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L’Unione Europea contro le pensioni. “Neanche con la truffa”…

Possono stare tranquilli quanti, nelle scorse ore, hanno espresso una sacrosanta indignazione per la proposta avanzata dal governo Renzi al riguardo del “prestito pensionabile” e hanno gridato alla truffa e all’evidente tentativo di favorire i conti delle Banche e delle assicurazioni (di regime? Monte dei Paschi, Banca Etruria, Unipol – SAI ?)

. La notizia è questa: L’Ue mette un paletto per i Paesi dell’Euro sul fronte delle pensioni. Non si rivolge all’Italia, che la sua riforma l’ha già fatta. Ma chiede a tutti i partner di “estendere la vita lavorativa e quindi rafforzare il reddito pensionistico, attraverso misure che aumentino l’occupabilità delle persone più anziane e che restringano il ritiro anticipato dalla forza lavoro”.

E’ un principio generale, certo. Ma arriva proprio mentre in Italia entra nel vivo il confronto sulla flessibilità in uscita, con i sindacati in pressing per chiedere più attenzione soprattutto per i lavori usuranti.

La dichiarazione ”sui principi comuni per rafforzare la sostenibilità delle pensioni” arriva al termine dell’Eurogruppo che ”registra ”i significanti progressi fatti” dai paesi membri, ma esprime ”preoccupazione” e sostiene che ”ulteriori azioni politiche servono per rafforzare la capacità dei sistemi pensionistici di reggere alle difficoltà democratiche e contro i rischi di riforme inverse”

Il messaggio è chiaro: bisogna incatenare i lavoratori al loro banco, alla loro scrivania, al loro tavolo per l’eternità, per spremere come limoni e buttar poi via le loro esistenze.

Non va bene neppure la truffa: è necessario continuare con lo schiacciamento, mentre non una parola viene detta al riguardo della condizione materiale dei nuovi lavoratori provenienti da altre parti del mondo e messi in fila dai caporali e dell’eterna attesa delle giovani generazioni.

Quello dell’intensificazione dello sfruttamento è proprio’ il messaggio che arriva da Bruxelles in un momento quanto mai delicato e complesso per l’intera Unione.

In Gran Bretagna si gioca lo scontro sull’uscita dall’Europa, in Francia continuano le grandi manifestazioni contro la “Loi du Travail”.

In entrambi i casi, come in Italia (dove addirittura i sindacati avevano espresso “non pregiudiziali” alla proposta dell’ennesima truffa in materia di pensioni) , non si riesce a comprendere l’essenza dello scontro in atto: in GB il “leave” pare in mano esclusivamente ai nazionalisti più biechi; in Francia l’elevato grado di scontro pare proprio non trovare una risposta politica a sinistra; in Italia si fa prima,non rimane proprio alcun soggetto in grado di farsi carico di questi temi, assolutamente decisivi non tanto e non solo per la vita delle lavoratrici e dei lavoratori.

Manca, da parte delle forze politiche e sindacali, l’analisi concreta delle contraddizioni in atto, di una visione internazionalista, di una capacità di contrastare politicamente e socialmente la deriva in atto.

Non si riesce, neppure, a mettere in atto un minimo di iniziativa provvista di una pallida impronta keynesiana, come sembrava voler fare il Labour prima di adagiarsi sul conformismo del “remain”.

Figuriamoci a riprendere il filo dell’analisi di classe delle contraddizioni in atto (come sarebbe indispensabile fare).

Si lascia la risposta a pericolose deviazioni attorno ai contrasti feroci che agitano questa parte del mondo: ai nazionalismi, alla xenofobia, alle oscillazioni populiste e sovraniste.

Questo della possibile mancata (ennesima) truffa sulle pensioni un piccolo episodio della tromboneria renziana?

Può darsi, ma un segnale importante, della stretta nella quale ci troviamo e dell’incapacità di affrontarla, dal punto di vista del movimento dei lavoratori, con la lotta e la proposta.

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