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150.000 precari a rischio nella pubblica amministrazione

Ammettiamolo: è dura fare il sindacato di lotta e di governo. Quasi come in politica (basta guardare le sofferenze gemelle di berluscones e piddini, stravolti da mattina a sera in giravolte che ovunque li avrebbero consegnati alla neuro).

Prendiamo il caso della pubblica amministrazione. La Cgil “lancia l’allarme”: 150.000 precari, a dicembre, vedranno scadere il loro contratto annuale, ma non ci sarà rinnovo possibile perché è già il terzo anno. Per legge, nel privato, dovrebbero essere assunti in pianta stabile. Nel pubblico invece devono essere licenziati perché le assunzioni “vere”si fanno solo per concorso. Ossia non si fannno più.

Nella pubblica amministrazione il precariato non dovrebbe proprio esistere, per il buon motivo che il lavoratore tratta “dati sensibili” e quindi va sottoposto – per antica legge da oltre un decennio infranta proprio dallo Stato – a un “giuramento” e altri vincoli di riservatezza, ecc. Ovvio, parlaimo dello Stato italiano, quello diretto da signori che in altri paesi non saprebbero ben definire perché anche il vocabolario ha un limite. Ma insomma, uno statale dovrebbe essere fedele alla sua funzione, rispondere delle infrazioni ai regolamenti, evitare “l’interesse privato in atti di ufficio”, non vendere informazioni attinenti al suo ufficio, ecc.

Un precario – questo il ragionamento che in linea generale aveva prodotto la scelta di non ammettere “lavoratori a tempo determinato” nella PA – che sa di non poter essere riconfermato è “oggettivamente” meno attento di uno “stabile” che sa di rischiarsi il posto più sicuro che ci sia. O che c’era.

Detto questo, l’opposizione di Cgil, Cisl e Uil all’introduzione della precarietà nella PA (fatta dal governo Prodi e ovviamente confermata da quelli Berlusconi) è stata praticamente nulla. Non una mobilitazione, non un volantino, figuriamoci uno sciopero. Insomma, lo stesso comportamento tenuto nei confronti del blocco dei contratti e degli adeguamenti salariali. Complicità assoluta, zero contrasto, tanto fumo venduto ai lavoratori.

Ora si accorge del dramma e ne parla. Ma non farà nulla. Vediamo però almeno le cifre esatte e le ragioni.

Dalla fine dell’anno, si diceva,dovrebbero rimaner fuori circa 150.000 persone. Gente che si occupa di servizi essenziali, che resteranno dunque scoperti provocando un doppio danno: altrettanti disoccupati in più e una quantità imprecisabile di cittadini privati di qualcosa di necessario. L’apparente paradosso è solare: i lavoratori sono precari, ma i servizi che lo Stato deve garantire sono “stabili”. Un’anagrafe, un ministero, un ente, un Comune, continua a operare sempre, e deve garantire sempre un certo tipo di servizio. Ma se improvvisamente 150.000 lavoratori ormai “esperti” vengono buttati fuori quei servizi vanno a loro volta a rischio. Anche l’eventuale sostituzione con altrettanti nuovi precari, infatti, provocherebbe immaginabili problemi di funzionalità fin quando i nuovi assunti non avranno cumulato l’esperienza minima necessaria (e non ci venite a dire che “impareranno subito”, altrimenti perché avreste imposto tre anni di durata ai contratti di “apprendistato”?).

Secondo l’ineffabile Cgil il governo dovrebbe intervenire “con la stessa solerzia” con cui ha prorogato il blocco dei contratti e degli scatti di stipendio”. Cosa fatta capo ha, sembra dire la Cgil. Noi facciamo ingoiare ai lavoratori l’ennesimo congelamento salriale (e dopo sei anni fate voi i conti di quanto si sia perso grazie all’inflazione: secondo i calcoli della stessa Cgil sono 4.100 euro in meno, probabilmente la cifra è anche superiore), ma voi – governo che “noi” sosteniamo tramite il Pd – inventatevi qualcosa per confermare questi precari al loro posto. Da precari, naturalmente; non sarà certo la CGil a pretendere la loro stabilizzazione!

Nel dettaglio. I contratti a tempo determinato a partire dal 2011 sono 86.467. Nella stessa situazione si trovano anche i co.co.co (42.409), i lavoratori interinali (9.346) e i “socialmente utili” (17.998)

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