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La democrazia yankee dei grandi uomini d’Ucraina

Ma che Arno? Ma che colline fiorentine? Ma quale autoritratto di Leonardo? Al massimo si può parlare del ponte sul Dnepr che, unendo le due ali di Kiev, fa da sfondo alla Gioconda; e in ogni caso l’enigmatica dama era di origini ucraine: i bisnonni venivano da Odessa e da Kiev. L’Ucraina pone così fine alle disquisizioni accademiche su chi abbia preso a modello Leonardo per il suo capolavoro cinquecentesco. Che Odessa sia stata fondata alla fine del 1700 e si sia sviluppata solo nella prima decade del 1800 sotto il governatorato del duca di Richelieu, non inficia la grandezza della nazione ucraina che, dopo la dichiarazione sulle origini di Buddha (a Zaporože, dove poi i cui cosacchi avrebbero creato nel XVI secolo anche la prima flotta sottomarina al mondo!), può vantare ora, secondo quanto riporta Pravda.ru con un’ironia maggiore di quella raffigurata sul volto della dama leonardesca, anche la paternità della Monnalisa.

Ma, sull’Ucraina odierna, c’è purtroppo poco da ironizzare. La “difesa della democrazia” nel paese, cui gli Stati Uniti, secondo le parole di Barack Obama, stanno attivamente lavorando, contribuendo così al “rafforzamento dell’ordine internazionale” a stelle e strisce, porta al suo distacco dall’influenza russa, nonostante che Mosca, dice Obama, sacrifichi la propria economia per mantenerla nella propria orbita. Una “difesa della democrazia” – ne sanno qualcosa le decine di migliaia di morti civili nel Donbass; i comunisti messi fuori legge, bastonati e uccisi; i milioni di semplici cittadini affamati dalle imposizioni del FMI; una corruzione che comincia a pesare agli stessi padrini USA e UE di Kiev – che, secondo le ultime esternazioni di Petro Porošenko, deve essere sostenuta dalla presenza internazionale nel Donbass e dall’inasprimento delle sanzioni contro la Russia.

Che Kiev chieda l’introduzione di truppe ONU nel Donbass testimonia del suo timore circa la fissazione da parte degli ispettori Osce, delle continue violazioni agli accordi di Minsk da parte delle truppe ucraine e del terrorismo attuato dai battaglioni neonazisti. Testimonia anche dell’esplicita ammissione di non esser riuscita a sconfiggere sul campo le milizie popolari, nonostante i continui martellamenti sui centri abitati e nonostante le diversioni terroristiche, anche dei mercenari stranieri. Kiev avrebbe voluto uscire vittoriosa dal conflitto armato contro una popolazione che sembra aver rinnovato il motto antinazista di settant’anni fa “La nostra causa è giusta. Saremo vincitori”: gli aggrediti sanno di combattere per la propria terra e la propria autonomia. Kiev non c’è riuscita e allora cerca di inscenare una “supervisione” internazionale. Non c’è riuscita anche a causa del rifiuto di migliaia di giovani ucraini alle continue mobilitazioni dell’esercito; non c’è riuscita per il carattere della guerra e per quello della composizione delle forze armate che, quando non trovano di che accanirsi sulla popolazione del Donbass e i suoi beni, si danno direttamente ai furti a spese del governo ucraino. E’ di ieri la notizia secondo cui lo Stato maggiore ucraino ha ordinato un’ispezione generale nell’esercito, a causa dei continui furti di materiale bellico, divenuto evidentemente l’unica fonte di reddito per moltissimi ucraini rimasti senza niente. E che Kiev non riesca con le sole proprie forze a venire a capo del conflitto lo testimonia anche il sempre più massiccio ricorso alle bande terroristiche reduci da Cecenia, Iraq, Afghanistan e Siria, a fianco di mercenari neonazisti provenienti da paesi baltici, Polonia, Georgia e paesi arabi.

Che le azioni ucraine nel Donbass non possano essere qualificate in altro modo che terroristiche lo ha dichiarato anche il politico francese Jak Klostermann (tralasciamo sulle sue simpatie lepeniste), secondo quanto riportato oggi dall’agenzia DAN. “Non è possibile colpire casualmente per così tante volte lo stesso obiettivo civile”, ha detto Klostermann in visita nel Donbass con una delegazione francese; “dunque, tali bombardamenti non possono che chiamarsi terrorismo. Questa non è opera di soldati, ma di banditi”, ha dichiarato.

Banditi che, secondo il vice comandante di corpo della DNR, Eduard Basurin, stanno procedendo a una vera e propria epurazione dei civili nella cosiddetta zona cuscinetto che dovrebbe separare le linee ucraine da quelle delle milizie. Le truppe di Kiev – in particolare reparti di sabotatori della 36° Brigata di fanteria di marina – hanno iniziato lo scorso dicembre a occupare una serie di centri e villaggi in questa zona, arrestando i civili che manifestano dissenso dalle posizioni ucraine.

Nessuna meraviglia dunque che tra gli epigoni dei grandi uomini ucraini – buddhisti, artisti, sommergibilisti, marò sabotatori – si trovino showmen che negli ultimi tempi inscenano, nei locali notturni di Kiev, parodie dell’assassinio del pilota russo del Su-24 abbattuto dai turchi lo scorso novembre, con tanto di prigioniero incappucciato (che, chissà perché, indossa la maglietta a strisce dei parà russi), inginocchiato, nell’atto di venir sgozzato. Come scrive Nina Novikova su Pravda.ru, ora non bastano più i party con tanto di torte fatte a forma di Casa dei sindacati di Odessa, in cui i neonazisti bruciarono vive quasi cinquanta persone: lo stesso Porošenko ha dichiarato a suo tempo che gli assalti dei neonazisti a majdan avevano dato “la carica e l’energia necessarie a risvegliare i cervelli spenti” e i roghi da loro accesi servivano “solo a scaldarsi”. Scaldarsi tanto, dice Novikova, da perdere ogni senso della realtà e dei valori umani.

Evidentemente, la “costruzione e la difesa della democrazia” yankee in Ucraina passa dai “grandi uomini” della Kiev majdanista.

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