Alcuni missili in dotazione alle forze armate francesi sono stati scoperti in una base delle milizie del gen. Haftar in Libia. Lo scrive oggi il sito di Radio France e il governo francese ha confermato la notizia questa mattina.
A giugno in un deposito di armi della milizia di Haftar, erano stati trovati 4 missili anti-tank “Javelin” di fabbricazione statunitense.
I missili, prima accollati agli Emirati Arabi Uniti, in realtà erano stati venduti alla Francia dagli Stati Uniti. “Un possibile trasferimento di armi sarebbe una violazione dell’accordo di vendita con gli Stati Uniti e l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite”, riferisce il New York Times che ha rivelato la scomodissima vicenda.
“Questi missili appartengono effettivamente alle forze armate francesi, che li hanno acquistati negli Stati Uniti. Lo abbiamo confermato ai nostri partner americani”, ha affermato oggi il ministero della Difesa francese, specificando che queste armi erano destinate a “l’auto-protezione di un distaccamento francese schierato in Libia per scopi di intelligence anti-terrorismo”.
Insomma in Libia ci sono distaccamenti militari francesi e gli armamenti in loro dotazione sono finiti nella mani dei miliziani del gen.Haftar. Una bella rogna per il governo di Macròn.
Le prime notizie circolate a giugno avevano fatto circolare la versione che gli ordigni facessero parte di una fornitura che gli Usa avevano venduto agli Emirati Arabi Uniti e che poi erano finiti ai miliziani di Haftar. Ma era una fase in cui tra i due (Eau ed Haftar, ndr) c’era ancora una alleanza che in questi giorni appare però rimessa in discussione .
I “Javelin” sono missili anti-tank molto sofisticati, prodotti insieme da Raytheon e Lockheed-Martin: costano 170 mila dollari ad esemplare. Il Javelin viene guidato sul bersaglio dai suoi sensori e dai sistemi di ricerca delle fonti di calore. I missili sono stati trovati nei loro contenitori, e sui contenitori sono scritti in evidenza il numero del lotto di produzione, il destinatario finale , i nomi dei fabbricanti statunitensi.
Lo scorso 1 luglio, il premier del governo fantoccio di Tripoli, al Serraj, è venuto in Italia dove però ha incontrato solo Salvini. E il premier libico avrebbe chiesto all’Italia forniture di armi per consentire la controffensiva contro Haftar. “Come ha fatto la Turchia, che non ha subito nessuna punizione dall’Onu per la violazione dell’embargo” ha osservato un funzionario della delegazione libica.
A maggio era stato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres a chiedere direttamente alla comunità internazionale di controllare le navi che raggiungono i porti libici. Un richiamo che aveva colpito un nervo scoperto proprio dell’Unione Europea a seguito della “singolare iniziativa” presa dall’Ue a fine marzo di prolungare la missione navale europea Eunavfor Med (Operazione “Sophia”) privandola però delle navi. Tra i compiti della missione “Sophia” c’era anche il controllo delle navi dirette in Libia e sospettate di trasportare armi in violazione dell’embargo posto nel 2011 dall’ONU su questo genere di carico e mai revocato.
Come noto l’Italia aveva chiesto ai partner europei di sbarcare nei propri porti i migranti eventualmente soccorsi dalle navi dell’Operazione Sophia (che dal 2015 aveva sbarcato in Italia quasi 50mila clandestini) ma per non correre il rischio di sobbarcarsi l’onere dell’accoglienza tutti gli Stati che hanno aderito all’operazione Ue hanno ritirato le navi lasciando operativi solo aerei ed elicotteri.
Ma il richiamo del segretario generale dell’Onu e la risoluzione sulla Libia approvata nel recente Consiglio di Sicurezza, sono lì a dirci che l’attività di vigilanza europea sull’embargo delle armi alla Libia quantomeno “non ha funzionato” come avrebbe dovuto.
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