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L’unica spesa pubblica che aumenta di corsa: quella militare

Presentato il 1 febbraio il Rapporto MIL€X, che traduce al grande pubblico i bilanci previsionali del Ministero della Difesa: la spesa militare vale ormai un +25% rispetto al 2006. Nel giugno 2017 deciso un «block buy» accelerato per gli F35, il cui costo unitario è già salito in dieci anni da 115 a 155 milioni di euro.

La spesa militare italiana continua a crescere: 25 miliardi di euro nel 2018, pari all’1,4% del PIL, con un aumento del 4% rispetto al 2017. Siamo quindi arrivati a un +8,6% rispetto alla spesa previsionale che era stata fatta per il 2015 (ultimo anno della “spending review” decisa nel 2012 dal governo Monti) e un rilevante +25,8% rispetto al 2006.

I dati sono contenuti negli stati di previsione allegati alla Legge di Bilancio 2018, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 2017: l’Osservatorio MIL€X li ha analizzati e raccolti nel suo nuovo Rapporto, a cura di Enrico Piovesana e Francesco Vignarca, presentato oggi alla Camera. Nel 2018 la spesa militare complessiva andrà per il 60% al personale, per il 13% per l’esercizio e per il 28% per gli investimenti in armamenti e infrastrutture. Nel 2018 per l’acquisto di nuovi armamenti spenderemo 5,7 miliardi (+7% nell’ultimo anno e +88% nelle ultime tre legislature): fra i programmi di riarmo nazionale in corso, i più ingenti riguardano le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35. 


Per l’acquisto di armamenti aumentando progressivamente anche i contributi proveniente dal MISE: 3,5 miliardi nel 2018, +5% in un anno, +30% nell’ultima legislatura, +115% nelle ultime tre legislature. «Il comparto industriale militare assorbe una quota sproporzionata di investimenti del MISE, a danno di tutti gli altri settori industriali nazionali», osserva il Rapporto: «il comparto difesa assorbe i 3/4 del budget MISE per gli investimenti per lo sviluppo e la competitività di tutte le industrie italiane, nonostante contribuisca solo allo 0,8% del PIL.

Quasi 10 milioni di euro l’anno vanno per i cappellani militari, che nonostante gli impegni e le promesse sono ancora 197 e costano 9,8 milioni l’anno. Di questi, 172 sono a carico del Ministero della Difesa (quelli inseriti negli organici di Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Ministero) e 25 a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze poiché inseriti negli organici della Guardia di Finanza.

E per quanto riguarda le missioni all’estero? Il costo ufficiale della partecipazione alle missioni militari in Afghanistan a partire dal novembre 2001 (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di 6,5 miliardi di eurovale a dire oltre un milione di euro al giorno in media. Aggiungendo tutti i costi extra delle missioni, si arriva a oltre 7,8 miliardi in 16 anni, a fronte di 280 milioni di euro investiti nel Paese in iniziative di cooperazione civile. Per la missione in Iraq, sempre considerando nel calcolo tutti i costi extra della missione, 14 anni di impegno militare italiano sono costati al contribuente italiano quasi 3 miliardi di euro, a fronte di una spesa di 400 milioni per iniziative di cooperazione e assistenza civile: «un rapporto di 1 a 7 emblematico della scelta politica nettamente militarista fatta dai governi italiani», scrive il Rapporto. Lo stanziamento per le missioni 2018 – deliberato dal Consiglio dei Ministri il 28 dicembre 2017 e approvato dal Parlamento a Camere sciolte il 17 gennaio 2018 – ammonta a 1,28 miliardi di euro, invariata rispetto all’anno precedente. Salgono i costi per la missione in Libia (+7%), per la missione NATO in Lettonia (+15%) e soprattutto l’avvio della nuova missione in Niger.

La spesa direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari statunitensi sul suolo italiano(nelle basi di Ghedi e Aviano) ha un costo minimo di almeno 20 milioni annui, ma con tutti gli elementi coinvolti (anche per progetti straordinari di ammodernamento) potrebbe giungere anche ad essere stimata attorno ai 100 milioni di euro l’anno.

Dopo due anni e mezzo di sospensione, nel 2017 è ripreso a pieno ritmo il controverso programma di acquisizione dei 90 cacciabombardieri americani F-35 Joint Strike Fighter: 60 in versione convenzionale e 30 in versione a decollo corto e atterraggio verticale da imbarcare sulla portaerei Cavour e sulla gemella, prossima ventura, Thaon di Revel. Quindici aerei sono già stati acquistati (dieci già consegnati, cinque ordinati) e nel corso del 2018 ne verranno ordinati altri tre e firmati contratti per 727 milioni di euro. Secondo il profilo di acquisizione rivisto dalla Difesa nel 2016, negli anni successivi gli ordini dovevano procedere in lenta progressione, ma nel giugno 2017 la Difesa italiana ha previsto una netta accelerazione delle acquisizioni italiane, con la stipula con Lockheed Martin di un acquisto in blocco di diciassette aerei in tre anni: i tre del 12° lotto nel 2018 già previsti nel profilo d’acquisizione attuale, cinque del 13° lotto nel 2019 e nove del 14° lotto nel 2020 per un impegno di spesa ufficiale di circa 1,3 miliardi di euro, che diventano 3 miliardi calcolando tutti i costi di procurement.

Contro questo impegno di acquisto in blocco si è espressa la Corte dei Conti nella sua recente indagine dedicata al programma F-35: «Appare rischioso, oltre che contrario alle indicazioni parlamentari, impegnarsi fin d’ora in un block buy, contro il quale si è già pronunciato l’organo di controllo statunitense (il GAO, ndr), stante il mancato completamento dei test destinati a dare una configurazione stabile al design ingegneristico, e a chiudere definitivamente la fase di sviluppo». Il costo medio ad aereo sarà di ameno 155 milioni di euro, al netto dei costi aggiuntivi di retrofit, ovvero dei costi necessari per porre rimedio agli errori di progettazione già emersi.

In meno di dieci anni cioè il costo unitario degli F-35 è già aumentato di 40 milioni di euro in termini nominali e di quasi 30 milioni in termini reali. Infatti, nel 2009, quando il Parlamento autorizzò l’acquisto degli F-35, il costo previsto di ogni velivolo era di 115 milioni, equivalenti a 127 milioni rivalutati ad oggi. «Ciò significa che l’intero programma F-35 potrebbe arrivare a costare non i 14 miliardi previsti oggi, ma almeno 19 miliardi di euro, senza contare i miliardi in più da pagare per i costi, oggi imprevedibili, di retrofit».

Da http://www.vita.it/

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