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Ucraina, l’Italia è già in un’economia di guerra

Quella della guerra in Ucraina appare sempre più, a oltre tre mesi dall’inizio della sua fase acuta, contrassegnato dall’invasione russa, la migliore pensata avuta dai gruppi dirigenti dell’Occidente negli ultimi trent’anni.

Al di là delle apparenze, non ci sono infatti dubbi sul fatto che questa guerra non è stata impedita da Stati Uniti e Nato, che vi hanno dato inizio già da molto tempo coll’accerchiamento progressivo della Russia e il golpe di destra contro Yanukovich del febbraio 2014, che dette inizio alla guerra civile in Donbass e provocò la secessione della Crimea.

Biden sta quindi mietendo tutti i benefici possibili dalla situazione in corso e raccoglie i frutti che nascono dal terreno concimato col sangue degli ucraini, a cominciare dalla rivitalizzazione della Nato che veniva data cerebralmente morta, per continuare colla creazione di un fossato sempre più largo tra Russia ed Europa e per finire con i notevoli profitti conseguiti da vari settori dell’economia statunitense, dalle imprese energetiche a quelle produttrici di armamenti, a quelle agroalimentari.

Le cose gli vanno talmente bene che a volte sembra concedersi una ragionevole e auspicata frenata sulla fornitura di determinati armamenti all’Ucraina, lasciando alla dabbenaggine dei suoi scudieri europei, a cominciare dalla signora von der Leyen e da Mario Draghi, il compito di continuare ad inneggiare, come tifosi che abbiano abusato di bevande alcoliche in prossimità di una finale di Coppia dei Campioni, all’inevitabile vittoria dell’Ucraina. E, al di là delle chiacchiere, la tendenza all’escalation continua irrefrenabile.

Di Putin, beninteso, occorre pensare tutto il male possibile. Ma un giudizio negativo su di lui e sul suo regime non dovrebbe impedire di cogliere in modo razionale le motivazioni di fondo del conflitto per darvi l’unica soluzione possibile, che non equivale affatto a quella vittoria di Putin che, secondo Draghi, andrebbe evitata ad ogni costo.

Se infatti queste problematiche geopolitiche vanno ricondotte nella loro adeguata cornice spazio-temporale, emerge con nettezza la necessità di risanare il vulnus inferto dalle Potenze occidentali, avvalendosi come arieti di Stati e Staterelli dell’Europa occidentale di dubbie credenziali democratiche, a cominciare dalla stessa Ucraina, agli equilibri esistenti.

Equilibri che vanno restaurati per porre fine a questa guerra dissennata, ma anche a sanzioni che fanno molto male sia a chi le riceve che a chi le decreta, e su entrambi i fronti, così come per la guerra, sono soprattutto i settori popolari che stanno pagando un prezzo enorme sia alle ambizioni revansciste dell’Occidente che a quelle della Russia.

E che vanno restaurati concedendo autodeterminazione a Donbass e Crimea e decretando la neutralità permanente dell’Ucraina che ha diritto alla sua indipendenza sovrana (la quale, checché ne pensino gli sciocchi, non implica affatto necessariamente il diritto di far parte di un’alleanza militare, l’appartenenza alla quale si traduce invece, come ben sappiamo noi Italiani, in una forte limitazione della stessa sovranità).

Colpisce, in questo quadro, l’assenza di ogni iniziativa diplomatica degna di questo nome da parte dell’Italia, sempreché non si voglia gabellare per tale l’ingenuo e vago, e per di più screditato dall’assenza di neutralità del nostro Paese, piano che prende giustamente il nome dell’attuale ministro degli Esteri della Repubblica.

Del resto di che stupirsi? Oltreché di giustizia, come sottolineato opportunamente da Gratteri, pare proprio che il grande banchiere che presiede da qualche tempo ai nostri destini nazionali, sia alquanto digiuno di elementari cognizioni di politica internazionale, se è vero che non fa altro che ripetere pappagallescamente come un mantra il binomio europeismo e atlantismo.

Oltre che di quelle degli Stati Uniti, del resto, la guerra in corso, che molti vorrebbero prolungare a tempo indefinito, fa gli interessi anche di altre classi dominanti dell’Occidente, fortemente saldate del resto alle prime in un connubio che dura da oltre settantacinque anni e cui è stato dato appunto il nome di atlantismo. E non si tratta solo delle industrie produttrici di armamenti, a cominciare da Leonardo, ai cui vertici sono saldamente impiantati dirigenti espressione di tutto l’arco politico, da Fratelli d’Italia al Pd.

Ma più in generale il padronato che, come espresso chiaramente da Bonomi anche di recente, punta sui bassi salari (e quelli italiani sono i più bassi in Europa), lo sfruttamento, l’umiliazione e la moltiplicazione dei poveri per mantenere a tutti i costi i propri profitti.

E’ l’economia di guerra, basata su spese militari sempre più alte, spese sociali sempre più basse, allargamento del precariato ed espansione della miseria. Anche questi sono oggi tratti distintivi dell’Occidente in chiara decadenza, espressione dei suoi valori falsamente democratici in difesa dei quali si vuole continuare ad oltranza questa guerra insensata.

* dal blog su IlFattoQuotidiano

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