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Il caso Skripal e le presidenziali russe

Il caso Skripal, se non costituisse qualcosa di molto pericoloso sullo scenario mondiale, sembrerebbe studiato a tavolino tra Mosca, Londra e Washington per dare una mano alla campagna elettorale di Vladimir Putin.

Strano, che i media main stream, così solerti a vedere la mano del Cremlino anche nelle riunioni di condominio del civico 18 di via di Novoli, questa volta non abbiano tirato fuori una “restituzione di favori anglosassone a Mosca per l’appoggio a Donald Trump contro Hillary Clinton”. Sarebbe stato uno scoop, ma da ultima pagina.

Tutto il “mondo libero”, da Sidney a Berlino, da Parigi a Praga, Varsavia – UE ça va sans dire – Bucarest, Madrid, Stoccolma e Helsinki, è ora schierato con l’albionica eroina Theresa May; manca solo di lanciare il “Deus vult” di Pietro l’Eremita e stabilire il punto d’imbarco dei pezzenti chiamati a combattere l’infedele: forse Sigonella, in rotta verso il Mediterraneo orientale?

Ma, intanto, Vladimir Vladimirovič incassa il grosso punto a suo favore e ci aggiunge la puntatina in Crimea (non a caso le elezioni si tengono il 18 marzo, quarto anniversario della riunificazione alla Russia) tanto per incrementare il vantaggio sui sette “avversari”. Lo cronache lo davano infatti non certo in “pericolo”, ma un po’ in affanno nell’obiettivo di raggiungere il 70 per 70: arrivare al 70% di consensi su un’affluenza non inferiore al 70%. Già un paio di mesi fa Aleksandr Batov, segretario moscovita di Rot Front (Fronte russo unito dei lavoratori), diceva che la stessa candidatura, per il PCFR, di un personaggio quale Pavel Grudinin, quasi sicuramente concordata con il Cremlino, riflette il fatto che “l’amministrazione presidenziale è preoccupata non tanto per il risultato (non è in dubbio per nessuno), ma per l’affluenza. Se questa fosse bassa, per Putin sarebbe difficile presentarsi quale “leader nazionale”, sia sull’arena interna, che internazionale”.

La questione Skripal, apertasi al momento giusto e che va acuendosi di giorno in giorno, non poteva arrivare più a proposito per serrare le file della nazione attorno al Presidente e regalargli il plebiscito per altri sei anni di favori agli oligarchi russi che, come notava giorni fa il segretario del PCOR, Viktor Tjulkin, sono passati da qualche decina della prima presidenza Putin, a un buon centinaio. Ogni attacco esterno alla Russia non fa che spronare i sentimenti patriottici, oggi impersonati dal Presidente.

D’altronde, già commentando il messaggio presidenziale di inizio marzo – “il messaggio non del Presidente, ma del candidato alla presidenza”, era stato detto dai comunisti – a sinistra si era quasi unanimemente notato come il “sensazionale” passaggio su “arma fine di mondo” fosse stato scelto dall’apparato presidenziale per rigettare in ultimissimo piano gli scarsi risultati in politica sociale interna, rispetto alle promesse elargite sei anni fa.

A ovest, in effetti, pressoché tutta l’attenzione, pressoché di tutti i media, salvo poche eccezioni, si è concentrata sulle parole e le immagini video dedicate al missile alato con motore a getto d’aria reattivo ipersonico (GPVRD; scramjet) “Kinžal”, la cui versione con base a terra è già peraltro in dotazione ai reparti della Regione militare meridionale dallo scorso dicembre. Poco importa che siano rimasti un po’ in ombra il missile balistico intercontinentale “Sarmat” e il missile anti-nave “Tsirkon”, in fase di sperimentazione finale, dato che i missili ipersonici con base in mare, tra cui “Tsirkon”, necessitano di un ulteriore motore di accelerazione, a combustibile solido o liquido e ciò complica la loro messa a punto. Invece il “Kinžal” (“Pugnale”, dall’arabo khan-džar: sangue-sventrare) basato in aria, con una gittata massima di 2.000 km e armato con testata convenzionale oppure atomica, può esser manovrato con ampie variazioni, sia di traiettoria, sia di beccheggio, il che lo rende inarrivabile ai sistemi antimissile. I bombardieri Tu-22M3 o Tu-160 non sono in grado di portare il missile alla velocità necessaria per lo scramjet; in tutto il mondo, l’unico velivolo adatto è l’intercettore pesante MiG-31, la cui velocità massima raggiunge i 3400 km/h. E, in effetti, il video che accompagnava il discorso di Putin, mostrava quale portatore del “Kinžal” l’intercettore modificato MiG-31BM, in grado di portare 9 tonnellate di missili e bombe.

E’ così che, a sinistra, i commenti a caldo del messaggio presidenziale avevano classificato l’uscita putiniana sul “Kinžal” come la cortina dietro cui nascondere le questioni interne.

Putin ha promesso di portare il salario minimo legale al livello del minimo di sopravvivenza, per quanto il secondo sia miserevole” aveva detto Valerij Raškin, del presidium del PCFR. Il Presidente ha ammesso che “alcune categorie di lavoratori vivono molto modestamente”. In realtà, notava Raškin, “non alcuni, bensì la stragrande maggioranza è costretta a sopravvivere: specialisti altamente qualificati, medici, insegnanti, scienziati… Fuori dai maggiori centri urbani, lo stipendio orario di un medico qualificato è uguale alla paga oraria di un addetto del McDonald”. E Putin, nel messaggio, un vero e proprio appello elettorale, “non ha nemmeno fatto cenno alla continua diminuzione dei redditi reali della popolazione, a dispetto dei giochi di prestigio del Rosstat” (l’Istat russo). E’ vero che Putin ha promesso quantomeno di “dimezzare, in sei anni, il livello di povertà; in realtà le risorse con cui si suppone di finanziare i costi sociali e delle infrastrutture, sono descritti in modo piuttosto vago”. Ci viene detto “dell’aumento del volume di riserve di oro e delle riserve di valuta estera”, osservava Raškin, ma “non parlano della liquidazione del Fondo di riserva. Si parla di ridurre la dipendenza dell’economia e del budget dalle fluttuazioni dei prezzi dell’energia, ma non spiegano il motivo per cui, in presenza del drastico calo dei prezzi del petrolio, il paese sia rimasto immerso in una profonda crisi, e la stabilizzazione degli ultimi mesi non sia altro che un prodotto della prossima crescita nel petrolio. Infine, ci viene detto di un tasso di inflazione tanto basso ma, allo stesso tempo, i prezzi delle derrate alimentari e delle tariffe per servizi continuano ad aumentare solo da record”. Il presidente, osserva il PCFR, ha criticato la cosiddetta ottimizzazione nel settore sanitario. Ma, da chi è venuta la sanzione per questa ottimizzazione? Perché ci pensano solo ora, quando la sanità ha già raggiunto uno stato catastrofico e si sono spese risorse per la chiusura delle strutture sanitarie e continua la distruzione della sfera sociale”. Nelle grandi città, si propone di risolvere il problema degli alloggi, gettando ulteriormente la popolazione nei mutui ipotecari. Curioso però il ritmo della costruzione di alloggi sia in costante aumento, ma anche i tempi di attesa per l’edilizia sociale. “Quindi non è chiaro, nell’interesse di chi sia l’aumento del ritmo di costruzione: delle persone comuni, che non possono permettersi di comprare un appartamento, nemmeno con il mutuo, o dei grandi costruttori?”.

E’ dunque la struttura stessa del messaggio presidenziale a essere “allarmante: quali saranno le priorità? I missili o le persone? Oggi la forza non sta nelle le armi, anche se è necessario mantenere asciutte le polveri, bensì nell’economia e nella politica sociale”.

Di tono non dissimile il commento di Viktor Tjulkin, che notava come sei anni fa Putin avesse promesso di creare 25 milioni di posti di lavoro altamente produttivi e che la produttività del lavoro sarebbe cresciuta del 50%: “un bluff! Aveva promesso crescita dei redditi reali del 40-50%, ma sono caduti del 5%. Aveva promesso che al 2018 gli investimenti avrebbero dovuto costituire il 27% del PIL: sono al 19%.

Aveva anche assicurato che la Russia sarebbe stata la 5° economia mondiale: ma siamo l’11° e la parte della Russia nell’economia mondiale è minore di 18 anni fa”, quando divenne presidente per la prima volta. Certamente, osserva Tjulkin, le dichiarazioni di Putin sulla “minaccia USA-NATO e le realizzazioni di armamenti russi non sono un bluff. Bluff sono le dichiarazioni sulla politica sociale interna: la protezione di presunti interessi nazionali con gli armamenti è in effetti, soprattutto, la protezione degli interessi degli oligarchi russi, in primo luogo della cerchia di Putin”. Oltretutto, sostiene il leader del PCOR, “per quanto riguarda gli sviluppi specifici nel campo delle armi, mostrati a tutto il mondo, erano già stati condotti sin dall’epoca sovietica: quindi, di nuovo bluff. Questo clangore di armi è vantaggioso per i falchi americani: la militarizzazione dell’economia è un rimedio provato per le crisi. Non sarei sorpreso se venissimo a sapere che questa mossa pre-elettorale è stata coordinata con gli Stati. Forse, durante la recente visita dei capi dei servizi speciali a Washington”.

Ma Putin ha taciuto il fatto che, ad esempio, “siamo dipendenti, come i tossicodipendenti, dalle risorse energetiche e che c’è un declino delle industrie high-tech. Il messaggio è un documento di propaganda elettorale”

In definitiva, a parte PCFR e PCR (ma Gennadij Zjuganov, già alle ultime elezioni per la Duma, aveva accusato i Comunisti di Russia di Maksim Surajkin, altro candidato alle presidenziali, di essere al soldo del Cremlino per sottrarre voti al PCFR) il Blocco di Sinistra invita a boicottare le elezioni. Questa è stata da subito anche la posizione del VKP(b) di Nina Andreeva: “Chiediamo che tutti, il 18 marzo, si rechino ai seggi e annullino la scheda elettorale in qualsiasi modo: scrivendo “Abbasso il capitalismo”, “Viva il socialismo”. Il PCOR (Partito comunista operaio russo) di Viktor Tjulkin, dopo che non è riuscito a raccogliere le firme necessarie alla candidatura dell’operaia gruista Natalja Lisitsyna, non pare abbia dato precise indicazioni, né di voto, né di boicottaggio. Anatolij Baranov, del CC del PCO (Partito comunista unito), ha sin da subito dichiarato che “i comunisti dovranno chiarire il proprio atteggiamento verso queste elezioni, in cui sulla scheda non comparirà alcun candidato operaio. Credo che dovremmo seguire la proposta dei compagni della città di Penza, di prendere le schede elettorali e portarsele via, oppure annullarle, in modo che non ci sia alcun referendum sulla fiducia”.

Non che gli appelli al boicottaggio lanciati dalle varie forze di sinistra e comuniste impensieriscano il Cremlino; è semmai la disaffezione generale che serpeggia in generale nella società che spinge le persone a vedere nelle mosse governative e presidenziali solo un appoggio alle oligarchie nazionali che, dai tempi di Boris Eltsin, non hanno fatto che rafforzarsi.

Sembra che Vladimir Putin dovrà proprio ringraziare Thersa May.

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