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Elezioni USA: reazioni disparate in Russia e disperate in Ucraina

“Non ci devono essere né illusioni né euforia”: così la Tass sintetizzava ieri, appena confermata la vittoria di Donald Trump, le reazioni generali russe all'elezione del candidato repubblicano. Vladimir Putin, in un telegramma indirizzato a Trump all'annuncio del risultato, ha espresso la convinzione che "la costruzione di un dialogo costruttivo" tra Russia e Stati Uniti, basata sui principi di uguaglianza, mutuo rispetto e reciproca considerazione, corrisponda agli interessi dei popoli di entrambi i paesi e della comunità mondiale”. A dir poco, più “distaccata” la reazione del premier Dmitrij Medvedev che, aprendo la seduta del Consiglio dei ministri, non ha trovato altro da dire che “il mondo intero discute la vittoria di Donald Trump alle elezioni negli Stati Uniti, ma noi iniziamo la riunione con una questione ben più importante per il nostro paese: lo stato delle nostre biblioteche".

Il presidente della Duma, Vjačeslav Volodin, ha espresso l'augurio “che, con il nuovo presidente sia possibile un dialogo più costruttivo tra i nostri paesi”. Sullo stesso tono anche la speaker del Consiglio della Federazione, Valentina Matvienko, secondo la quale con la vittoria di Trump si può “esprimere per ora una piccola speranza in un cambiamento del corso estero USA e che una persona non appesantita dalle decisioni della precedente amministrazione, sia più realista e pragmatica”. Matvienko ha anche sottolineato come la vittoria di Trump testimoni che gli americani “non abbiano ascoltato la retorica russofobica della candidata democratica, signora Clinton”. Su questa scia, il vice Presidente della Duma per “Russia Unita”, Sergej Železnjak, ha espresso l'augurio che dal lessico americano scompaia la retorica antirussa su cui si era basata la campagna di Hillary Clinton; mentre il Presidente della Commissione esteri della Duma, Leonid Slutsky, non ha escluso che, dopo la proclamazione, Trump possa abbandonare le dichiarazioni pre-elettorali sulla necessità di relazioni costruttive con la Russia.

Da sperimentato Ministro degli esteri, Sergej Lavrov, dribblando la domanda se consideri positiva per la Russia l'elezione di Trump, aveva detto di “non avere preferenze” e che la  Russia, “come ha detto il Presidente, è pronta a collaborare con qualunque nuovo leader venga eletto dal popolo americano”. “Non posso dire” ha dichiarato Lavrov “che tutti i precedenti leader dei nostri partner siano stati prevedibili, in qualsiasi situazione. Abbiamo sentito molte parole; giudicheremo dai fatti; risponderemo coi fatti ai fatti”.

Al sodo della questione, il vice presidente della Duma per il PCFR, Ivan Melnikov, pur osservando che Trump è pronto al “dialogo costruttivo”, ha però invitato a non eccedere “nelle illusioni e nell'euforia. L'imperialismo americano e gli interessi rapaci delle multinazionali non cambiano”. E il presidente del PCFR, Gennadij Zjuganov: “Non ci sarà nessun serio cambiamento. Trump realizzerà la politica disegnata sulle bandiere del capitale americano da 200 anni a oggi”, con un risultato che riflette “una crisi sistemica che, purtroppo, ricorda le due crisi precedenti, concluse con guerre mondiali”. Unico vantaggio per la Russia, secondo Zjuganov, verrà dal fatto se Trump realizzerà quanto promesso: maggiore attenzione ai problemi interni e meno interferenza negli affari altrui; in ogni caso, “non dovremo mostrarci deboli”, ha detto il leader dei comunisti, accennando al progetto di bilancio governativo russo, che prevede una riduzione di 500 miliardi, con tagli a tutte le voci sociali.

Il discorso cambia per l'Ucraina. Ancor prima del risultato finale del voto, Zjuganov aveva notato “il panico sui social network della leadership di Kiev”. In effetti, a elezioni concluse, i golpisti più in vista si sono affrettati a eliminare le precedenti bravate su feisbuc, del tipo “La vergognosa dichiarazione del candidato Trump sul possibile riconoscimento della Crimea russa, è la diagnosi di un pericoloso marginale", scritta dal Ministro degli interni Arsen Avakov; e, sempre circa la Crimea russa, l'ex premier Arsenij Jatsenjuk: “il candidato alla presidenza sta sfidando i valori del mondo libero, l'ordine civile e il diritto internazionale. E' difficile definirla ignoranza. Questo è un crimine contro i principi etici e civili".

Andrej Petrov, su rueconomics.ru, scrivendo de “L'incubo di Porošenko: soldi finiti, niente amici in USA e l'occidente riconosce la Crimea russa”, nota come, nonostante le rassicurazioni dell'ambasciatore USA Mari Jovanovič sulla continuazione del sostegno a Kiev, si possa prevedere una significativa riduzione della presenza politica e militare americana nelle questioni UE. Il fatto è che, nota Petrov, l'Ucraina ha predisposto un enorme deficit di bilancio, contando sull'assistenza del FMI; ora, il programma di “aiuti” quinquennale prevede 17 miliardi $, ma Kiev non ha ancora soddisfatto i requisiti e non li ha nemmeno realmente discussi.

Il politologo ucraino Mikhail Pogrebinskij, parafrasando ironicamente Joe Biden, ha osservato come Trump lasci la patata bollente ucraina all'Europa e, concentrandosi sulla politica interna, non “si incontri con Petro Porošenko più spesso che con la propria moglie”, come aveva esclamato a suo tempo il vice presidente USA. In tal caso, secondo Pogrebinskij, la UE potrebbe seguire una linea più equidistante tra Mosca e Kiev e anche quest'ultima potrebbe sentirsi obbligata a cercare un compromesso, sia con Bruxelles che con Mosca.

Il direttore di RIA Novosti Ucraina, parlando a Pravda.ru, ha notato come nella cerchia presidenziale ucraina siano già apparse voci sulla necessità di collaborare con Trump, senza parlare del “transfuga” Mikhail Saakašvili che, dopo aver dato le dimissioni da governatore di Odessa un giorno prima delle presidenziali USA, ha ora proclamato al mondo la sua “amicizia di vecchia data” (per il vero, solo su feisbuc) con Donald Trump. Mettendo le mani (molto) avanti, lo stesso Porošenko, già nell'agosto scorso, aveva auspicato il proseguimento della collaborazione USA con l'Ucraina, “indipendentemente da chi sarà il vincitore”.

Il Presidente della Commissione informazioni del Consiglio della Federazione russo, Aleksej Puškov ha scrittosu twitter che Porošenko ha motivo di essere nervoso, dato che egli è "figlio politico" dell'amministrazione Obama e il nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe puntare su una figura diversa. Puškov ricorda come l'amministrazione Obama, a suo tempo, si allontanasse da Saakašvili, uomo di George Bush junior in Georgia e dunque non si può escludere che lo stesso accada ora con Porošenko. Anche il politologo Oleg Nemenskij scrive di “grande stress e panico a Kiev, dal momento che qui si era considerata solo la vittoria di Hillary Clinton, mentre  della variante Trump non se ne parlava nemmeno. Comunque, non è il caso di attendersi una resa di posizioni USA in Ucraina, mentre è probabile un cambiamento di atteggiamento della Casa Bianca verso Kiev".

Riassumendo la situazione con uno spessore da par suo, lo scrittore Zakhar Prilepin dice di attendersi da un momento all'altro le dichiarazioni dei leader “progressisti”, russi e ucraini, secondo cui in USA hanno vinto gli individui “con mentalità serva”. Prilepin associa il voto americano alla brexit britannica e alla morte di Motorola; in che senso? “Entrano in scena persone che, prima, nessuno considerava soggetti attivi. Per quanto riguarda il voto dei lavoratori britannici per l'uscita dalla UE, in Russia si gridò: come, la plebe si permette di affacciare la propria opinione!? E, sulla morte di Motorola, si espressero con l'idea banale, secondo cui "nella vita civile la vittima era una nullità". Un argomento spassoso, nota Prilepin, “anche Spartaco, Garibaldi, Che Guevara, Makhno o Čapaev nella vita civile non si notavano poi molto”. E ora è “la volta di Trump. Vladimir Pozner aveva già notato che per Trump avrebbero votato i poveri e i disoccupati: le “nullità”, i “marginali” hanno dichiarato di voler decidere le sorti del pianeta. Prima, hanno inviato il proprio ambasciatore Motorola (e migliaia come lui) in Donbass, infrangendo così i piani degli ambasciatori europei di “buona volontà” a Majdan. Poi, col voto dei lavoratori britannici, hanno dichiarato che l'integrazione europea è come minimo in discussione e come massimo potrebbe presto rimanere un vago ricordo. Con la vittoria di Trump – a qualunque risultato porti – le "nullità" e i "marginali" hanno sconfessato New York e chi ha votato per la Clinton, e i grandi signori, convinti del fatto che non ci siano alternative a loro, e, infine, tutta la servitù quasi-liberale asservita in tutto il mondo alla politica degli Stati Uniti. E' da poco passato il 7 novembre. Si sono spese migliaia di parole sul fatto che la causa di Lenin non è più attuale, e invece “il proletariato, come per il passato, non ha nulla da perdere! Che meraviglia queste elezioni!”.

In ogni caso, non ci si può certo attendere che le sorprese siano finite.

 

Fabrizio Poggi

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