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Il Mali e la posta in gioco in Italia

I ministri della Difesa e degli Affari esteri dell’Unione Europea hanno discusso una relazione sulla situazione del Mali e il Consiglio Europeo ha condiviso la posizione dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari europei. E’ quanto si legge nella nota diffusa oggi da palazzo Chigi, al termine del Cdm. La crisi è in “rapido aggravamento”, ha detto il ministro degli Esteri Giulio Terzi insistendo sulla necessità di agire con “coesione tra le forze coinvolte nella crisi in Mali”.

Non sorprende che sulla stessa posizione del governo Monti (dimissionario) e degli apparati dell’Unione Europea si sia schierato anche il segretario del Pd Bersani. “Bisogna fermare formazioni jihadiste sanguinarie – ha detto stamattina a Radio 24 – i francesi sono intervenuti e non si può lasciare sola la Francia” poi ha affibbiato una patente tutta da verificare “Prodi, che è un pacifista e inviato Onu, dice che l’intervento ci vuole ed è tempo che Ue riprenda bandolo. In Italia non se ne parla perché abbiamo abbassato profilo in politica estera”. La politica estera che il PD sostiene e sosterrà se vincerà le elezioni sarà dunque simile a quella neocolonialista di Hollande e dell’Unione Europea.

Queste semplici quattro righe di valutazione di Bersani si prestano ad un secca e meritata replica:

1) Con le forze jihadiste, la Francia, l’Italia, gli Usa, la Germania, la Gran Bretagna stanno collaborando allegramente e pesantemente in Siria contro il regime di Assad. Affermare che i jihadisti vanno bene in Siria ma vanno male in Mali, è un doppio standard irto di ambiguità e di pericolosi doppi giochi;

2)  La Francia è alla sua terza operazione militare e coloniale in poco meno di due anni. E’ intervenuta in una sua ex colonia – la Costa d’Avorio – per deporre il presidente uscente Gbagbo che contestava i risultati elettorali e i brogli del suo avversario Ouattara, sostenuto militarmente dalla Francia; poi ha aggredito la Libia, avviando unilateralmente i bombardamenti, con le stesse motivazioni adottate in Costa d’Avorio: la “protezione dei civili”. Infine la Francia sta intervenendo militarmente in Mali sulla base di motivazioni del tutto materiali: nel paese ci sono i giacimenti di uranio monopolio della multinazionale francese Areva che gestisce gran parte dell’industria e del ciclo nucleare in Francia e nel mondo. La Francia dunque non solo va isolata per la sua pericolosa politica guerrafondaia ma dobbiamo augurarci che venga sconfitta anche sul campo;

3) Prodi pacifista? Confondere l’aria pacioccona di Prodi con uno spirito pacifista è un errore che nessuno può commettere. Nel 1998 è stato lui ad attivare l’activaction order nelle basi militari in Italia per preparare i bombardamenti che sarebbero stati scatenati sulla Serbia pochi mesi dopo. Il fatto che nel frattempo al governo fosse subentrato D’Alema non lo assolve. Nel secondo governo ha fatto di tutto affinché venisse imposta la base militare Usa al Dal Molin di Vicenza. Sul mantenimento della missione militare in Afghanistan si è salvato grazie al servilismo dei deputati della sinistra, fino a quando due di loro – i senatori Rossi e Turigliatto – hanno messo fine all’ignominia;

4) L’Unione Europea il “bandolo” di una politica militare e di sicurezza aggressiva, lo sta prendendo in mano da tempo. Una lettura minimamente attenta delle scelte fatte in materia di Difesa europea lo può confermare rapidamente. Bersani ha sentito parlare del “Neuron”? E’ il drone militare senza pilota europeo collaudato solo poche settimane fa. Il fatto che in Italia di politica estera si parli poco dipende dal fatto che la gente non può esprimersi sui trattati internazionali attraverso il referendum, né sul Fiscal Compact né sulla Nato. Se lo potesse fare sicuramente il dibattito pubblico sulla politica estera ne uscirebbe arricchito. Perché non facciamo un bel referendum sui Trattati Europei? O se l’Italia debba rimanere ancora subalterna alla Nato e alla militarizzazione del territorio impostaci dagli Usa come nel caso del Muos di Niscemi?

Come vediamo anche solo quattro righe di contenuti ci separano e ci mettono in collisione con il segretario del Pd e possibile futuro premier. E’ su questo che si gioca la differenza, il programma, l’orizzonte di società che abbiamo in testa e che diverge radicalmente da quella di Bersani e del Pd. Che dire? Guai a chi desiste oggi e soprattutto domani, quando magari sarà in Parlamento.

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