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Trump, Gerusalemme e il Medio Oriente. Intervista ad Alberto Negri

In collegamento con noi c’è il giornalista Alberto Negri, che ci aiuterà un po’ a fare il quadro della situazione in un’area, come quella mediorientale, storicamente complicata in cui la situazione è in ulteriore evoluzione in questi ultimi giorni. Chiaramente a partire dalla decisione di Trump di spostare la sede diplomatica statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo, di fatto, Gerusalemme quale capitale dello stato di Israele. Una decisione, Negri, che ha causato sicuramente reazioni su più livelli. Da una parte quella della popolazione palestinese, dall’altra quella – diciamo così – della comunità internazionale. Per esempio in Europa diversi stati hanno espresso preoccupazione. Quali sviluppi può assumere una situazione di questo tipo?

Prima di tutto bisogna tener presente che l’evento più rilevante degli ultimi anni in MedioOriente, dopo la primavere arabe e la caduta di alcuni dei dittatori come Ben Ali, Gheddafi, o Mubarak in Egitto, è stata in realtà il mantenimento al potere di Bashar al-Assad in Siria. La guerra siriana è stata una guerra per procura, che ha visto il coinvolgimento di tutte le potenze internazionali e regionali. È l’evento fondante di questo nuovo ordine mediorientale in cui la Russia si è inserito occupando gli spazi vuoti lasciati dagli Stati Uniti. Lunedì abbiamo visto Putin – in meno di 24 ore – andare in Siria, annunciare il ritiro delle truppe incontrando Assad; poi ha incontrato il generale Al Sisi in Egitto il pomeriggio, annunciando non soltanto accordi economici ma anche strategici-militari; e poi terza tappa da Erdogan in Turchia, il quale ha cambiato quasi totalmente il posizionamento del suo paese, un paese della Nato, storicamente membro dell’Alleanza Atlantica, che si è buttato nelle braccia della Russia di Putin e dell’Iran degli ayatollah per salvare i propri confini e contrastare l’irredentismo curdo.

Questo è il quadro della situazione generale. In questo quadro generale è arrivato l’annuncio di Trump che, in qualche modo, ha spostato l’attenzione per alcuni giorni, da quello che era invece l’argomento principale in tutta la regione. Ossia l’ascesa della mezzaluna putiniana e l’espansione dell’influenza dell’Iran in Medio Oriente. Questi sono i due argomenti principali.

L’annuncio di Trump in qualche modo ha spostato l’attenzione, ma non ha cambiato nulla sul terreno, mentre la guerra di Siria ha cambiato molto. L’arrivo della Russia ha mutato le sorti del conflitto e l’Iran ha effettivamente rafforzato la propria posizione, l’annuncio di Trump non ha cambiato nulla. Gerusalemme è occupata dal ’67 dagli israeliani e la situazione sul terreno non cambierà, come sanno tutti. Non cambierà il posizionamento di Tel Aviv, dell’ambasciata americana, per almeno tre-quattro anni. Se ne occuperà il prossimo presidente. Tanto è vero che Trump ha firmato il solito rinvio di sei mesi che hanno firmato dal ’95 tutti i presidenti americani sullo spostamento dell’ambasciata. Quindi non è cambiato nulla. A che cosa serve questo annuncio? Questo annuncio qui ha praticamente scatenato, intorno alle mura di Gerusalemme, il campionato mondiale dell’ipocrisia, perché nulla è cambiato. Trump, in qualche modo, ha cercato di rafforzare la sua immagine internazionale, Netanyahu ha avuto una splendida occasione per venire in Europa e sfogarsi contro gli europei che a loro volta si sono scoperti paladini dei palestinesi dopo averli abbandonati per anni e l’Iran, naturalmente, ha colto al volo l’opportunità per mostrare la bandiera. E lo stesso Erdogan, leader turco, ha fatto la stessa cosa. Naturalmente la situazione non cambia.

Poi, se ci sarà un piano di pace dove sarebbero magari coinvolti anche in maniera sotterranea – per ora – i sauditi, con un’intesa tra Israele e Arabia Saudita, lo vedremo. Io ci credo poco e comunque dovremo aspettare mesi, forse anche di più, per capire se c’è veramente uno sviluppo diplomatico su questo. Diciamo che questo annuncio somiglia un po’ a quella famosa frase del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. In realtà i gattopardi del Medio Oriente e dell’Occidente hanno sempre gli artigli affilati, e adesso sono sotto le cure della Russia di Putin.

Quindi è stata una mossa per distrarre l’attenzione del mondo rispetto al fatto che sullo scacchiere internazionale la Russia scala posizioni rispetto agli Stati Uniti. Può essere questa una lettura?

Mah, credo che non ci siano molti dubbi. Rendiamoci conto che Putin ha firmato questi accordi con l’Egitto che sono abbastanza sorprendenti, perché sapete tutti che l’Egitto ottiene 3-4 miliardi di dollari l’anno di aiuti militari dagli Stati Uniti, da sempre. I Russi hanno firmato un accordo addirittura per usare le basi dell’aviazione egiziana, quindi i loro jet potranno volare dal Golfo alla Libia. Tutti riportano che Sidi Barrani, che è la località vicino a Sollum, al confine libico, siano schierate truppe speciali della Russia. Quindi è evidente che hanno portato dalla loro parte anche l’Egitto, come hanno portato dalla loro parte Erdogan, come hanno ottenuto buoni rapporti con l’Arabia Saudita. Basti ricordare la visita di non tanto tempo fa di Re Salman a Mosca. La prima, un viaggio storico, e per di più Putin ha buoni rapporti anche con Israele, dove tutti sanno che un milione di ebrei sono di origine russa. E quindi in qualche modo si propone come un inter-tutor della regione. Tenendo presente poi che – sul campo – il cuore del Medio Oriente, cioè l’Iraq e la Siria, sono dei condomini militari. In Iraq sono presenti truppe americane, milizie sciite filo iraniane, oltre all’esercito iracheno, le truppe curde, che hanno subito una batosta a Kirkuk, però… Una sorta di condominio militare. Pensate che l’Iraq non ha neppure una propria aviazione. E la Siria è un altro condominio militare, perché le basi russe resteranno. Il ritiro annunciato da Putin riguarda il grosso delle truppe, ma le basi di Latakia ecc, resteranno. Ci sono truppe americane, truppe turche nel nord, milizie sciite, milizie jihadiste oltre, ovviamente, all’esercito di Bashar Assad. Ecco che quindi, in una situazione dove si trovano i due principali stati della regione, il cuore del Medio Oriente, della Mesopotamia, sono praticamente dei condomini militari, dove tutti stanno cercando di riposizionarsi, di prendere posizioni a loro vantaggio.

Trump, con questa dichiarazione, ha voluto far capire: guardate, che gli Stati Uniti, se vogliono, decidono la sorte di quello che accade in Medio Oriente. In realtà la sorte di quello che accade in Medio Oriente si è formata sanguinosamente con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi, a partire praticamente dal 2003, cioè con l‘invasione americana dell’Iraq. Praticamente gli stati arabi più importanti, come entità sovrane e indipendenti, non esistono più. L’Iraq e la Siria sono, appunto, dei condomini militari. Bisognerà vedere nel futuro come saranno spartite le fette di torta.

Lei diceva: Trump vuol dimostrare di poter avere potere decisionale su quello che succede nella regione, in realtà le cose non stanno esattamente così. Però questa sua scelta potrebbe invece complicare i rapporti con l’Unione Europea – abbiamo visto persino l’Italia, Macron, storcere il naso di fronte a questa decisione – e, dall’altra parte, per altre ragioni, i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita?

Mi verrebbe di dire, con un’espressione anche un po’ volgare, che Trump se ne frega dell’Europa. Mi è sembrato evidente. Ancora un po’, voleva liquidare la Nato, è stato trattenuto dai suoi generali, Mattis e McMaster. Vorrebbe solo che gli europei pagassero una quota maggiore della difesa dell’alleanza atlantica; degli europei mi sembra che abbia un fiero disprezzo. E’ tutto contento che sia uscita la Gran Bretagna dall’Unione Europea, anche se alla stessa Gran Bretagna questa mossa sta costando un sacco di quattrini. L’impressione mia è che a Trump importi ben poco del multilateralismo e consideri l’Unione europea come un’altra sorta di condominio burocratico e di litigiosi stati nazionali.

In realtà emerge soltanto Macron, perché la Germania, ottanta milioni di abitanti, il cuore dell’Europa, la più potente, l’economia dell’Unione europea, quando si parla di politica estera e di diplomazia conta come il due di coppe a briscola quando la briscola è fiori. Perché avete visto se abbiano detto una parola o se abbiano deciso qualcosa in questi anni su quello che è accaduto nel Mediterraneo. L’unica mossa che ricordiamo è quella della Merkel, che prima accolse i siriani e poi chiuse i confini della rotta balcanica. Ma, per il resto, si sono chiusi a riccio in una sorta di isolamento rispetto al problema del quadrante mediterraneo, guardando sempre verso est, verso i paesi dell’est, verso la Russia. Macron quindi rimane l’unico interlocutore che ha detto quello che doveva dire a Netanyahu, che poi è quello che è contenuto negli accordi internazionali e nelle risoluzioni delle Nazioni Unite, nessuna novità. Ma nessuna novità neppure in concreto, perché poi anche gli stati europei giocano la loro partita individuale, difendendo i propri interessi. Questo mi pare che sia l’atteggiamento dell’Unione Europea in generale. In realtà una protagonista a metà, che spesso eroga aiuti a destra e sinistra, ma poi incide politicamente poco, anche perché è inutile prendersela con Putin, come dicono tutti in questi giorni… Ma signori, se noi in Unione Europea non abbiamo ancora una politica estera di difesa comune, certamente la colpa non è di Mosca e neppure degli Stati Uniti.

Chiaro. Un’ultima cosa. Abbiamo parlato finora delle reazioni internazionali. Citavo invece le reazioni locali. La popolazione palestinese è stata, di fatto, chiamata ad una nuova intifada, che sembra essere alle porte. Questo che cosa può comportare in senso più ampio nel mondo islamico?

Credo che questa mossa di Trump in realtà possa metterli anche un po’ in difficoltà. A parte, ovviamente, che i palestinesi lo sono da sempre… e la cosa che mi dispiace, alla fine, è che muoia della gente per dimostrare nelle piazze e magari ci sia qualche attentato terroristico in Israele. Queste sono le cose che mi lasciano sempre con l’amaro in bocca, perché so benissimo che sono… non dico morti inutili, ma sono altre ferite inferte ad una regione che dovrebbe rimarginarne, non riaprirne. Questo è il mio pensiero. Però la decisione di Trump mette in difficoltà alcuni degli alleati americani, Quel povero re di Giordania, assai vulnerabile. Lui ha perso la guerra in Siria, perché c’è sempre stata ostilità tra Amman ed Damasco. Voi non potete ricordare, siete giovani, ma qualcuno magari lo sa perfettamente … Il famoso settembre nero di Arafat, che cercò di sbalzare dal potere la dinastia hashemita e re Hussein, fu fortemente appoggiato dai servizi segreti siriani di Afez Assad, il padre di Bashar. C’è rimasta sempre un’ostilità tra i due paesi e questo annuncio di Trump mette in difficoltà gli hashemiti, che hanno la supervisione di una parte della “spianata delle moschee”, tanto è vero che il parlamento giordano ha subito votato una legge per rivedere il trattato di pace con Israele. Ma mette in difficoltà anche gli stessi sauditi che annaspano, impantanati nella guerra dello Yemen e sono i custodi dei luoghi santi della Mecca e di Medina e, soprattutto, una monarchia assoluta che tenta di fare delle finte riforme dando la patente alle donne. Ma la vera riforma della monarchia assoluta, in mano a cinquemila principi del sangue, è che diventi uno stato un po’ più democratico, dove magari si va a votare. Contrariamente a quanto avviene in Iran, nel regime degli Ayatollah, pur in un quadro certamente fortemente controllato dall’alto. Questi sono i problemi. Anche i sauditi hanno una legittimazione religiosa, che è quella del wahabismo, di essere i custodi di Mecca e Medina. Gerusalemme è la terza città santa, è quella dove Maometto è asceso al cielo. Anche loro non possono mica tanto deragliare, cedendo sulla questione di Gerusalemme capitale unica di Israele. Questi sono i problemi veri, secondo me.

Riaprire i cinema non è abbastanza, insomma…

Ma dai… Qui c’è una retorica, in questo, che mi sembra quasi ridicola. Siamo d’accordo tutti che le donne devono avere patente, però intanto resta la legge che nessuna donna si può muovere senza il permesso del marito, del padre o del fratello. Non può viaggiare senza un permesso che viene dato da queste tre figure maschili dentro la famiglia saudita. E’ il concerto di una cantante quello che cambia la condizione? Sì, magari sono segnali. Ma per me il vero segnale – scusatemi se insisto – è quello di fare delle riforme in senso democratico. Quando vedrò i sauditi andare alle urne, magari decidere che ci sarà una monarchia costituzionale, ecco, forse, qui saremo davanti a delle vere riforme.

Eppure ci vengono sempre raccontate con entusiasmo queste mini-riforme che – sono d’accordo perfettamente con lei – contano ben poco.

Glielo dico io perché vengono raccontate con grande entusiasmo… Ci sono degli interessi economici e militari fortissimi. L’Arabia Saudita, il Qatar, questi paesi, queste monarchie piccole ma dotate di grandi capacità economiche e finanziarie, sono i nostri maggiori clienti di armi. I maggiori esportatori di armi nei paesi del Golfo sono gli Stati Uniti e, al secondo posto, viene la Francia, che si fa sempre campione dei diritti umani ma quando c’è da esportare 20 miliardi di dollari l’anno di armi certamente non si tira indietro, perché quelli sono punti di Pil e occupazione. E questo lo fa Macron come l’ha fatto Sarkozy, come l’ha fatto poi Hollande e via discorrendo. Da questo punto di vista tutto cambia per non cambiare. Aveva ragione Tomasi di Lampedusa.

Siamo sempre lì. Negri, la ringrazio molto per il suo tempo, per il suo intervento.

Ma niente, si figuri, e buona giornata a tutti i vostri ascoltatori.

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