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Russia: “democrazia liberale” o affari liberali?

Da tempo si dice in Russia che la campagna elettorale per il rinnovo della Duma, il prossimo autunno, sia già iniziata. Ieri, il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov ha inserito, tra i soggetti impegnati nella competizione propagandistica, anche i media occidentali che, secondo il Cremlino, starebbero approntando un attacco informativo “apertamente pilotato”, diffondendo informazioni false o calunniose sul presidente e il suo entourage. “Abbiamo ricevuto una serie di richieste untuose, compilate in maniera interrogativa, da parte di un’organizzazione che si autodefinisce Consorzio internazionale per il giornalismo d’inchiesta”, ha detto Peskov, per pubblicazioni che dovrebbero vedere la luce in Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Svizzera e anche in Russia.

Le informazioni richieste riguardano personalmente Putin e la sua famiglia, amici, presunte società off-shore e “biznessmeny” che Putin “non ha mai visto in faccia”. Pensiamo, ha aggiunto Peskov, che “di quel Consorzio possano far parte non solo giornalisti, ma anche rappresentanti di servizi speciali”. Secondo la Tass, il portavoce presidenziale ha legato la faccenda al tentativo di “alterare la situazione e cercare di screditarne la leadership, in primo luogo il presidente”.

Peskov ha parlato anche di un’altra iniziativa, con il coinvolgimento di una “agenzia di informazione internazionale molto nota. Si tratta di un cosiddetto progetto di informazione circa la criminalità organizzata e la corruzione, con il solito ritornello delle commesse statali assicurate da Putin ai biznessmeny e il loro arricchimento grazie al presidente”. Peskov ha citato alcune delle domande inoltrate dal Consorzio a Putin: “E’ vero che i Suoi averi ammontano a oltre 40 miliardi di $? E’ vero che Lei possiede residenze immense e attività del valore di molti miliardi?”. Secondo la dichiarazione dei redditi per il 2014, Putin avrebbe guadagnato 7,65 milioni di rubli, sarebbe proprietario di due appartamenti, rispettivamente di 77 e 153 mq e tre auto “Volga” e “Niva”.

Già due mesi fa, Peskov aveva definito pure invenzioni e calunnie le accuse di corruzione e arricchimento personale rivolte contro Putin dal vice Ministro delle finanze statunitense, Adam Shubin, nel corso di un documentario della BBC andato in onda a gennaio. Peskov, evidenziando allora la coincidenza temporale con la pubblicazione della “quasi-inchiesta” inglese sull’avvelenamento dell’ex agente del FSB (a libro paga inglese e spagnolo) Aleksandr Litvinenko, aveva detto che se Washington “non porterà prove a sostegno di tali dichiarazioni ufficiali, ciò getterà un’ombra sulla reputazione del Ministero”. Ancor prima, a maggio, ricorda la Tass, media statunitensi e inglesi avevano sollevato la questione dei rapporti tra Putin e magnati del calibro del finanziere Gennadij Timčenko e del capo di Gazprom Aleksej Miller.

Ma il tema dei rapporti, se non direttamente di Putin, quantomeno di importanti membri del governo Medvedev, con la finanza internazionale, non è affrontato soltanto dal punto di vista scandalistico dei media anglosassoni. Pochi giorni fa, il leader del PC russo, Gennadij Zjuganov, denunciava l’incontro del Ministro per lo sviluppo economico, Aleksej Uljukaev, con l’ambasciatore USA John Tefft (quello delle rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina), nel corso del quale sarebbe stato discusso il tema della partecipazione di banche statunitensi alle privatizzazioni in Russia – di ciò che è rimasto da privatizzare: ad esempio i pacchetti di controllo di colossi quali Bašneft e il 20% circa di compagnie come Alrosy e Rosneft – delle sanzioni contro Mosca, della collaborazione economica e finanziaria tra USA e Russia e dell’emissione di eurobond russi. Uljukaev, mentre da buon liberale sostiene che le privatizzazioni sarebbero indispensabili a colmare il deficit di bilancio, ha poi dichiarato di condividere l’approccio USA che lega il ritiro delle sanzioni all’osservanza da parte russa degli accordi di Minsk. Commentando la notizia, il sito del PC russo scriveva che “non viene più nemmeno nascosta l’occupazione della Russia”, che “il liberale Uljukaev ignora nuovamente e in modo aperto la richiesta di Putin per cui i soggetti partecipanti alle privatizzazioni debbano ricadere sotto la giurisdizione russa” e che, soprattutto, concordare con la tesi USA secondo cui sarebbe Mosca a non rispettare gli accordi di Minsk sul Donbass, “equivale ad aperto alto tradimento”.

Molto probabilmente, sia le campagne giornalistiche occidentali (fondate o meno) sugli arricchimenti della leadership russa, sia la denuncia del PC, non passeranno inosservate tra quegli strati di popolazione che devono fare i conti con povertà e disoccupazione. Secondo le rilevazioni del Centro Levada, il problema attuale più acuto per il 77% dei russi è l’aumento dei prezzi; il 49% indica la povertà e l’impoverimento e il 43% è preoccupato per la crescita della disoccupazione. Il 38% degli intervistati si dice allarmato dal pessimo stato di industria e agricoltura, il 27% dalla svalutazione del rublo e il 26% dall’aspra differenziazione tra ricchi e poveri. Tra i problemi più acuti del paese, il 24% dei russi vede quello della corruzione, il 16% la difficoltà di accedere ai servizi sanitari: tra il 2014 e il 2015 è salita dal 66 al 74% la percentuale di chi ha dichiarato di non aver accesso alla sanità gratuita e dal 37 al 53% all’istruzione gratuita. Per la disperazione dei liberali di casa nostra che amano disquisire di Russia in tv, solo il 3% degli interpellati pone tra i problemi russi la “limitazione delle libertà democratiche”, contro il 9% che riceve il salario con notevoli ritardi, senza parlare delle differenze di reddito che, in alcuni casi, ammontano a centinaia di volte e della constatazione che, nel “paese delle libertà democratiche e delle riforme avviate negli anni ’90, l’individuo non è più difeso ed è senza diritti”.

E, tra le “libertà democratiche”, Sovetskaja Rossija, con riferimento al passaggio della Commissione elettorale centrale sotto la direzione dalla ex responsabile presidenziale per i diritti umani Ella Pamfilova, ipotizza un risultato preconfezionato delle elezioni autunnali alla Duma. Ella Panfilova, scrive l’organo ufficioso del PC russo, “fa comunque parte del pool presidenziale; il suo trasferimento lascia presagire che la Commissione rimanga sotto il controllo del Cremlino e non c’è dunque da aspettarsi risultati obiettivi indipendenti”.

Chissà se avranno discusso questi temi, quella dozzina di esponenti “democratici occidentali”, specialisti delle “rivoluzioni colorate” nello spazio postsovietico e ideologi di euromajdan che, secondo il sito Oko-planet, lo scorso 15 marzo si sarebbero incontrati a Mosca con il blogger liberal Aleksej Navalnyj. Tra gli altri, sarebbe stato presente l’ex premier svedese Carl Bildt, soprannominato “lo svedese sanguinario”: fautore convinto, scrive Oko-planet, dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia e sostenitore della junta ucraina. Insieme a lui, l’analista bulgaro Ivan Krastev, noto per le sue massime, tra cui “non conosco nessuna persona che voglia vivere in Russia”; la ricercatrice catalana Carmen Claudìn, ospite costante dell’opposizione liberale russa e il direttore generale della norvegese Statoil, Geir Westgaard.

Ma invece di tutto questo, con ogni probabilità, i canali tv, anche di casa nostra, preferiranno continuare a ospitare quei liberali difensori dei diritti umani “perseguitati” del “regime dello zar” e reduci dai forum lituani sui destini della Russia postputiniana, tacendo sui milioni di russi che, a partire dalle “riforme monetarie” eltsiniane, continuano a trovarsi privi delle garanzie sociali assicurate in epoca sovietica, prime fra tutte il diritto al lavoro e a un salario che, inferiore a quello dello strato dirigente, non se ne discostava però di centinaia (o migliaia) di volte come accade oggi.

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