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Giornalista ucciso nel consolato saudita ad Ankara. Raccapriccio e conseguenze economiche su Riad

Il governo turco ha riferito a funzionari statunitensi di essere in possesso di registrazioni audio e video che provano che il giornalista Jamal Khashoggi è stato ucciso all’interno del Consolato saudita a Istanbul. Lo scrive il Washington Post citando funzionari Usa e turchi.
In particolare, un audio confermerebbe i particolari più raccapriccianti emersi in questi giorni: “Si può sentire la sua voce, si può sentire come è stato interrogato, torturato e ucciso”, dice una delle fonti al Washington Post. La pagina web L’Antiplomatico riferisce di un lancio dell’agenzia statunitense Bloomberg secondo sui i servizi segreti Usa erano al corrente di quanto sarebbe successo nel consolato saudita ad Ankara,

Kashoggi era andato via dall’Arabia Saudita per recarsi negli Stati Uniti dal 2017. Il giornalista aveva espresso diverse critiche sull’intervento militare di Riad nello Yemen. Dieci giorni il giornalista si era recato al consolato saudita ad Ankara insieme alla propria compagna che ha aspettato invano al suo esterno. Kashoggi non ne è più uscito.

Il materiale che gli investigatori turchi affermano di avere in mano e che documenta il brutale omicidio di Kashoggi nei locali del consolato saudita, non sarebbe stato pubblicato ufficialmente perché la Turchia “teme possa rivelare come Ankara spii le entità straniere nel Paese”. Non è chiaro, sottolinea il Washington Post, se i funzionari Usa abbiano visto i video o ascoltato gli audio, oppure se i colleghi turchi abbiano descritto loro il contenuto. Secondo questi resoconti, “dopo aver ucciso” il giornalista il team di agenti sauditi si è spostato nella vicina residenza del console, dove il personale era stato fatto andare via in anticipo.

Ma l’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi sta provocando conseguenze anche sul piano internazionale, soprattutto per le relazioni economiche dell’Arabia Saudita. Grandi società come Virgin, Uber, Viacom e l’Huffington Post hanno annunciato che non parteciperanno alla “Davos nel deserto”, il forum economico, in programma a Riad dal 23 al 25 ottobre. L’evento è patrocinato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e si terrà al Ritz-Carlton. Ieri, il New York Times aveva annunciato di aver tolto il proprio patrocinio al meeting.

L’hotel Ritz Carlton che ospita il forum economico, è quello dove nel novembre del 2017 vennero portati in arresto undici principi e 38 tra ex ministri, ex vice ministri e uomini d’affari dellArabia Saudita nell’ambito dell’operazione anticorruzione voluta dal re Mohammed Salman.

Ma per capire quale sia il modello di comportamento delle autorità saudite, occorre ricordare che sempre a Novembre 2017, le autorità di Riad avevano “sequestrato” il presidente libanese Hariri, loro uomo di fiducia in Libano, reo di aver aperto un canale di comunicazione con l’Iran. Al suo arrivo a Riad Hariri abbe una sgradita sorpresa: viene «spogliato dei suoi cellulari, separato dal suo solito stuolo di guardie del corpo tranne una, e spinto e insultato dagli agenti della sicurezza saudita».
Secondo una ricostruzione piuttosto dettagliata del New York Times, Hariri venne portato nella sua casa di Ryad dove gli viene “detto di aspettare – non più il re, ma il principe [Mohamed bin Salman ndr.]. Dalle sei del pomeriggio ha dovuto aspettare fino al mattino dopo quando venne chiamato per un incontro con il principe, ma invece di incontrare il principe […] viene malmenato da funzionari sauditi”. Quindi l’ultima umiliazione: «gli viene consegnato un discorso di dimissioni prefabbricato che è costretto a leggere alla televisione saudita», come «se fosse un impiegato e non il capo di uno Stato sovrano. Prima di andare in TV, non gli è nemmeno concesso di andare a casa; deve chiedere alle guardie di portargli un vestito». Il discorso viene letto alle «14:30 da una stanza che si trovava, come ha riferito un funzionario, in fondo al corridoio dall’ufficio del principe».

 

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