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Cinismo o terrorismo economico? L’Fmi ricatta ancora la Grecia

Il Fondo Monetario Internazionale è stato per decenni accusato di essere un’istituzione al servizio del capitalismo globale, che speculava sui Paesi in crisi prestando soldi non solo a interessi da usurai, ma soprattutto imponendo delle politiche ferocemente liberali che impoverivano la popolazione e favorivano gli interessi delle grandi imprese e delle multinazionali. Questo è stato il loro ruolo in Africa, in Sud America nel lungo periodo del “Washington Consensus”, nella crisi asiatica degli anni ’90.

A “invitarlo” in Europa sono stati la Commissione Europea e la Banca Centrale, che lo hanno ingaggiato per la sua lunga esperienza di “prestiti in cambio di riforme” nella gestione della crisi economica dei Paesi del Mediterraneo, Grecia, Spagna e Portogallo. I paesi ‘maiali’, insomma.

Attualmente impegnati a riscuotere le promesse di riforme fatte dal governo Tsipras dopo il tristemente noto memorandum firmato nonostante la vittoria dei NO al referendum, due esponenti di alto rango dell’istituzione internazionale, Poul Thomsen, direttore europeo dell’FMI, e Delia Velculescu, capo missione in Grecia, vengono intercettati e la loro conversazione viene fatta trapelare da Wikileaks il 19 marzo scorso. I due si lamentano da una parte della lentezza e della scarsa possibilità di attuazione delle nuove leggi, dall’altra parte si preoccupano anche della volontà dei partner europei, Germania in primis, di accettare una riduzione del debito, che da tempo è la posizione fortemente voluta nei negoziati dal Fondo (e dagli USA) ma che vede Merkel e Schaeuble assolutamente contrari per ragioni politiche nei confronti del proprio elettorato oltre che per sancire un limite invalicabile nei confronti dei cosiddetti Pigs.

Riflettendo su come sbloccare la situazione, Thomsen si chiede: “Quale fattore condurrà a una decisione? In passato c’è stato un solo momento in cui è stata presa una decisione ed è coinciso con una situazione che vedeva la Grecia a corto di liquidi e ad un passo dal default. Non è vero?”, ha detto Thomsen. “Esatto!” risponde Velculescu nel corso della conversazione intercettata.

La riflessione non si conclude però a una lettura dei fatti passati, ma si spinge nella pianificazione delle azioni future: “E possibilmente è quello che accadrà di nuovo. In questo caso si trascinerà fino a luglio, e chiaramente gli Europei non ne discuteranno per un mese prima della Brexit per cui, a un certo punto, vorranno prendere una pausa e poi ricominciare dopo il referendum europeo”.

Conoscendo la storia e le politiche dell’Fmi c’è seriamente da preoccupassi che queste frasi in bilico fra analisi e progettazione sottendano un’intenzione del Fondo di favorire tale “evento”, che si configurerebbe come la riedizione del palpabile rischio di default per Atene dell’anno scorso, una vera e propria mossa di terrorismo economico per riportare in linea un governo, anche se non di molto, recalcitrante.

Un governo attualmente molto preoccupato delle intenzioni del Fondo che, attraverso la portavoce del premier Tsipras, Olga Gerovasili, “chiede al Fondo Monetario chiarimenti sulla vicenda e, in particolare, vuole sapere se la posizione ufficiale del Fmi coincide con la volontà di creare le condizioni di bancarotta in Grecia, poco prima del referendum britannico”.

Chi fino a oggi ha voluto credere alle buone intenzioni della Troika nel “salvare” la Grecia ha qualche ragione in più per farsi qualche domanda e per darsi una risposta. Sicuramente, tutti dovremmo riportare la nostra attenzione ai prossimi appuntamenti europei, a partire dal referendum britannico, senza mai perdere di vista quanto accade in Grecia.

Riccardo Rinaldi

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