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Russia e Cina alle prese con la ‘mina’ turca

A quale punto sono i rapporti tra Mosca e Ankara, a una settimana dall’abbattimento del cacciabombardiere russo nei cieli sopra il confine tra Siria e Turchia? Difficile stabilire il grado di sincerità del presidente turco Recep Erdogan quando, nella conversazione telefonica avuta ieri con l’omologo kazako Nursultan Nazarbaev e di cui ha dato notizia l’emittente Anna news, ha espresso il desiderio di incontrarsi al più presto con Vladimir Putin.
Difficile, anche perché, stando alle informazioni messe in rete da una delle corrispondenti più preparate di Komsomolskaja pravda, Darja Aslamova, la Turchia starebbe “preparando un intervento massiccio in Siria con l’obiettivo della creazione di una zona cuscinetto e dietro il pretesto della difesa dei turkmeni siriani (molti dei quali fanno parte di gruppi terroristici, quali Al Nusra) dai bombardamenti russi”. Secondo Aslamova, che si basa su sicure fonti turche, i servizi segreti di Ankara starebbero addestrando anche gruppi terroristici formati da Uyghuri cinesi, un’etnia turcofona di fede musulmana che vive nel nordovest della Cina. Aslamova testimonia di scritte cinesi lasciate sui muri del quartier generale Isis della città di Al Houl riconquistata dai combattenti curdi e questi ultimi hanno riferito di cadaveri di cinesi lasciati sul campo dall’Isis in ritirata.
Ma, senza attendere l’addestramento turco, c’è chi si dichiara già pronto (un anno e mezzo di guerra contro i civili del Donbass e le lezioni degli istruttori USA serviranno bene a qualcosa!) a intervenire contro i russi in Siria: sono i neonazisti del battaglione ucraino “Azov”. Il loro comandante, ora deputato della Rada Andrej Biletskij, ha dichiarato al canale tv “112 Ucraina” che “Considerando il raffreddamento dei rapporti con la Russia e lo scontro di interessi russi e turchi in Siria, è assolutamente logico per la Turchia cercare contatti con l’Ucraina”. E così, ha detto, il battaglione “Azov” può benissimo “riunire la propria legione straniera e inviarla a combattere per la coalizione occidentale in Siria”. Una dichiarazione che non meraviglia, anche dopo le notizie, diffuse giorni fa, su gruppi terroristici kuwaitiani dediti all’acquisto di armi di fabbricazione cinese in Ucraina e al loro smercio in Siria passando per la Turchia.
Sembra dunque ancora presto per fare affidamento sulle “buone intenzioni” di Ankara. Ormai solo in pochi credono alla “fatalità” o al “nervosismo” dei piloti turchi nell’abbattimento del cacciabombardiere russo il 24 novembre scorso. Sabato scorso anche l’ex presidente libanese Emile Lahud, in un’intervista esclusiva alla russa RT, ha dichiarato che quanto accaduto col Su-24 era stato pianificato da tempo. Secondo Lahud, l’azione di Ankara è stata dovuta in larghissima parte ai legami di Erdogan con i gruppi estremisti della regione: “E’ noto a tutti che il presidente turco Erdogan appoggia già da cinque anni i gruppi fondamentalisti, permettendo loro di vendere petrolio in Turchia. Ed è anche noto che da cinque anni Erdogan insiste per la creazione di una zona cuscinetto tra Turchia e Siria, da utilizzare come piazzaforte da cui i terroristi possano attaccare il legittimo governo siriano”. Inoltre, “i bombardieri russi, che stavano colpendo i trasporti di petrolio nella zona montuoso tra Siria e Turchia, ostacolavano i piani di Erdogan e così lui si è deciso a tale passo irresponsabile”.
Il petrolio, appunto. Sempre sabato scorso, il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov ha ufficializzato ciò di cui i media parlano da tempo: Mosca dispone di informazioni sicure circa gli interessi economici del figlio di Erdogan nel petrobusiness. E “le azioni provocatorie della Turchia non fanno gli interessi né della Nato, né della Russia e nemmeno della Turchia”, ha detto Peskov, riferendosi all’allarme lanciato dall’Associazione degli imprenditori turchi, preoccupati per le conseguenze del raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Ankara, una delle cui prime conseguenze è stato il congelamento del progetto del Turkish stream, il gasdotto che avrebbe dovuto sostituire in North stream: ambedue mandati in soffitta – per ora – dagli interventi di Washington interessata a neutralizzare le esportazioni energetiche russe.
In effetti, a parere di vari esperti russi, chi veramente trae immediato profitto dalla “guerra fredda” russo-turca è ancora una volta Washington. Il direttore del Centro di ricerche orientali Vladimir Avatkov dice che abbattendo il Su-24 la Turchia ha oltrepassato la “linea rossa” e ha dimostrato chiaramente da che parte sia schierata, solidarizzando con l’Isis. Ankara, dice, Avatkov, ha apertamente accusato la Russia di aggredire la popolazione civile siriana, mentre lei stessa, in tutti questi ultimi anni, ha cercato di abbattere il regime di Assad, sostenendo che si tratti di una tirannia e volendolo sostituire con un regime leale ad Ankara; ed è pronta a farlo con ogni mezzo, anche ricorrendo all’Isis. La Turchia si è molto “dispiaciuta” per una serie di mosse politiche russe; soprattutto, per la riunione della Crimea alla Russia. Con questo atto di aggressione contro la Russia, i turchi hanno deciso di mostrarci – ha detto ancora Avatkov – quale sia il nostro posto e che la Turchia deve giocare un ruolo primario nella regione. Ma, soprattutto, tra i vari gruppi di interesse interni al regime turco, quelli più strettamente legati agli USA hanno pianificato l’affare del Su-24: i legami economici tra Mosca e Ankara stavano cominciando a preoccupare qualcuno, ha detto Avatkov.
E a lato (ma non troppo) dell’incidente col cacciabombardiere, è venuto anche nei giorni scorsi il blocco energetico della Crimea, organizzato dai gruppi nazionalisti e tataro-crimeani dell’Ucraina, ma pianificato ad Ankara, a detta di alcuni, per liberare il mercato crimeano per le merci turche. L’ideologo dei tatari-crimeani, Mustafa Džemilev, pare strettamente legato ai servizi segreti turchi ed è stato a suo tempo decorato con l’Ordine della Repubblica di Ankara, la seconda decorazione turca per livello di importanza. In seguito al blocco della penisola, l’importazione di merci turche sarebbe cresciuta di quattro volte.
Per contro, c’è chi si propone di “far pentire” armi in pugno la Turchia per le proprie azioni: è “il primo musulmano” di Russia, il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, il quale ha dichiarato che mille volontari sono pronti e attendono solo l’ordine di Putin. “Non dubito in alcun modo”, ha detto, “che la Turchia si pentirà a lungo di quanto ha fatto. Coloro che a ogni passo parlano di amicizia e collaborazione, poi non si comportano così insidiosamente. Ritengo mio dovere dichiarare che io personalmente, la Repubblica Cecena e tutto il popolo ceceno siam pronti a eseguire incarichi e ordini di qualunque difficoltà”.

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