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Corruzione in Russia e il “martire” Navalnyj

Uniamoci al grido di dolore che giunge alle nostre orecchie ormai da ieri sera, per le vittime innocenti dell'arbitrio poliziesco. Non stiamo parlando, ancora una volta, dei fermati a Tor Cervara, di cui “si sono accertati gli orientamenti ideologici”. No, dopo i martiri del “ultimo dittatore d'Europa”, cui sabato a Minsk (non) è stato impedito di inneggiare all'OUN-UPA, alla maniera dei loro confratelli neonazisti ucraini e per i quali Federica Mogherini, a nome della Santa Europa e Mark Toner, a nome del Dipartimento di stato USA, hanno preteso la redenzione, ora è la volta dei testimoni della fede russi, fermati ieri a Mosca. Preghiamo.

Uniamoci alla pretesa di Bruxelles e di Washington per la loro liberazione (ma, sono stati arrestati, semplicemente fermati?) e ribadiamo con fermezza che il poliziotto cui i “pacifici manifestanti” hanno spaccato la testa a Mosca e l'altro suo collega che, a Piter, secondo rusvesna.su, non ce l'ha fatta nemmeno ad arrivare in ospedale, se la sono proprio cercata.

Vittime innocenti – i dimostranti – dell'arbitrio di un'amministrazione comunale che li voleva relegare in un'altra parte della città, essi hanno tenuto alta la bandiera del dio (denaro), sventolata dal loro profeta (già condannato per truffe di svariati milioni) Aleksej Navalnyj e, emersi dalle catacombe delle stazioni della metropolitana, si sono radunati in piazza Puškin, pregando l'arrivo di qualche migliaio di euri. Era questa l'orazione che i martiri della fede – secondo alcune agenzie, tra cui la tutt'altro che staliniana kommersant.ru, parlano di almeno la metà, in età scolare o dei primi corsi universitari – rivolgevano agli altari sul Senne e sul Potomac: “vogliamo almeno diecimila euro in tasca”. I nuovi credenti apparterrebbero dunque a quel 10% di russi che, secondo il non governativo Levada Tsentr, si sono detti propensi a dare il voto al blogger più amato dagli occidentali, in occasione delle prossime elezioni presidenziali. Un bel risultato, non c'è che dire, dal 33% del 2011, al 19% del 2012, considerando anche che nel 2011 appena il 6% degli intervistati sapeva chi fosse tale Navalnyj, mentre nel 2017 è il 47% (esclusi ovviamente i suoi discepoli nei media occidentali).

E nonostante la sua fama di integro fustigatore della corruzione ai massimi livelli del potere (il leader del PCFR Gennadij Zjuganov ha scritto che il suo video sulle fortune del primo ministro Dmitrij Medvedev è stato confezionato da tre dipartimenti della CIA; nonostante ciò, il segretario comunista ha chiamato altre forze politiche a un'indagine parlamentare sulla presunta corruzione del primo ministro) mal si associ ai suoi trascorsi truffaldini, la situazione dell'oligarchia finanziaria non testimonia a favore della “armonia tra le classi”, se è vero, come stimato dall'ufficiale VTsIOM alla fine dello scorso anno, che l'86% dei russi avverte l'ostilità tra ricchi e poveri.

Ricchi al cui vertice, secondo Forbes, troneggiano una decine di miliardari, oltre ai milionari il cui numero si sarebbe accresciuto di un 10% nell'ultimo anno. Così, al 46° posto mondiale, ci sarebbe Leonid Mikhelson, con un patrimonio di 18,4 miliardi di dollari e all'89° Viktor Vekseltberg, il decimo russo più ricco, con “appena” 12 miliardi di dollari. Lo stesso Denis Voronenkov, l'ex deputato della Duma russa ucciso nei giorni scorsi a Kiev, avrebbe lasciato a Mosca un patrimonio immobiliare di oltre 5,4 milioni di euro. Nel complesso, un 3% (secondo altre valutazioni: 1%) di russi extra ricchi che non avvertono certamente la crisi di cui parla il Comitato statale per le statistiche e che, scrive Moskovskij Komsomolets, sembra aver irritato non poco il governo Medvedev.

Il Rosstat avrebbe rilevato l'abbassamento dei redditi (-4%) e la caduta industriale (2,7%) del paese a febbraio, nonostante che appena un mese prima avesse diagnosticato l'uscita dalla recessione e un'alta crescita industriale. La contraddittorietà dei dati, insieme ad alcuni momenti di indecisione sui risultati, scrive Moskovskij Komsomolets, rischiano di riportare il Rosstat alle dipendenze del Ministero per lo sviluppo economico, come lo era stato dal 2008 al 2012. Alcuni studiosi notano come fosse naturale la crescita registrata in gennaio, considerate le giornate lavorative in più rispetto a febbraio, ma ciò non significa che le cifre debbano sempre e comunque rispondere alle attese o alle ottimistiche dichiarazioni governative. In ogni caso, si nota che, secondo Die Welt, le riserve oro della Russia si sarebbero ulteriormente accresciute, arrivando a circa 1.650 tonnellate.

Come che sia, Aleksej Verkhojantsev si domanda retoricamente come mai, nel quadro di un'autentica guerra fredda come quella in atto, gli oligarchi russi nutrano le banche occidentali, in particolare britanniche, con decine di miliardi di dollari. Verkhojantsev riprende un servizio di The Guardian secondo cui, nell'ambito del programma internazionale antiriciclaggio, oltre 740 milioni $, appartenenti a circa 500 russi, siano andati dalla Russia verso 17 grandi banche del Regno Unito, tra cui HSBC, Royal Bank of Scotland, Lloyds, Barclays e Coutts, attraversando prima banche moldave e lettoni e, tra il 2010 e il 2014, sarebbero transitati dai 20 agli 80 miliardi di dollari. Secondo l'economista Valentin Katasonov, la destinazione finale di tali somme potrebbero essere conti offshore, ad esempio alle isole Vergini; ma, oltre a ciò, Katasonov ipotizza una possibile intesa tra vertici politici, russi e occidentali (tra quelli che presero parte attiva alle privatizzazioni degli anni '90) che, se veramente ne avessero avuta intenzione, avrebbero da tempo potuto interrompere tali giochi.

E' noto d'altronde che assommano a oltre 3,5 miliardi di sterline gli investimenti immobiliari russi in Gran Bretagna. Quale stupore, dunque, che, secondo il VTsIOM, la maggioranza dei russi non vedrebbe male una sorta di “dekulakizzazione” degli oligarchi, continuando a considerare frutto di rapina le ricchezze da essi accumulate con la privatizzazione delle industrie statali, a partire dalla fine dell'Urss. Avrebbe avuto forte risonanza tra le classi medie russe, ad esempio, la nazionalizzazione delle imprese dell'oligarca del Donbass Renat Akhmetov, decisa dalle autorità della Repubblica popolare di Donetsk.

Ma per ora, a Mosca, questi non sono che desideri. A dispetto della fede nel denaro dei discepoli di Aleksej Navalnyj.

 

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