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Lotto marzo di Milano. Intervista a Dafne

Intervista a Dafne, attivista milanese, realizzata da Radio Città Aperta.

Qual’è stata, secondo te la novità di questo 8 marzo?


La composizione di quella giornata era assolutamente meravigliosa. C’era un enorme numero di ragazze giovanissime dei collettivi universitari; ma non solo,, anche più piccoline, insieme ad una componente di lavoratrici e di lavoratori… E poi femministe storiche. Quindi, per quello che riguarda il movimento milanese, io evidenzio questa componente infragenerazionale, con un’enorme portato di ragazze anche veramente molto giovani  e molto consapevoli. Tornando al corteo c’è stata una presenza comunque notevole, tra le 10 mila e le 20 persone; si è pensato che non potesse essere fuori da questo percorso simbolico del mondo della moda, che di fatto rappresenta il modo in cui si ripropongono dei modelli. E quindi “love your body”, ecc. Abbiamo detto: “ci vogliono Barbie, ma ci avranno matrioske”, proprio per rifiutare il concetto di “corpo perfetto” della donna.  Durante il corteo abbiamo avuto anche il piacere di avere una rapper  bolivariana fantastica, che ha con noi creato questa canzone internazionalista e femminista… Poi siamo passati davanti al consolato curdo, e anche lì non potevamo non ricordare l’enorme ruolo che in questo momento hanno le donne curde nel regime fascista di Erdogan, che combattono ogni giorno contro un sistema patriarcale, un sistema che le vede come soggetti imposti in assoluta quasi clandestinistà ormai. Poi naturalmente c’è stato tutto il tema, il simbolismo legato alla chiesa e alla sua considerazione della donna. Quindi si è passati al consultorio in via Santo Stefano semplicemente, in maniera molto chiara, come davvero i giovani riescono ad essere, in modo assolutamente diretto: “via la chiesa dalle nostre mutande”. Si chiedono i consultori laici, dove appunto vi sia la possibilità di non subire restrizioni per una forma di cattolicizzazione diffusa anche rispetto ad un servizio pubblico. E, sempre tornando al servizio pubblico, al rispetto delle norme, siamo entrate al Fatebenefratelli per per denunciare il tema dell’obiezione di coscienza, il fatto che si sia tramutata nella negazione della legge 194; e per chiedere, come chiede anche il tavolo Salute riproduttiva degli 8 punti, che non vi siano più obiettori dentro gli ospedali e nei servizi pubbici. Per poi arrivare infine al palazzo della Regione Lombardia, che si caratterizza proprio per un punto fondamentale: la presenza della cosiddetta “obiezione di coscienza di struttura”,  secondo la quale i consultori familiari privati possono escludere dalle prestazioni quelle previste per l’interruzione volontaria della gravidanza; o il fatto che non vi sia un numero unico di prenotazione del servizio, né una mappa delle sedi che si oppongono all’interruzione. Quindi, di fatto, le donne devono fare un ping pong per tutta la regione. O il fatto che siano stati, negli ultimi anni, anche organizzati dei convegni – a me viene in mente “Sposati e sii sottomessa” – per poi attivare addirittura un “centralino anti-gender” che ha avuto appena 30 telefonate. Questo è stato corteo, di cui non ho avuto la fortuna o la sfortuna di aver letto sui media mainstream; quindi intanto ti ringrazio per cercare di fare questa informazione dal basso, interna. Voglio però dire subito un’altra cosa. Noi, con le nostre forze, abbiamo cercato di fare un lavoro di informazione enorme, abbiato dato vita a delle conferenze stampa, abbiamo creato dei documenti pubblicati on line, delle cartelle stampa, abbiamo invitato chiunque a cercare di comprendere le ragioni profonde di questo che comunque è stato uno sciopero e che dunque, in quanto tale, inevitabilmente comporta il mutamentoo nella fisiologia della giornata. Sappiamo poi come questa cosa viene proposta dai mainstream, con la parola “disagio”.

 

Dafne, io mi soffermerei un attimo su questo, infatti. Tu incarni un doppio ruolo: della sindacalista e dell’attivista che è scesa in piazza l’8. Diciamo che la novità importante è stata un po’ questa, nonostante le censure, cui siamo abituati. Se ne sono  accorte perfino l’Ansa e Repubblica, che online titolava: “dopo tanti anni tornano slogan femministi e l’8 marzo torna ad essere una giornata di protesta e non di festa”. Quindi uno scarto c’è stato. Tu hai citato tutti i vari appuntamenti e una rivendicazione complessiva di diritti che va dal diritto di decidere sul proprio corpo al tema dell’obiezione di coscienza, al tema dell’eguaglianza sul lavoro… Ma questio diritti non dovrebbero essere acquisiti nel 2017?  Forse il segno è un po’ questo: che finalmente, a livello collettivo, ci si accorge che si sta tornando indietro nella certezza dei diritti sociali…


Sì. Innanzitutto lo strumento dello sciopero è uno strumento che in sé, comportando l’astensione dal lavoro – il nostro slogan era: “se non valgo, non produco” – sostanzialmente si torna un po’ ai fondamentali: io per fare pesare quanto valgo, per relazionare i rapporti di forza al mio valore, lo evidenzio tramite la mia privazione. Una cosa importante di questa giornata è che, a differnza di molti cortei, c’è stata moltissima solidarietà dalle finestre degli uffici, dai ponti, dalle case; quindi come se veramente ci fosse anche una parte di persone che avrebbe voluto essere con noi ma magari non poteva, non l’aveva saputo prima, però… Io ne ho fatti tanti di cortei e quello che ho visto l'8 sinceramente non l’ho mai visto, a Milano; ogni due metri c’era qualcuno che si è affacciato, che ci salutava, anche dagli uffici. Rispetto al tema del lavoro… E’ evidente.. Nelle nostre piattaforme – noi come Usb – abbiamo evidenziato il tema delle discriminazioni salariali, il tema del part-time involontario, dei demansionamenti, delle dimissioni in bianco, il fatto che le donne siano le prime fruitrici dei voucher, il fatto che, avendo una retribuzione inferiore durante la vita lavorativa, questo andrà poi ad impattare anche sulle pensioni. Tutto questo unito anche ad un ragionamento sul taglio dei servizi, dello stato sociale che di fatto si traduce nel welfare domestico; quindi quello che tu tagli come Stato dovrà essere una donna a prendersene cura completamente, siano essi figli, genitori o addirittura purtroppo anche casi di invalidità, quelli ancora più gravi… Però la bellezza di questo movimento e, posso dire, delle rivendicazioni che noi abbiamo voluto porre in essere, è che i diritti civili, quindi i diritti di laicità, i diritti di autodeterminazione non sono stati mai neanche per un momento scissi dai diritti sociali. E quindi il diritto al reddito… Uno dei punti nel "tavolo lavoro e reddito" che a Milano andremo anche ad approfondire ulteriormente – perché purtroppo mi sono anche resa conto, con questo sciopero, di quanto vi sia poca cultura del lavoro e di quanto queste lavoratrici abbiano avuto anche paura di scioperare perché non sapevano neanche quale era il loro contratto di riferimento… E’ stata una cosa incredibile. Noi abbiamo intercettato delle persone che non erano mai state incontrate in termini di sciopero, comunque in termini di attenzione rispetto al tema del lavoro… Però, dicevo, uno dei punti del tavolo lavoro e welfare è il tema legato al reddito di autodeterminazione o il tema legato al fatto che i congedi legati alla genitorialità debbano essere culturalmente fruibili anche da parte del  padre; e il tema del diritto all’abitare… Si parla anche di forme di co-housing sociale  – e torno al tema della violenza – perché è evidente che se una donna non è libera economicamente, come persona, se vive un contesto di violenza sarà molto meno libera di andare via da quel contesto di violenza. E abbiamo voluto anche evidenziare che la donna deve essere globalmente considerata, ma che questo non era uno sciopero legato soltanto al genere, ma anche legato alla classe, intesa come classe popolare, intesa come classe che subisce le scelte capitaliste in questo paese e non solo. Infine… tu parlavi prima delle leggi. Io ho avuto la fortuna di fare il tavolo tecnico giuridico sia a Roma che a Bologna. Uno dei temi venuti fuori è la mancata attuazione reale dei principi della convenzione di Istanbul, che l’Italia ha firmato insieme al Consiglio d’Europa nel maggio del 2011, che fa chiaramente riferimento alla violenza sessuale, alla violenza fisica. Comportamenti  ripugnanti ed evidenti, quindi facilmente riconoscibili. Ma che c’è anche una forma di violenza economica, una forma di violenza sui posti di lavoro, con il tema legato alle molestie. C’è un problema reale legato alla calendarizzazione dei processi, e quindi noi chiediamo una corsia prefernziale per i processi sia civili, in caso di affidamento di minori, sia penali in caso di denuncia. Così come chiediamo che ci sia un coordinamento tra i tribunali civili e i tribunali penali; chiediamo che non ci  possa essere nessun avvocato che si possa permettere in un processo per violenza di fare lo screening delle abitutini sessuali di una vittima. Su questo chiediamo proprio un intervento degli Ordini, perché sono dei doveri deontologici cui gli Ordini sono tenuti…

 

Un’ultima battuta. Cosa c'è in programma da qui ai prossimi mesi, visto che il livello di emergenza rispetto alle questioni rivendicate è altissimo?


Partendo dalla premessa che la violenza è un dato strutturale e che quindi come dato strutturale non può assolutamente vivere nella dimensione della estemporaneità; partendo dalla premessa che quegli 8 punti di cui ti parlavo sono il frutto di un lavoro assembleare e che dovranno confluire nel "piano contro la violenza"… Innanzitutto ci ri-incontreremo a brevissimo nelle varie assemblee territoriali (a Milano penso già dopodomani)… Giusto il tempo di riposarci un attimo e partiremo con l’organizzazione del tavolo lavoro e welfare su Milano, con il percorso che ci porterà poi a Roma, nuovamente, ad aprile, perché questo piano lo vogliamo presentare. Quindi la giornata dell'8 marzo è stata per qualcuno una sospresa, per noi la possibilità di esprimerci in maniera chiara nelle piazze. Ma rispetto al lavoro di scrittura, di elaborazione dal basso, è stata una tappa intermedia, perché noi assolutamente non ci fermeremo. La parola più gridata in piazza era: “rivoluzione”. Ed era una parola gridata da ragazze giovanissime e molto consapevoli. E' stata una tappa, una tappa importante perché ci ha permesso di arrivare alle piazze, di arrivare a quanta più gente possibile, ma è appunto una tappa. Per noi la retorica dell’8 marzo non vale né come festa e basta, né come giornata di protesta e basta. Vale come percorso di costruzione e naturalmente poi, se avremo la possibilità di risentirci, per redigere e consegnare alle istituzioni, al Governo in particolare, il nostro piano contro la violenza dal basso, le date futuribili sono intorno alla fine di aprile. Noi come sindacato, ovviamente, porteremo avanti le nostre rivendicazioni nei posti di lavoro. Si è attivata una catena solidaristica molto interessante, per cui potrebbe crearsi questa congiunzione tra la solidarietà dei movimenti e le vertenze sui posti di lavoro, rispetto alla grande distribuzione, rispetto alle cooperative… ma anche rispetto a chi lavora negli enti pubblici, perché ormai siamo tutti in una situazione di enorme rischio rispetto al posto di lavoro e alle condizioni di lavoro. Abbiamo appena cominciato. Avete avuto giusto un assaggio.

 

Bene, ci risentiremo sicuramente Dafne, per il momento grazie tante per la tua disponibilità e il tuo tempo.


Grazie a voi per la sensibilità e una buona giornata.  Ciao a tutte e tutti.

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