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La Francia di Rossanda divide “il manifesto”

 

Non è frequente che un editoriale apra criticando alcuni redattori del giornale su cui appare. Ma nel caso di Rossana Rossanda non si può nemmeno dire che sia impossibile, vista la sua acuta e mai doma verve polemica.

Il caso è stato creato dal modo in cui due redattori “romani” – una firma storica e prestigiosa come quella di Marco d’Eramo e l’assai meno nota Daniela Preziosi – hanno dato “interpretazione politica” al primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Un’interpretazione molto “italianizzante” e molto “di palazzo”, che non si curava molto di ciò che si muove invece nel corpo vivo di una società che scopre di essere in difficoltà e si esprime anche sul piano elettorale.

Questo il senso dell’accusa di Rossanda: sottovalutare la radicalità dell’impostazione di Hollande, e ancor più di Melenchon, rispetto a un andazzo che in Italia, al contrario, vede silente e prono il Pd e marginalizzata – soprattutto socialmente – l’opposizione della sinistra “extraparlamentare”.

Diciamo che forse Rossanda sopravvaluta questa radicalità e le possibilità concrete di correzione delle politiche europee che l’eventuale ascesa di Hollande all’Eliseo potrebbe avere. Troppo forti appaiono i vincoli politici e soprattutto quelli finanziari, inscritti in accordi e trattati, oppure affidati alle crude turbolenze speculative dei mercati. Forse solo le elezioni tedesche del prossimo anno – se davvero travolgeranno la Merkel e faranno esplodere i consensi verso le molte “sinistre” germaniche (Spd, Linke, Verdi, “Pirati”) – potrebbero avere un qualche peso “correttivo” sulle imposizioni suicide della troika Bce-Fmi-Ue. Forse nemmeno quelle.

Ma è indubbio che il confronto politico francese sia molto più “libero” e “alternativo” di quanto non sia quello italiano, oppresso e soffocato dall’”Abc” che unisce in modo inestricabile i sistemi di potere contro la popolazione, a partire da lavoratori pensionati, giovani.

Da questo punto di vista, le critiche di Rossanda al “suo” giornale appaiono fondate. Lì, dice, c’è un fermento di idee e di mobilitazione che quaggiù non si vede. Al punto che persino politici navigati e sottotono come Hollande “debbono” in qualche misura interpretare – foss’anche solo sul piano della retorica comiziante – un malessere che diventa dissenso. Ma proprio questo “fermento” è la cosa interessante, non tanto o solo i suoi interpreti che mirano a una poltrona.

Sottovalutare il malessere sociale e sopravvalutare la microfisica del potere costituito (e barricato nel Palazzo). Questo il senso profondo di una critica che ci sentiamo di condividere, pur senza nutrire soverchie illusioni sulla “radicalità” di un Hollande.

“Il manifesto” si dibatte da anni nella sua crisi politica e quindi economico-finanziaria più profonda. Ci auguriamo che ne sappia uscire perché almeno un quotidiano “non governativo” – nell’epoca di Monti e dei poteri “iperuranici” – appare non solo necessario, ma probabilmente anche destinato a un notevole successo. Ma, appunto, un giornale “non governativo”, non succube delle dinamiche interne al Pd e dei suoi contorcimento irrisolvibili.

La “politica” parlamentare è morta definitivamente, in Italia, nel momento stesso che il primo architrave di ogni governo – le scelte di politica economica – è stato sussunto da istituzioni sovranazionali non elette da nessuno.

La “politica” può rivivere, dunque, soltanto nel conflitto aperto – a cominciare da quello delle idee – con questo muro di piombo che separa ora i luoghi delle decisione dai succubi di quelle decisioni.Altrimenti il rifiuto di “questa politica” da parte dei ceti popolari senza rappresentanza finirà per saldarsi con l'”antipolitica” fascistoide dei poteri finanziari, che già ora – dalla colonne del Corriere della sera e de Il Sole 24 Ore – teorizza una governance senza più i partiti politici.

In molte sue parti “il manifesto” ne appare consapevole. In altre assolutamente no. Anzi…

Ci auguriamo che la sferza di Rossanda – con cui pure dissentiamo spesso – abbia effetti positivi.

 

La Francia che cambia

Rossana Rossanda

Non considero così irrilevante il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi come lo giudicano Marco d’Eramo e Daniela Preziosi. Certo è l’opposto della marmellata parlamentare italiana, dove tutti, salvo la Lega, accettano Monti e Fornero dopo qualche flebile tentativo di divincolarsene. La Francia è invece divisa almeno in due, destra e sinistra, e fortemente radicalizzata da una parte e dall’altra. Ma mentre i socialisti di Hollande e il Front de gauche di Mélenchon vanno uniti al secondo turno, le destre di Sarkozy e di Marine Le Pen sono aspramente divise.
Il Front National, al livello più alto mai ottenuto in una presidenziale – la figlia ha superato il genitore -, mira ad assai più che a portare sangue a Sarkozy, nonostante la corte sfrenata che egli ha fatto al suo elettorato e accentua da due giorni, «a destra tutta». La bionda e virulenta Marine non nasconde che punta a spaccare il partito del presidente e diventare la sola forte destra, e non ha cessato di impallinare Sarkozy, che è l’Europa di Bruxelles e il gemello di Angela Merkel, cioè il nemico principale. Darà la consegna di voto il primo maggio, quando i suoi si riuniscono tradizionalmente sotto il monumento di Giovanna d’Arco ma sembra che lascerà libertà di voto con un accento sull’astensione. Fra due mesi ci sono le legislative e ad esse punta.
Anche per Sarkozy sarà più facile tentare di demolire Hollande sulla spesa pubblica e la sicurezza che giocare la carta del protezionismo, che di Marine Le Pen è l’asso di cuori, quella che le ha permesso di pescare il voto operaio nel diluvio di delocalizzazioni, anche sfondando le sue roccaforti tradizionali a nord e sud. Sarkozy ha già ricevuto un ammonimento da Bruxelles preoccupata dalla crescita delle destre estreme; neanche la Merkel è entusiasta, sono entrate in comprensibile fibrillazione le associazioni ebraiche. I Le Pen, padre e figlia, sono poco digeribili per quella abbondante metà del paese che ha ancora sullo stomaco il petainismo. Insomma la libertà di movimento di Sarkozy ha dei limiti. Intanto si è inventato per il primo maggio una «festa del vero lavoro» che si contrapporrà al corteo dei sindacati.
Hollande non ha certo il temperamento di un rivoluzionario, ma è tenace, si è preparato, ha scelto come Mitterand la force tranquille ed ha ribadito fino all’ultimo il punto che allarma i mercati: non accetta il «fiscal compact» e rimetterà in causa l’adesione del passato governo. CONTINUA | PAGINA 3
Una cosa gli è chiara, che su quella linea alla Francia, che ha un deficit molto superiore al nostro (più basso in relazione al Pil) non resterebbe un quattrino per la crescita, e crescita e tagliare le unghie alla finanza sono i suoi argomenti più forti.
Sui quali sarà incalzato da Mélenchon, che rappresenta la vera novità: dai minimi cui era arrivato il Pcf è salito in poche settimane di calorose manifestazioni, affollate di giovani e operai, al 16 per cento nei sondaggi. Ne ha realizzato soltanto 11 e rotti, ma è un risultato senza pari per una sinistra radicale, che ha con sé anche il Pcf senza avergli concesso nulla.
Benché i media abbiano fatto di tutto per appaiare in antieuropeismo Mélenchon e la figlia di Le Pen, essi non si somigliano in nulla se non nel rifiuto del rigore. Mélenchon non è protezionista, non è xenofobo, il 1 maggio sfilerà con i sindacati. È insomma riapparso il fantasma di una sinistra radicale non gruppuscolare, che non entrerà al governo ma appoggia la candidatura di Hollande e si conterà nelle elezioni legislative che seguiranno a giugno. La nuova Assemblée Nationale sarà non poco diversa dall’attuale.
In verità il duo franco-tedesco che ha diretto quest’anno l’Europa senza alcuna legittimità sta subendo un fiero colpo. Se passa Hollande, se si considera che anche Angela Merkel è già meno forte, dell’Italia non si occupa nessuno, e che la apparentemente inossidabile Olanda è entrata in questi giorni in apnea, l’ipotesi più verosimile è che si incrina in Europa il fronte dell’austerità.
Farebbero bene a pensarci Bersani e D’Alema, dopo lo scacco dell’incontro con il Ps e la Spd. Le carte europee possono essere ridistribuite, e se non lo fa Bersani lo farà qualcun altro.

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2 Commenti


  • pietro

    Cari Compagni, francamente, ma in che mondo vivete? Ancora lì a dar conto delle ridicole baggianate che compaiono sul quotidiano fintocomunista?

    Ancora a dare credito alla Rossanda, l’nflessibile europeista che dialoga amichevolmente col compagno di strada Giuliano Amato sul futuro del vecchio continente?

    Il comunismo è proprio morto, e anche voi non state troppo bene…

    Se sapeste almeno l’abbicì sulla Francia vi rendereste conto che Hollande non farà assolutamente nulla di sinistra ma molto di montiano, che Mélenchon è una specie di Vendola, che come l’insopportabile contapalle nostrano non si è mai opposto a niente in vita sua, e che tutti e due prepareranno il terreno per una futura vittoria, tra qualche anno, della LePen

    La quale, a dispetto dei fintocomunisti fintotonti o disinformati nostrani é molto meno becera di quello che essi credono, parla molto meno il linguaggio del razzismo e molto più quello del protezionismo e dell’uscita dall’euro che dovremmo sentire urlare dalle opposizioni dalle nostre parti…ma invano!

    Da ultimo, se la Merkel va via, credete davvero che ci salveranno la Spd e i Verdi: ovvero coloro che hanno radicalizzato la strategia non cooperativa della Gemania a partire dall’ unificazione (riforma Hartz, ecc..)?

    Le politiche di destra fanno bene…alla destra, in molti se ne stanno rendendo conto….

    Meditate, compagni, meditate


  • pietro

    Compagni,

    quelli che hanno voluto l’Euro e quelli che insistono a volerci stare – magari dicendo che il problema non è la moneta unica ma il fatto che non c’è abbastanza Europa, che dobbiamo lottare per avere “più Europa”: sono loro i veri nemici di classe.

    Come non vedere nei ripetuti tentativi di ingabbiare il paese in accordi di cambio fisso, dalla fine degli anni 70 in poi, la volontà di disciplinare il lavoro attraverso il vincolo esterno esterno, di calare la mannaia della deflazione salariale sulle conquiste di una grande stagione di lotte?

    Dalla svalutazione di Amato e Ciampi e dall’infame accordo del luglio 1993 in avantii, i lavoratori italiani sono stati condotti come i ciechi di Bruegel dai maggiorenti dell’asinistra verso la voragine.

    L’Euro è stato un capolavoro della lotta di classe (all’incontrario) e quelli come la Rossanda, che nulla sanno e nulla vedono, continuano svergognatamente a pontificare da cattedre sussidiate piuttosto, come dicono a Roma, d’annasse a ripone.

    Se non lo avete capito l’Euro è di destra, e sta distruggendo il lavoro. Non nascondete la testa sotto la sabbia: Le Pen ha preso quasi il 20% un po’ perché è fascista nel paese di Vichy, ma molto di più perché è contro l’euro e, se occorre, protezionista (Hènin-Beaumont dice niente?)

    La Germania non muoverà un dito per salvare l’UE e “più Europa” è un’idea patetica e balzana di una sinistra senza bussola né testa, di una sinistra che, in realtà, è di destra!

    Dategli ancora un po’ di tempo e la moneta unica deflagrerà. Lo dicono i dati, lo dice il buon senso. Dopodichè si aprirà una nuova fase, nuove lotte, nuove possibilità. Sempre che non sia troppo tardi.

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