Menu

Consiglio Ue. Non passa il “super-commissario” ai bilanci statali

Vedremo nelle prossime settimane quanto è stato serio lo scontro avvenuto ieri pomeriggio al Consiglio della Ue tra la posizione tedesca e quella francese. Merkel si è presentata chiedendo l’istituzione di un “super-commissario” ai bilanci nazionali degli Stati dell’eurozona, in modo da ridurre davvero al minimo le possibilità nazionali di manovrare autonomamente alcune voci di spesa o di entrate fiscali.
La Francia si è opposta, trovando all’ultimo minuto l’appoggio di Mario Monti e – ovviamente – quello di tutti i paesi già alle prese con una situazione finanziaria molto grave.
Può sembrare una seria sconfitta tedesca, ma a nostro avviso non è esattamente così. La figura di un “super-commissario” è apparsa infatti immediatamente eccessiva, quasi un ballon d’essai per coprire obiettivi molto più ragiungibili. E in parte raggiunti dal governo Merkel.
Lo schema proposto dal Corriere rappresenta bene la divergenza di interessi e obiettivi.

In realtà, in materia di vigilanza bancaria, alla Germani interessava evitare l’immediato ingresso della Bce  – a partire dal 1 gennaio prossimo – come “sorvegliante” anche delle banche regionali, oltre che delle 25-30 di “dimensioni sistemiche”. Si tratta per Berlino di preservare il più a lungo possibile le Landesbanken – le banche regionali che fanno la fortuna dei gruppi di potere locali – dalle verifiche sovranazionali. Insomma, quello che Berlino pretende sia fatto valere per i paesi “deboli” non dovrebbe valere per le “debolezze” germaniche.
In generale, comunque, la Germania cerca di limitare al minimo indispensabile il rischio di doversi accollare “passività” prodotte in altri paesi anche per colpa della politica adottata dalla stessa Germania negli ultimi dieci anni.
QUi di seguito due pezzi apparsi oggi su giornali molto diversi tra loro e che chiariscono alcuni dei termini del contendere.

Merkel irresponsabile

Joseph Halevi

Le previsioni pessimistiche del Fondo monetario internazionale individuano nell’Europa dell’Unione Monetaria la zona maggiormente in crisi. La situazione è destinata ad aggravarsi ulteriormente se si continua ad insistere sulle restrizioni fiscali. In tale contesto il discorso di Angela Merkel al Bundestag è un nuovo atto di irresponsabilità nei confronti dei paesi dell’eurozona. La Cancelliera ha invocato l’adozione di misure di veto nei confronti dei bilanci dei paesi che non riusciranno a stare nei termini dello già scellerato patto fiscale che impone il pareggio dei conti pubblici. È importante capire che esattamente come non si può imporre per tutti i paesi l’equilibrio automatico della bilancia dei pagamenti corrente, dato che alcuni avranno i conti con l’estero in surplus ed altri in deficit, non si può pensare che tutti possano raggiungere e mantenere il pareggio di bilancio. Questo il governo francese lo sa benissimo.
Parigi si oppone alla linea della Merkel non per un presunto keynesismo che non c’è, bensì perché con una bilancia dei pagamenti esteri corrente negativa, fenomeno che in Francia oltre ad essere molto frequente sta ormai durando da parecchi anni, le possibilità di centrare il pareggio di bilancio si riducono di molto. Inoltre esse si riducono ad ogni peggioramento dei conti esteri.
Lo stesso discorso vale in realtà anche per l’Italia. In Francia però sono assai più consapevoli che la rigidità voluta da Berlino non è attuabile e toglierebbe a Parigi i gradi di libertà necessari a far accettare sul piano interno le politiche di austerità. Ne consegue che Berlino vorrebbe di fatto imporre all’Europa dell’euro una sua versione del demenziale fiscal cliff (precipizio fiscale) che i repubblicani hanno imposto ad Obama ma che negli Usa si riferisce al raggiungimento di un certo livello nel debito pubblico, oltre il quale scatterebbero dei tagli automatici. La logica altrettanto demenziale del governo tedesco obbligherebbe i paesi dell’eurozona a lanciarsi in una feroce politica volta ad ottenere forti eccedenze nei conti esteri tramite la compressione della domanda interna, peggiorando così le cose. Ciò si risolverebbe in un conflitto economico intraeuropeo, salvo miracoli da parte degli Stati Uniti. L’ossessione, completamente errata, con i conti pubblici sta portando l’Europa alla follia economica e politica.

da “il manifesto”

Così Bruxelles potrebbe dettare le finanziarie ai parlamenti
Luigi Offeddu

BRUXELLES — Si scrive «bilanci», si legge «debiti»: in tedesco «Schulden». Quando Angela Merkel chiede per la Ue il potere di veto sui bilanci dei governi nazionali, vuol dire questo: che Bruxelles deve legare le mani ai Paesi spreconi, cioè prevenire le loro valanghe di debiti pubblici, e che Berlino non vuol più rischiare di foraggiare le cicale. Cioè di condividerne il debito, addossandosi magari i futuri «eurobond», le obbligazioni garantite in comune dall’eurozona.
Nella cantina europea è tedesca la botte più piena, ma molte botti intorno sono bucherellate, e collegate alla prima: Berlino vuole che si tappino i buchi, anzi che si blocchino i topi prima ancora che comincino a rodere.
In realtà ciò che esige la Cancelliera, il «diritto di ingerenza», è già parzialmente una prerogativa della Commissione europea. Anche se la signora di Berlino vuole andare più in là: non solo esame e sorveglianza dei bilanci — com’è stato finora — ma anche loro riscrittura «collettiva» ed eventuale bocciatura preventiva, da affidare a un «supercommissario»; parola che da sola richiama il concetto del «commissariare». E in effetti, ciò sarebbe ben più di quanto è stato fatto fino ad oggi: perché la Ue affiancherebbe, o addirittura precederebbe, i Parlamenti nazionali nella formazione delle leggi di bilancio.

E questo, in alcune capitali — Parigi per prima — viene già definito come un problema di democrazia e di rispetto della sovranità nazionale.

E’ dal 2011, che le leggi finanziarie dei vari Paesi vengono esaminate e coordinate da Bruxelles. Avviene per il procedi mento definito «semestre europeo», una sorta di consultazione preventiva nei primi sei mesi dell’anno, basata appunto su una limitata «cessione di sovranità»: ogni governo cede un poco delle sue competenze a un’autorità centrale riconosciuta, la informa su quello quali saranno le spese e i consigli di orientamento sull’agenda economica, e sulla sorveglianza dei bilanci.
Ma sono appunto consigli, non veti, come invece vorrebbe la cancelliera Merkel. Il «semestre» inizia ogni anno a gennaio, quando la Commissione europea presenta la sua «analisi sulla crescita», con le priorità per tutta la Ue. A marzo, ne discute il vertice dei capi di Stato e di governo. In aprile, ogni governo presenta a Bruxelles — e agli altri governi — il proprio programma di stabilità. Almeno sulla carta, è una presentazione simultanea. La Commissione valuta i programmi, emette le una sue raccomandazioni per ogni paese e fra giugno e luglio queste vengono adottate dai capi di Stato e di governo, e dai ministri economici.
Volgarizzando al massimo, avviene qualcosa del genere: un capo-condominio ricorda agli inquilini quali saranno le spese e i risparmi prevedibili per l’annata nei singoli appartamenti, segnala dove può esservi una fuga d’acqua, e ciascuno stila i propri conti di conseguenza. Entrate, uscite, spese straordinarie.
A luglio, ogni Paese conosce (più o meno) le intenzioni degli altri. E Bruxelles conosce quelle di tutti. Tenendo conto dei «consigli» ricevuti, gli Stati stilano i bilanci nazionali che verranno poi discussi dai Parlamenti, nel secondo semestre dell’anno. A quel punto, la cessione di sovranità è finita, la Ue non ha più molta voce in capitolo, e ogni governo è libero di riassestare — o di sfasciare — i propri conti. La Commissione ha anche proposto a suo tempo dei regolamenti che riguardano i Paesi con particolari problemi di stabilità, da sottoporre a una vigilanza rafforzata. Regolamenti tesi a rassicurare la Germania: in casi molto gravi, Bruxelles dovrebbe inviare sul posto i suoi ispettori, e «raccomandare» il ricorso agli aiuti europei, che il Paese in difficoltà non potrebbe respingere.
Per Berlino, tutto ciò non basta ancora perché c’è sempre il rischio che Atene, o altre capitali, decidano di riaffermare comunque la propria sovranità e di non seguire le raccomandazioni della Ue. Ecco allora la richiesta che le raccomandazioni possano diventare divieti, e che un «supercommissario» possa cassare in partenza le leggi sciupone. Ma per far ciò, bisogna che tutti i governi siano d’accordo. E questo, in Europa, non accade molto spesso.

dal Corriere della sera


- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • MaxVinella

    Il super commissario non è necessario, basta e avanza la Merkel !!

    Forse la signora voleva delegare a qualche suo tirapiedi questo compito, per poi avere più tempo libero e dedicarsi allo shopping !!

    Per far applicare rigidamente da noi il credo monetarista, basta e avanza Monti, che però dovrebbe spiegarci come mai aumentando la disoccupazione e crollando i consumi, l’inflazione continua tranquillamente a crescere anzichè diminuire come sostengono le sue amate teorie ??!!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *