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Rallentano export e consumi, economia al palo

L'economia martella di dati negativi un governo di falsari, che ormai punta tutto sul referendum per legittimare il restare in sella. I dati Istat resi noti stamattina, messi a confornto, spiegano perché l'economia non va e il consenso cala.

Da un lato abbiamo i dati sul commercio estero, relativi all'agosto scorso. A prima vista positivi, con una espansione sia delle esportazioni (+0,9%) che delle importazioni (+2,5%). Il problema sorge dal fatto che le seconde crescono quasi del triplo rispetto alle prime, esponendo il bilancio complessivo a forti rischi. Vero è che si tratta di un mese molto particolare (molte industrie chiudono, per una settimana o due, mentre il flusso di merci verso il nostro paese non si ferma), ma per un modello economico ormai orientato dalle politiche dell'offerta (bassi prezzi di produzione, compressione salariale, ecc) è vitale che l'export sia molto superiore all'import. Tanto più se, come in questo caso, c'è un forte calo dell'export verso i paesi extra-Ue nel comparto dei beni di consumo durevoli (-5,2%), fin qui una delle colonne del manifatturiero italiano.

Il surplus commerciale (+2.127 milioni) resta comunque superiore a quello dello stesso mese del 2015 (+1.383 milioni).

Come si diceva, però, crescono soprattutto le importazioni, anche se il prezzo del petrolio continua a restare ai minimi e quindi ne beneficia anche la bilancia commerciale.

Le importazioni di energia infatti subiscono un altro crollo (-12,5%), che però supera gli effetti della dinamica dei prezzi degli idrocarburi e segnala anche una riduzione dei consumi (sia nelle imprese che nelle famiglie); il che non è affatto una buona nmotizia perché significa che le prime stanno producendo meno e le seconde stanno stringendo la cinghia.

Il dato export diventa inquietante, però vedendo quali sono i settori che segnano l'aumento più rilevante: beni di consumo non durevoli (+10,3%) e i beni strumentali (+8,2%), ossia altri due pilastri del made in Italy storico.

Sul tendenziale, ovvero su base annuale, le dinaiche sono ancora più chiare. Rispetto all'agosto 2015, infatti, le esportazioni sono in ampia crescita (+11,0%), trainate dai beni strumentali (+17,1%), dai beni di consumo non durevoli (+12,7%) e dai beni intermedi (+11,9%). Mentre crollano le esportazioni di energia (-20,2%; va ricordato che l'Italia importa idrocarburi grezzi ed esporta prodotti raffinati) e, in misura meno intensa, quelle di beni di consumo durevoli (-5,1%).

Stesse consiiderazioni anche per quanto riguarda le importazioni, in espansione quasi ovunquue (+5,2%), meno che nell'energia (-16,6%).

Se però si prendono in esame i primi otto mesi del 2016, si nota un drastico rallentamento: entrambi i flussi commerciali presentano un calo tendenziale, più sostenuto per le importazioni (-7,7%) che per le esportazioni (-3,3%). Anche a vole prescindere dall'anomalo andamento del settore energetico, la flessione di entrambi i flussi è minore ma pur sempre di segno negativo: (-0,5% per le importazioni, -1,4% per le esportazioni).

Un riflesso preciso lo si ha nella struttura dei consumi, condizionata dalla fortissima compressione salariale (retribuzioni congelate per i lavoratori stabilizzati da tempo, in continua discesa per i precari ed i neo-assunti).

A luglio 2016 le vendite al dettaglio (mercati, negozi, supermercati) hanno infatti registrato una diminuzione congiunturale dello 0,3% sia in valore sia in volume. La flessione è imputabile ai prodotti non alimentari, le cui vendite calano dello 0,5% in valore e dello 0,4% in volume, mentre quelle di beni alimentari crescono, rispettivamente, dello 0,3% in valore e dello 0,1% in volume. Tradotto: si spende qualcosina di più per mangiare, ma si tagliano decisamente le spese considerate non vitali (libri, giornali e riviste, elettrodomestici, radio, tv e registratori , ecc).

Una tendenza anche qui confermata in pieno dai dati tendenziali: rispetto a luglio 2015, le vendite diminuiscono complessivamente dello -0,2% in valore e dello 0,8% in volume. La flessione più marcata riguarda i prodotti non alimentari: -0,6% in valore e -1,1% in volume.

Prosegue del resto imperterrita la distruzione del piccolo commercio, mentre fatica anche la grande distribuzione, pur se accresce la propria quota di mercato (+1,1%) rispetto a quella delle imprese operanti su piccole superfici (-1,2%).

Se i salari calano, i consumi non possono che diminuire. E se rallenta pure l'export, il gioco si chiude.

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