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Turchia. Il voto pilotato incorona Erdogan, Mogherini non vede i brogli

Le elezioni di ieri in Turchia, “dove c’é stata una alta affluenza, hanno riaffermato il forte impegno del popolo turco a favore del processo democratico”. E’ quanto afferma una nota congiunta dell’Alto Rappresentante per la Politica estera della Ue, Federica Mogherini, e del Commissario alla politica di vicinato, Johannes Hahn. “Attendiamo di conoscere i risultati e le conclusioni preliminari del lavoro degli osservatori Osce-Odihr che saranno presentate in giornata”, affermano Mogherini e Hahn sottolineando comunque che “l’Ue collaborerà con il futuro governo (turco), al fine di rafforzare ulteriormente il partenariato UE-Turchia e di continuare a migliorare la nostra cooperazione in tutti i settori, a beneficio di tutti i cittadini”.
Sfacciata realpolitik nella speranza che Ankara abbassi i toni con Bruxelles sul controllo dei flussi migratori. Nessun riferimento ai massicci brogli denunciati dai curdi e da alcuni candidati del Partito Repubblicano del Popolo. Oppure al fatto che decine di migliaia di elettori – per lo più curdi – non hanno potuto esercitare il diritto al voto in quanto i loro seggi elettorali erano stati trasferiti dai loro territori, sottoposti allo stato d’eccezione, a luoghi distanti decine di chilometri e difficili da raggiungere vista la militarizzazione imposta dalle autorità. Per non parlare della stampa di opposizione imbavagliata, delle centinaia di sedi del Partito Democratico dei Popoli assaltate e chiuse col fuoco da bande di manifestanti islamisti e nazionalisti etc. 
Eppure le segnalazioni di massicce irregolarità non sono mancate neanche sulla stampa mainstream. E gli stessi osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) il cui rapporto Federica Mogherini dice di attendere per farsi un’idea più precisa di quanto accaduto ieri, hanno affermato di deplorare il clima di “violenza” in cui si è svolta la campagna elettorale, criticando il governo di Ankara per le “pressioni sulla stampa indipendente” (alla faccia delle pressioni!).
In molte zone gli osservatori internazionali – tra questi quelli del Partito della Sinistra Europea – hanno segnalato “l’atteggiamento intimidatorio” dei militari che sono entrati nei seggi trascinando via rappresentanti di lista ed elettori non graditi (ad esempio a Cizre). Sui social network circolano foto di schede votate a favore dell’Hdp trovate nell’immondizia a Diyarbakir, città dove familiari e sostenitori di un candidato dell’Akp hanno spintonato e malmenato un gruppo di osservatori internazionali, mentre alcuni giornalisti che scattavano foto ai militari schierati sono stati costretti a cancellare le immagini ed a consegnare la propria attrezzatura affinché fosse ‘controllata’, il tutto mentre i membri delle forze speciali minacciavano di morte i reporter. 
Ha davvero uno strano concetto di ‘democrazia ‘ la signora Mogherini, che pure è stata a lungo una frequentatrice dei Forum Sociali…
Più o meno quella espressa dal ‘sultano’ che commentando il risultato del voto pilotato di ieri ha detto, in riferimento alle pur lievi critiche provenienti da Europa e Stati Uniti: “La volontà nazionale si è manifestata a favore della stabilità. Adesso un partito con circa il 50% in Turchia ha conquistato il potere, questo dovrebbe essere rispettato dal mondo intero, ma non ho visto questa maturità” finora. Il vincitore della contesa di ieri ha chiesto “che tutti rispettino l’esito della volontà popolare”. Ma quella espressa dalle urne è solo in parte una manifestazione limpida della volontà popolare. E’ vero che il caos scatenato scientemente dal governo uscito sconfitto dal voto del 7 giugno ha convinto una parte dei turchi che si erano astenuti o che avevano scelto di votare l’estrema destra nazionalista a tornare a sostenere gli islamisti in nome “della stabilità e dell’integrità del paese” (come ha fatto notare ieri sera lo stesso capo dello stato). E’ forse anche possibile che alcuni elettori curdi “moderati” che alle scorse elezioni avevano scelto l’HDP, la formazione nata dalla confluenza tra sinistre turche e curde, possano aver deciso di tornare a sostenere l’AKP dopo il ritorno alla lotta armata della guerriglia del Pkk. 
Ma è altrettanto vero che l’esito della consultazione è da considerarsi frutto di una pesante manipolazione, oltre che dello spregiudicato utilizzo da parte degli apparati statali della strategia della tensione, del terrorismo di stato, della repressione e della censura.
Mentre a Diyarbakir centinaia di curdi scendevano in piazza a protestare subodorando la possibilità che i brogli portassero ad una espulsione del Partito Democratico dei Popoli dal parlamento, a Konya, a Istanbul ed in altre roccaforti del potere erdoganiano la folla islamista festeggiava al grido di ‘Allah è grande’. Al di là del condizionamento del voto da parte del regime, è indubbio che quasi due decenni di erdoganismo – islam radicale più turboliberismo, nazionalismo sciovinista più speculazione – abbiano coagulato all’interno della società turca un consistente blocco fedele ad Erdogan e alle sue aspirazioni neo ottomane. E più passa il tempo più le città turche, tranne poche eccezioni, somigliano a quel mondo arabo-islamico dal quale l’autoritarismo laicista e modernista di Ataturk aveva tentato di tenere lontano il paese.
In molti, oggi, insistono sul fatto che i 316 – o 317, i risultati del voto non sono stati ancora ufficializzati – eletti dell’Akp assicureranno si al ‘sultano’ e al suo fido Ahmet Davutoglu di poter agevolmente formare un governo monocolore, ma che la vittoria islamista è zoppa. Le urne infatti non hanno concesso a Giustizia e Sviluppo il numero di deputati necessario a cambiare la Costituzione in senso islamista e presidenzialista senza prima trovare un accordo con qualche altra forza politica. Verissimo. Ma gli ‘ex’ Lupi Grigi dell’Mhp potrebbero aver capito l’antifona – la destra nazionalista è stata la formazione più colpita ieri, dimezzando il numero dei suoi parlamentari – ed in cambio di qualche concessione da parte del nuovo governo potrebbe essere meno restia a dare una mano nell’iter di riscrittura autoritaria della Costituzione. Vedremo. Intanto il segretario della destra nazionalista Devlet Bahceli ha rassegnato le proprie dimissioni affermando comunque che «il partito ha superato la soglia di sbarramento aggirando tantissime trappole».
«Non abbiamo ottenuto quello che volevamo, ma ringraziamo chi ci ha dato fiducia, siamo in Parlamento e continueremo a lavorare per la democrazia, ma soprattutto per la Pace, ce lo chiede la gente» ha detto il portavoce dell’Hdp, Selahattin Demirtaş, il quale ha però ribadito che ” non è stata un’elezione corretta, non abbiamo potuto fare campagna perché dovevamo proteggere la nostra gente da un massacro. Ma è ancora una grande vittoria. Abbiamo perso un milione di voti ma dobbiamo tenere testa a questa politica di massacro e fascismo”.
L’Akp ha invece dimostrato, afferma Erdogan, di essere più forte dei complotti orditi alle sue spalle e governerà secondo il motto «una nazione, una bandiera, una terra, uno stato». E’ facile prevedere che alcuni dei complotti orditi dallo stesso regime per diffondere paura e timori tra la popolazione e legittimare un massiccio sostegno all’uomo dell’ordine scompariranno improvvisamente come per incanto, ora che le opposizioni sono state sbaragliate e al potere serve dare un’immagine tranquillizzante, di stabilità. Ma difficilmente il regime, riconfermato dalle urne ma sempre più debole sul fronte economico oltre che sul piano dell’egemonia e delle alleanze internazionali, avrà vita facile. Stamattina il mercato azionario di Istanbul ha festeggiato il ritorno del ‘sultano’, e anche la Lira turca, che nei mesi scorsi aveva perso il 30% del suo valore rispetto a dollaro ed euro, ha recuperato qualcosa. Ma l’euforia potrebbe durare meno del previsto. Sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti hanno bisogno di poter contare sulla Turchia, che però reclama condizioni e privilegi – ad esempio per quanto riguarda lo scenario siriano – che finora i due blocchi geopolitici non hanno voluto e potuto concedere.
Inoltre nel sud, a meno di improvvise capriole da parte del regime, la guerra con i curdi continuerà. Ieri sera migliaia di giovani si sono scontrati con le forze di sicurezza a Diyarbakir, a Sirnak, a Van ed in altre città del Kurdistan, innalzando barricate e rispondendo alle pallottole e ai lacrimogeni della polizia con le pietre e con il fuoco. Sempre ieri sera un ordigno è esploso in una panetteria a Nusaybin (distretto di Mardin) ferendo numerosi passanti. 
Alla vigilia dell’apertura dei seggi i caccia turchi avevano bombardato per cinque ore varie località del territorio siriano, attorno a Kilis, martellando sia le postazioni dello Stato Islamico sia quelle della guerriglia curda delle Ypg, in collaborazione con “forze turkmene”, piccole milizie agli ordini di Ankara attive nel Nord della Siria. Mentre gli Stati Uniti puntano sul sostegno alle milizie curde pur di avere un ruolo nello scenario siriano, la Turchia non sembra voler rinunciare a due degli obiettivi perseguiti con più determinazione da Erdogan negli ultimi anni e che ora la vittoria elettorale dell’Akp sembrerebbero rafforzare: spazzare via le organizzazioni curde che guadagnano terreno dentro e fuori dai confini dello Stato turco e mettere le mani sulla Siria settentrionale imponendo così il proprio volere alle altre nazioni impegnate proprio in questi giorni nei difficili colloqui di Vienna. Entrando così in rotta di collisione non solo con Mosca ma anche con Washington.
In attesa di capire come e se il ‘sultano’ modificherà la propria strategia dopo la vittoria pilotata di ieri, questa mattina un episodio inquietante ha funestato i festeggiamenti dei fan di Erdogan. Un ventenne avrebbe infatti tentato di entrare all’interno del complesso presidenziale a Istanbul e, esser stato bloccato dagli agenti di guardia, si sarebbe sparato con un’arma sottratta ad un poliziotto. Almeno questo racconta la versione ufficiale…

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