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Qui si infiltrano persino gli “animalisti chic”…

Spionaggio nelle Ong, nei movimenti pacifisti/ecologisti e nelle organizzazioni di semplice difesa dei consumatori. Dov’è la sorpresa?

Non c’è, naturalmente. Siamo abituati a vedere questi movimenti come “inefficaci” nella critica al capitalismo, e su questo non ci sembra necessario cambiare opinione. Però la loro azione – sempre focalizzata su singoli temi, mai sul “sistema”, ma svolta sempre con grande puntiglio e competenza tecnica – ha effetti reali più meno pesanti su singole aziende o settori produttivi. E quindi scatta lo spionaggio, sia “privato” che “pubblico”.

Nemmeno sul secondo fronte dello spionaggio ci sarebbe molto da aggiungere, sul piano teorico: lo Stato è dei padroni, quindi lavora per i loro interessi. Detta così è solo uno slogan, ma se si ragiona un attimo si vede che sotto la definizione astratta è possibile intravedere molte “pratiche” concrete. Se uno usa gli occhi e il cervello in modo adeguato, certo. Altrimenti non vedi mai nulla.

È quello che è accaduto alla sinistra italiana di ogni ordine, grado, partito, associazione, collettivo, movimento. La cultura condivisa, su questo punto, è tutta racchiusa in una frase priva di senso come “ma noi non abbiamo niente da nascondere…” (sguardo scandalizzato, occhio vitreo, pupilla fissa, cervello spento) “perché mai ci/mi dovrebbero spiare?”. Come se soltanto “i cospiratori”, appunto, fossero un problema per il capitale in generale e i singoli capitalisti in casi specifici.

La domanda è idiota per un motivo semplice: è chi ti spia a decidere se è interessante o meno farlo. E non spiega certo a te perché lo fa… La tua attività può essere legalissima, solo cultural-chic (come Peta, contro l’uso delle pellicce….), antagonista e piazzettara, semi-clandestina o ultra-pacificissima; non è questo il problema. Il punto vero è se la tua attività, o la tua stessa esistenza, è vista da loro come un problema da rimuovere.

Se questo è difficile da afferrare per alcune organizzazioni tutto sommato innocue “per il capitalismo” (ma non per alcuni capitalisti singoli), come Green Peace, Peta, Amnesty International, ecc, non dovrebbe esserlo invece per chi ancora si definisce comunista, antagonista e via criticando in modo radicale “il sistema”.

Eppure anche in questo nostro mondo l’attenzione per la “vigilanza” – come si diceva una volta – è venuta quasi totalmente meno. Ben pochi si chiedono, se qualcun* di nuov* si avvicina, “chi è quell*, da dove viene, che storia ha?“. Al punto che, persino quando il segretario di un “partito comunista” ha denunciato pubblicamente un’infiltrazione dei servizi nella sua organizzazione (che già tanti problemi aveva ed ha), molti buontemponi si sono lasciati andare a motteggi, frizzi e lazzi. Le spie, immaginiamo, avranno certamente ringraziato per l’aiuto spontaneamente offerto…

Proponiamo qui questo articolo apparso ieri su Globalyst e che si occupa, per l’appunto, dello spionaggio praticato da una marea di multinazionali, stati, servizi, società private e di contractors, nei confronti di innocenti organizzazioni che vorrebbero soltanto liberare l’umanità da qualche problema, più o meno rilevante; ma che, in ogni caso, rischiano di far diminuire i profitti di qualcuno.

 

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C’è sempre qualche spia nelle ong

Greenpeace, Peta, Amnesty International, movimenti pacifisti, ecologisti e per i diritti umani, tutti spiati dalle multinazionali. Con la collaborazione dei servizi segreti europei

Nafeez Mohammed Ahmed
Sicurezza e spionaggio servono a difendere gli interessi delle multinazionali e per schiacciare chiunque voglia reagire alla loro supremazia. Un nuovo sorprendente rapporto presenta ampie prove su come alcune delle più grandi aziende del mondo abbiano collaborato con le «agenzie di intelligence private e governative» per spiare gli attivisti e i gruppi no-profit. L’attivismo ambientale è una delle principali attività prese di mira, anche se non è l’unica.

Il rapporto del Centro per la politica aziendale (Ccp) di Washington dal titolo: “Spionaggio industriale contro le organizzazioni no-profit” produce una gran quantità di prove evidenti, tra cui indagini legali e giornalistiche, che dipingono un quadro inquietante di un programma di spionaggio aziendale globale e senza controlli, da cui sembra di capire che uno su quattro attivisti viene spiato nel privato.

Il rapporto indica che il presupposto fondamentale per richiedere che una organizzazione no-profit sia soggetta a spionaggio sia: «Svolgere una attività che intralci o quantomeno minacci i beni o l’immagine di una azienda».

Una delle organizzazioni più prese di mira dalle multinazionali è Greenpeace. Nel 1990, Greenpeace fu individuata dalla Beckett Brown International (Bbi), su richiesta della Dow Chemical, la più grande impresa produttrice di cloro del mondo, come preoccupante per aver condotto una campagna ambientale contro l’uso del cloro nella fabbricazione di carta e plastica. Quando si è soggetti a spionaggio può succedere che «si recuperino documenti dai bidoni della spazzatura, che si cerchi di infiltrare qualche agente sotto copertura all’interno del gruppo, che si raccolgano informazioni riservate o tabulati telefonici degli attivisti, e che ci sia qualcuno che si intrufola in riunioni riservate».

Ci sono state infiltrazioni in vari uffici di Greenpeace in Francia e in Europa ed è stata spiata da imprese di intelligence private francesi, su richiesta della Électricité de France, la più grande azienda mondiale di centrali nucleari, di proprietà del governo francese all’85 per cento.

Risulta che sia la Shell che la BP abbiano dichiaratamente stipulato contratti con la Hackluyt, una società investigativa privata, che ha stretti legami con il MI6 (la Cia britannica), per infiltrare un agente in Greenpeace, come «simpatizzante di sinistra e film maker», ma con la missione di «rivelare i piani delle attività di Greenpeace contro i giganti del petrolio». Tra l’altro, aveva anche il compito di raccogliere informazioni sui movimenti della motonave Greenpeace nel nord Atlantico.

Il rapporto del Ccp rileva che: «Diverse tipologie di organizzazioni non profit sono state oggetto di spionaggio, quelle ambientali, quelle contro la guerra, quelle di pubblico interesse, quelle dei consumatori, quelle per la sicurezza alimentare, quelle contro i pesticidi, quelle per la riforma delle case di cura, quelle per il controllo delle armi, per la giustizia sociale, per i diritti degli animali. Tutte sono state oggetto di qualche forma di controllo. Molte delle più grandi multinazionali del mondo e le loro associazioni di categoria, tra cui la Camera di Commercio USA, Walmart, Monsanto, Bank of America, Dow Chemical, Kraft, Coca-Cola, Chevron, Burger King, McDonald’s, Shell, BP, BAE, Sasol, Brown & Williamson e E.ON, risultano in qualche modo collegate allo spionaggio o a tentativi di spionaggio contro organizzazioni no-profit, attivisti e informatori».

Dando uno sguardo ad altri esempi, il rapporto continua con l’Ecuador, dove una causa contro la Texaco, che stava portando a una multa di nove miliardi e mezzo di dollari per una fuoriuscita di trecentocinquanta milioni di galloni di petrolio in una zono vicina al Lago Agrio. La Kroll, un’agenzia privata di investigazioni, ha cercato di arruolare Maria Cuddehe, una giornalista, come «spia industriale» per la Chevron, per poter sabotare le informazioni degli studi sugli effetti sulla salute ambientale provocati dalla marea di petrolio.

Riferendosi al lavoro del giornalista investigativo americano Jeremy Scahill, il rapporto sottolinea che la più potente società di contractor (mercenari) del mondo, la Blackwater, poi ribattezzata Xe Services e ultimamente Academi, era stata ingaggiata per diventare «il braccio-intel della Monsanto», la multinazionale dell’agricoltura e delle biotecnologie che produce alimenti geneticamente modificati. La Blackwater è stata pagata per «trovare gente da infiltrare nei gruppi di attivisti organizzati contro la multinazionale biotech».

In un altro caso, la UK’s Camp for Climate Action, che lotta contro le centrali a carbone, ha subito infiltrazioni dall’agenzia di security Vericola, per conto di tre società energetiche: E.ON, Scottish Power e Scottish Resources Group.

Riferendosi alle e-mail pubblicate da Wikileaks sulla Stratfor, agenzia di intelligence privata del Texas, il rapporto mostra come l’agenzia abbia riferito di aver «condotto operazioni di spionaggio contro i diritti umani, i diritti degli animali e contro le associazioni ambientaliste, su richiesta di aziende come Coca-Cola». In un caso, le email indicano che Stratfor ha svolto indagini sul trattamento etico degli animali (Peta), su richiesta della Coca-Cola ed ha avuto accesso a informazioni riservate dell’Fbi su Peta.

Il rapporto presenta prove convincenti che molto dello spionaggio aziendale è appoggiato dalle agenzie governative, in particolare dall’Fbi. C’è un documento, di settembre 2010 dell’Ispettorato generale del dipartimento di Giustizia Usa, sulle indagini dell’Fbi tra il 2001 e il 2006 che conclude: «La base fattuale di aver iniziato indagini su individui affiliati ai gruppi no-profit è stata di fatto debole. In certi casi, abbiamo anche scoperto che l’Fbi ha prolungato le indagini che riguardano gruppi di pressione o suoi membri, senza una base adeguata. Talvolta l’Fbi ha classificato alcune indagini sulla disobbedienza civile non violenta come atti di terrorismo».

Riguardo a un’indagine dell’Fbi su Greenpeace, il dipartimento di Giustizia dice: «L’Fbi ha trovato poco o niente su sospetti di violazione di qualsiasi legge penale federale. L’indagine sulle comunicazioni elettroniche condotta dall’Fbi non ha fornito nessuna base per sospettare progetti su eventuali reati federali. Abbiamo anche verificato che l’Fbi ha tenuto l’inchiesta aperta per oltre tre anni, molto più del tempo per cui si poteva presumere che i soggetti stessero progettando azioni di disturbo. Concludiamo, dicendo che l’inchiesta è stata tenuta aperta “oltre il tempo per cui risulti giustificata”, pertanto è risultata incompatibile con le linee guida del manuale Fbi che detta gli indirizzi da seguire nelle investigazioni».

Il coinvolgimento dell’Fbi nello spionaggio aziendale è stato istituzionalizzato con la InfraGard, una collaborazione poco conosciuta tra industria privata, Fbi e dipartimento della Homeland Security, che coinvolge più di ventitremila aziende private, tra cui trecentocinquanta di quelle entrate nella lista di “Fortune 500”.

Ma non c’è solo l’Fbi. Secondo l’ultimo rapporto, «ci sono operatori in servizio attivo nella Cia che sono autorizzati a “vendere le loro competenze professionali al miglior offerente”. Una gestione che permette a “imprese finanziarie e hedge fund” l’accesso alle informazioni più riservate dell’intelligence nazionale. Ma si conosce ancora poco sulla politica del lavoro sporco alla Cia, o su quali siano le aziende che stanno pagando agenti della Cia in servizio».

Il rapporto conclude che, per assolata mancanza di controllo, il governo tende a mettere semplicemente il suo timbro come «fonte esterna dell’intelligence»: «Effettivamente ora qualsiasi azienda è in grado di replicare nel suo piccolo i servizi della Cia, pagando impiegati in servizio attivo e personale in pensione della intelligence o delle forze dell’ordine. L’illegalità commessa da questa intelligence e dalle forze dell’ordine private, che sembrano godere la quasi impunità, è una minaccia alla democrazia e allo Stato di diritto. In sostanza, le aziende ora riescono ad accedere a conoscenze legali (con pochi vincoli di norme giuridiche ed etiche) che permettono di sovvertire o di distruggere i gruppi civici che si oppongono ai loro interessi. Ciò erode decisamente la capacità del settore civile di combattere contro l’enorme potere delle ricche élites aziendali».

Gary Ruskin, autore del rapporto scrive: «Lo spionaggio aziendale contro le organizzazioni no-profit è un egregio abuso di potere che sta sovvertendo la democrazia. Chi è che deve tenere a freno le forze dell’illegalità delle imprese che si abbattono sui difensori no-profit della giustizia?».

Ottima domanda. Se non che, ironia della sorte, molte di quelle stesse società che stanno guidando la guerra alla democrazia stanno combattendo anche la guerra contro il pianeta terra – proprio la settimana scorsa il quotidiano britannico “Guardian” ha rivelato che novanta tra le maggiori multinazionali generano quasi i due terzi delle emissioni di gas a effetto serra, e per questo sono in modo schiacciante anche responsabili dei cambi climatici.

 * Nafeez Ahmed è professore di storia contemporanea e direttore esecutivo dell’Institute for Policy Research & Development.

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