofti e dello speaker del parlamento Andrian Candu, che ieri si sono rifiutati di incontrare i manifestanti, la situazione a Kišinëv appare abbastanza tranquilla.
Dopo le decine di migliaia di dimostranti che domenica avevano affollato l’area di fronte agli edifici governativi, qualche centinaio di tende rimangono a presidiare le posizioni. Secondo la Tass, i primi approcci tra manifestanti che fanno riferimento alla piattaforma “Demnitate si adevar”-DA (“Dignità e verità”; o “Dignità e giustizia”) e rappresentanti del governo non hanno dato risultati: i primi rimangono fermi nella loro richiesta di dimissioni del Presidente Nicolae Timofti, del governo, degli alti funzionari compromessi nella scomparsa di un miliardo di $ – 1/8 del bilancio statale: il 15% del PIL – da tre banche commerciali, per l’indizione di elezioni anticipate e l’elezione diretta del capo dello stato.
Stando alla Tass, ai manifestanti si sarebbero unite anche organizzazioni di piccoli contadini, che chiedono di essere compensati per la perdita del mercato russo, dopo la firma da parte del governo dell’accordo di associazione con l’UE; anche se tra le bandiere viste in piazza ci sono per lo più quelle di UE, Moldavia e Romania; alle manifestazioni della primavera scorsa avevano infatti partecipato anche forze favorevoli all’unione alla Romania.
All’interno della compagine governativa “Alleanza per l’integrazione europea”, formata dai Partiti Democratico, Liberal-democratico e Liberale, si discutono le controproposte. Intanto, il premier Valerij Strelets ha fatto sapere che, non vedendo volontà al dialogo da parte di DA, “di propria iniziativa il gabinetto non rassegnerà le dimissioni”. Il magnate del petrolio e vice presidente del PD, Vladimir Plakhotnjuk, ha però aperto uno spiraglio verso la richiesta di elezioni anticipate; ma, secondo Strelets, “l’insistenza con cui chiedono le dimissioni, fa pensare che dietro ai dimostranti ci siano ben altri interessi”. Quali? Una delegazione della piattaforma DA, che, come da “abc” dei corsi di formazione del Dipartimento di stato Usa accusa il governo di monopolizzare i media, limitare la libertà di stampa e non volere davvero l’integrazione europea, si era incontrata domenica con rappresentanti di Bruxelles e Washington..
E infatti, ancora da copione, è dubbio che le proteste contro una leadership del paese accusata di essere agli ordini dei gruppi oligarchici siano il vero obiettivo di DA: nonostante su tale questione concordi anche il partito “Blocul rosu” (il “Blocco rosso” guidato dall’ex deputato comunista Grigorij Petrenko, arrestato insieme a molti altri comunisti dopo le manifestazioni di domenica scorsa), i leader di DA hanno tenuto sin da subito a prendere le distanze da questo. DA non fa mistero di volersi trasformare in partito, alla cui guida dovrebbe andare Maja Sandu, ex Ministro dell’istruzione, laureata alla Harvard Kennedy School of Government del Massachusetts, ex Consigliere alla direzione esecutiva della Banca mondiale, protégé della fondazione “Soros” e dell’ambasciata USA.
Il leader del Partito socialista, Igor Dodon, ha dichiarato di concordare con gli slogan di DA “Abbasso gli oligarchi” e “elezioni anticipate”, ma di dissociarsi dalle loro posizioni filo-UE. Il PS, che in parlamento conta 25 deputati su 101, è contrario alle posizioni di DA che vuole l’ingresso nella Nato, l’integrazione alla UE e l’unione alla Romania.
Da parte sua, “Blocco rosso”, che ha preso le distanze dal PC ufficiale e dal suo leader storico, Vladimir Voronin, accusati di dare appoggio esterno alla coalizione governativa filo UE e di lavorare negli interessi degli oligarchi, sta organizzando da mesi proteste contro gli aumenti delle tariffe e contro gli oligarchi più in vista. “Blocco rosso” sottolinea che in Moldavia è in corso non solo una “euromajdan”, ma anche un’azione di massa “contro gli oligarchi che hanno preso il potere” e in particolare contro il principale di essi, Vladimir Plakhotnjuk, del PD. “Blocco rosso”, che afferma di rifarsi nelle sue basi teoriche “alla filosofia marxista”, continua anche il picchettaggio della Procura generale. Tra le altre rivendicazioni, il divieto di ingresso in USA e nei paesi UE per l’attuale leadership governativa. Il sito pcnm.md riferisce l’appello dei deputati del PC della Repubblica di Moldavia – che già lo scorso giugno si erano uniti in massa a “Blocco rosso”, contro le posizioni filo oligarchiche della leadership del partito – ad appoggiare le attuali proteste di massa contro la politica del governo, filo UE e antipopolare. Al congresso straordinario del maggio scorso, “Blocco rosso” – in quell’occasione fu anche deciso di rinominare così il movimento in precedenza detto “Casa noastră Moldova” – si era espresso per “il proseguimento della lotta contro il regime oligarchico antipopolare, contro ogni manifestazione di xenofobia e neofascismo, il dispiegamento delle azioni di protesta contro il regime di Plakhotnjuk-Filat-Voronin, contro la politica militarista del governo, volta a liquidare la neutralità fissata dalla Costituzione.
Mosca, che fa sapere di seguire attentamente la situazione moldava, dice che questa potrebbe indirizzarsi lungo uno “scenario a là majdan”. Il presidente della Commissione affari esteri del Consiglio federale (il senato russo), Konstantin Kosačev, mentre nota che l’insoddisfazione per la politica governativa è espressa da persone sia di orientamento filoeuropeo che filorusso, ha dichiarato alla Tass che “il popolo vuole sinceramente dei cambiamenti e non se ne andrà dalla piazza, così, semplicemente”. Dunque, dice, possono aversi tre esiti: il governo va incontro alle richieste della gente, quantunque “ci siano già segnali di rifiuto del dialogo da entrambe le parti”; si accolgono le richieste e si va alle elezioni, “ma è dubbio che il governo si dimetta; terzo esito, l’ennesima rivoluzione colorata”. Questo, afferma Kosačev, potrebbe essere “l’obiettivo di qualche giocatore interno o esterno, per risolvere d’un colpo diverse questioni: riportare il problema della Transdnestria a una fase “calda”, ottenere così la reazione russa e su questo sfondo rafforzare l’orientamento filo occidentale con lo spauracchio “arrivano i russi”. Rigorosamente sul modello ucraino”.
Se dunque questo è lo scenario che ci si può aspettare, in un paese in cui il PC ufficiale è stato al governo dal 2001 al 2009 (soppiantato poi da quel Vladimir Filat, il magnate prima militante PD, poi premier Liberal-democratico fino al 2013, con forti agganci col PPE, Angela Merkel e Donald Tusk) rimane da analizzare la questione di chi fa gli interessi di chi e chi fa il gioco di chi, consapevolmente o meno.
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