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L’informazione di regime si concentra. Repubblica assorbe La Stampa

Tempo di crisi, tempo di fusioni societarie. Fin qui è la regola più semplice del capitalismo: il fatturato cale, le perdite si accumulano, meglio mettere insieme due o tre gruppi, “sviluppare le sinergie” e licenziare un bel po’ di dipendenti (non per crudeltà, ma per eliminare i doppioni), concentrarsi sul core business mollando partecipazioni che sembravano un fiore all’occhiello quando le cose andavano bene.

Ma se questo processo riguarda la stampa, ossia l’informazione e la cultura (ai vari livelli di approfondimento), allora c’è qualcosa che va capito bene, altrimenti si continua a cianciare di “libertà di espressione” in un ambiente decisamente concentrazionario e quindi ferocemente ostile proprio alla libertà. Di pensiero, in primo luogo.

Dopo la fusione “Mondazzoli”, che ha riunificato sotto il controllo berlusconiano Mondadori (Einaudi compresa) e Rizzoli, ossia libri e riviste, ora è il momento della contrazione tra giornali di prima fascia. Il Gruppo editoriale l’Espresso e la Itedi hanno siglato molto velocemente un accordo che vale il 20% del mercato italiano della carta stampata e una buona fetta dell’informazione online. Vale a dire Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX.

Sarà come sempre il gruppo più grande a incorporare il più piccolo, dunque De Benedetti a prendersi le testate storiche della famiglia Agnelli. Ma non si tratta di una inversione di potenza tra colossi industriali. L’ex Fiat, ora Fca, sta assumendo definitivamente tutti i contorni e le logiche operative di una multinazionale troppo grande per restare legata a un paese che non conta un tubo. Quindi Marchionne e Elkann si vanno liberando di pesi provinciali – oltretutto in perdita sistematica, visto che l’editoria dei quotidiani non riesce da nessuna parte a produrre utili – mentre si tuffano nell’editoria che conta, con i 400 milioni investiti nella partecipazione all’Economist, testata certo più rilevante per l’immagine di una multinazionale che voglia farsi rispettare. Anche la storica partecipazione al Corriere della Sera finisce nello stesso modo, proprio alla vigilia di un aumento di capitale che per il Lingotto avrebbe significato un (inutile) esborso.

In questo modo la Fca si libera anche di diversi debiti e può concentrarsi sulle operazioni societarie più “naturali”, come la progettata fusione con un altro grande produttore di automobili (da tempo Marchionne corteggia General Motors, ricevendo però finora solo dinieghi).

Diciamo intanto che si conferma in pieno l’addio degli Agnelli all’Italia, che non è in effetti più in grado di regalare nulla alla famiglia industriale più importante del paese, anche grazie alla storica sudditanza della classe politica davanti agli interessi della Fiat. Una sudditanza sapientemente costruita anche con il controllo articolato del sistema dei media, con la nomina dei direttori più fedeli e la corruzione “semi-spontanea” dei giornalisti più autorevoli. Senza la partecipazione entusiastica del sistema dei media “padronali”, per esempio, l’inchiesta che poi divenne politicamente devastante con il nome di Tangentopoli non avrebbe mai assunto quel ruolo. Ci si sarebbe tranquillamente fermati al Pio Albergo Trivulzio e ai piccoli giochi di prestigio di un “mariuolo” che maneggiava qualche miliardo di lire.

Non è dunque senza significato la concentrazione nei principali giornali italiani (c’è da chiedersi cosa sta maturando nel “salotto buono” che ha fin qui controllato il Corriere della Sera, da sempre il vero termometro degli equilibri nella “classe dirigente” italica). E dimostra in modo concreto, al di là dei sospetti o delle semplificazioni retoriche, come e quanto la proprietà dei mezzi di informazione sia strategica per il controllo dell’informazione stessa, quanto sia pura chiacchiera “l’indipendenza dei giornalisti”. A tal proposito vi proponiamo, più sotto, il “dietro le quinte” di Dagospia, davvero illuminante su alcuni personaggi come Mario Calabresi, Maurizio Molinari e anche quel Massimo Gramellini che ci impartisce lezioncine di piccola morale spicciola dagli schermi di Fabio Fazio, ma non sembra davvero capace di essere all’altezza delle sue stesse formulazioni.

L’unico aspetto su cui non si potranno davvero spargere lacrime, in questa operazione di concentrazione, è il cosiddetto “pluralismo”. Che nella stama mainstream non esiste più da tempo e quindi non può risentire della riduzione del numero delle testate nazionali.

Naturalmente verranno sparse lacrime sul piano occupazionale. Ridurre La Stampa e Il Secolo XIX a giornaletti regionali (Piemonte e Liguria), come allegati alla corazzata Repubblica, significa eliminare completamente costosissime redazioni regionali (per esempio quella romana del quotidiano torinese), corrispondenti dall’estero, ecc.

Una conseguenza positiva, dunque, ci potrebbe essere se almeno alcuni di questi giornalisti “professionisti” dovessero prima o poi cominciare a vuotare il sacco (come si intuisce per esempio dal retroscena di Dagospia), vedendosi scaricati come sacchi dopo decenni da “voce del padrone”. Sarebbe almeno divertente… Ma non c’è da esagerarne l’importanza.

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DAGOREPORT

Prendete carta, penna e calamaio e segnatevi quanto stiamo per raccontarvi: tanto troverete tutto ricopiato sui giornali nei prossimi giorni, spacciato per scoop e anticipazioni esclusive.

Cosa ha spinto all’accelerazione dell’operazione ‘Stampa’ – ‘Repubblica, di cui oggi assistiamo all’atto conclusivo, con un cda del gruppo ”Espresso” riunito in fretta e furia per decidere i contorni di una fusione che questo disgraziatissimo sito aveva rivelato mesi fa (novembre 2015)?

In una parola, Marchionne. È l’impulloverato italo-canadese ad aver messo John Elkann – che aspettava valori di borsa più propizi per vendere la partecipazione in Rcs senza perdere troppi soldi – davanti a un bivio: ora o mai più. Da sempre ostile ai giochi con l’editoria italiana dell’erede Agnelli (a che serve a una multinazionale un giornale italiano?), adesso Marchionne ha un motivo urgentissimo: la fusione di Fiat-Chrysler (FCA) con un altro produttore di auto.

La casa automobilistica ha in pancia le quote di Rcs, ovvero una società con un debito da quasi mezzo miliardo che si porta dietro la spada di Damocle di un ennesimo aumento di capitale. Unaliability, come dicono in modo formale gli americani di General Motors. Unboulet, come dicono in maniera colloquiale i francesi di PSA Peugeut-Citroen.

Disfarsene ora vuol dire mettere a bilancio una minusvalenza, ma anche liberare i conti da un’attività non-core, proseguendo un processo di alleggerimento e consolidamento che va avanti da un decennio.

 

IL RIASSETTO DELLA GALASSIA AGNELLI

Giovedì-venerdì scorso Marchionne ha dato il via all’operazione, ma le trattative sono appena entrate nel vivo. In contemporanea, Elkann prepara il riassetto di Exor e dell’accomandita di famiglia, la Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az., un fossile societario che però è ancora fondamentale per tenere insieme l’affollatissimo clan.

Ormai gli eredi con micro-quote dell’accomandita sono troppi, e continuano a disperdersi in rami sempre più piccoli e più lontani dall’originale albero genealogico. Elkann sta costituendo un nocciolo duro tra zii e cugini più attivi e fidati, per consolidare il suo ruolo di capofamiglia, e a loro ha chiesto di quali partecipate siano disposti a fare a meno.

La maggioranza ha risposto in coro: i giornali. ”Stampa”, ”Secolo XIX” e ”Corriere della Sera” sono un peso societario e gestionale, con uno scarso ritorno d’immagine o potere.

E il giovane Kaky sta creando una nuova società-fondo dove veicolare tutto quello che non è FCA, Ferrari e Partner-Re, la società di riassicurazione che rappresenta il futuro finanziario e non automobilistico della famiglia. La categoria comprende Itedi (Stampa-Secolo), ma anche la Juventus.

La squadra è un grattacapo non solo per i triangoli amorosi di Andrea Agnelli. È pure spaccata su due fronti: da una parte Elkann con il fidatissimo Marotta, dall’altra Agnelli jr. con Giraudo, che fu grande amico del padre Umberto e rappresenta in pieno la vecchia Juve dell’epoca Moggi, un tempo assai sgradito a Elkann. Ma il destino della Juve è per un altro articolo.

 

LE TRATTATIVE TRA I GRUPPI

Tornando all’operazione ‘Repubblica-Stampa’, chi sta gestendo le trattative? Da una parte c’è Monica Mondardini, amministratore delegato di Espresso che manterrà la stessa carica anche dopo l’acquisizione del polo torinese.

Dall’altra c’è Maurizio Scanavino, già al vertice della concessionaria di pubblicità Publikompass, oggi direttore generale di Itedi. Fedelissimo di Elkann, dopo la fusione assumerà il ruolo di direttore editoriale del nuovo gruppo.
Naturalmente, le trattative avvengono seguendo la regola-Craxi, che De Benedetti ha imparato a memoria: ”Entra nella stanza, spegni le luci e picchia chi hai davanti. Poi, accendi la luce e inizia a trattare”. Una classica tecnica poliziotto buono/poliziotto cattivo: la Mondardini viene mandata in trincea, spara cifre irrealistiche e maltratta la controparte. Poi l’Ingegnere-generale entra in campo, apre il suo canale diretto con Elkann, e avvicina l’offerta a soglie più ragionevoli (ma sempre più vantaggiose per lui).

 

LA DIREZIONE DEL NUOVO GIORNALONE

L’impalcatura del nuovo assetto era pronta da tempo. E gli attori non protagonisti, i giornalisti, si erano già fatti i loro calcoli. Li ha fatti Ezio Mauro, che come abbiamo già scritto è stato accompagnato alla porta prima di quanto si aspettasse, per propiziare l’arrivo di Mario Calabresi, perno di tutta l’operazione e garante degli interessi degli Agnelli a Largo Fochetti.

Ma se li era fatti anche Massimo Gramellini. Il vice-direttore della ”Stampa” aveva promesso fuoco e fiamme se gli fosse stata scippata la direzione del quotidiano torinese (“la mia uscita vale 50 mila copie”), eppure dopo la nomina di Molinari non ha emesso un miagolio.

Ora è chiaro il motivo: arrivare alla direzione della ”Stampa” due mesi prima della cessione del quotidiano sarebbe stato uno smacco totale. Maurizio Molinari invece non disdegna il suo ruolo di direttore a tempo. Voleva solo tornare in Italia dopo il lungo peregrinare tra Washington e Gerusalemme.

Addirittura, c’è chi mormora dell’esistenza di una lettera d‘intenti tra De Benedetti ed Elkann in cui si garantisce il ruolo di Calabresi come direttore anche dopo la fusione tra i giornali. E, sempre in ottica di un futuro remoto, un altro patto tra i due vincolerebbe Elkann a rilevare il controllo del gruppo dopo l’uscita di scena di De Benedetti. Ma finché l’Ingegnere avrà energie e passione per l’editoria, sarà lui a menare le danze.

 

CHE NE SARÀ DEI QUOTIDIANI?

Come apparirà, in edicola, il frutto di queste operazioni? Al momento, l’ipotesi è questa: ”Repubblica” rimarrà il quotidiano nazionale. Chi l’acquisterà in Piemonte troverà allegato l’inserto locale ”La Stampa”, mentre i liguri avranno all’interno il ”Secolo XIX”. Che ne sarà dei giornalisti dei tre cartacei, questa è un’altra storia, tutta da scrivere (e non sarà scritta da loro, purtroppo).

C’è poi un quarto incomodo, molto pesante. E’ il ”Corriere”, che sta per essere abbandonato da un giorno all’altro dal suo azionista di maggioranza relativa, FCA, che neanche tre anni fa lo considerava una partecipazione ”strategica”.

Per la vendita della quota, poteva mancare il solito Bazoli, padrino di Via Solferino dai tempi dell’Ambrosiano? Il vecchio Abramo delle mie brame ha incontrato molte volte Elkann, che lo ha investito del ruolo di advisor (informale) dell’operazione.

Bazoli avrebbe trovato un candidato volenteroso e disposto a incollarsi la rogna Rcs: è Gianfelice Rocca, presidente di Techint e Assolombarda, uomo forte di Confindustria. Dell’ipotesi Rocca, e della sua idea di fusione ”Corriere-Sole 24 Ore” per contrastare il nuovo giornalone, si è parlato nelle settimane scorse.

C’è però un ostacolo, non di secondo piano. Da quando Rocca è al vertice degli industriali lombardi, la sua poltrona in Techint è stata di fatto occupata dal fratello Paolo, che fino a quel momento si era concentrato sulle attività sudamericane del gruppo.

Bene, a Rocca fratello non piace affatto l’ipotesi del ”Corriere”: l’editoria è un terreno lontano dall’acciaio (e dalle cliniche) e rischia di essere un’operazione troppo costosa (e sicuramente non redditizia).

Per concludere, c’è una piccola sorpresa: un personaggio che non gradisce affatto l’unione ‘Stampa-Repubblica’, diversamente da quello che si potesse pensare. E’ Matteo Renzi.

Vero, Calabresi è un super-renziano, ma un giornalone grande e solido è molto più pericoloso e difficile da controllare di tre giornali divisi e più piccoli. Ma prima di esaurire le cambiali con De Benedetti (Sorgenia/Vado Ligure) e Marchionne (FCA/Ferrari) un po’ di tempo passerà…

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